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Leasing traslativo: le regole prima del fallimento

Un caso di leasing traslativo di un’auto di lusso, risolto prima del fallimento dell’utilizzatore. La società finanziaria ha chiesto l’ammissione al passivo per i canoni non pagati, basandosi sulla legge fallimentare. La Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che per i contratti già risolti si applica l’art. 1526 c.c., che prevede un equo compenso e non il pagamento dei canoni. La domanda basata su tale norma è stata però ritenuta tardiva e quindi inammissibile.

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Leasing Traslativo e Fallimento: Cosa Succede se il Contratto è Risolto Prima?

La gestione dei crediti derivanti da contratti di leasing in caso di fallimento dell’utilizzatore è una materia complessa, ricca di distinzioni normative. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: quale disciplina si applica se il contratto di leasing traslativo è stato risolto per inadempimento prima della dichiarazione di fallimento? La risposta a questa domanda determina non solo se il credito esiste, ma anche come deve essere calcolato e richiesto.

I Fatti del Caso: La vicenda del leasing dell’auto di lusso

Una società finanziaria aveva concesso in leasing un’automobile di lusso a un’azienda metalmeccanica. A seguito del mancato pagamento dei canoni a partire da febbraio 2014, la società finanziaria aveva risolto il contratto, ottenuto la restituzione del veicolo e lo aveva rivenduto. Successivamente, l’azienda utilizzatrice è stata dichiarata fallita. La società finanziaria ha quindi presentato istanza di ammissione al passivo fallimentare per un credito di oltre 54.000 euro, corrispondente ai canoni scaduti e a scadere. Sia il giudice delegato che il Tribunale in sede di opposizione hanno respinto la richiesta, spingendo la società a ricorrere in Cassazione.

La Questione Giuridica: Leasing Traslativo e la Scelta della Norma

Il cuore della controversia risiedeva nell’individuare la norma corretta da applicare. La società ricorrente sosteneva l’applicabilità dell’art. 72-quater della Legge Fallimentare, che disciplina lo scioglimento del contratto di leasing per volontà del curatore dopo il fallimento. Il Tribunale, invece, aveva qualificato il contratto come leasing traslativo (in cui la finalità principale è il trasferimento finale del bene) e, poiché era stato risolto prima del fallimento, riteneva applicabile per analogia l’art. 1526 del Codice Civile, che regola la vendita con riserva di proprietà. Questa norma prevede che il venditore debba restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.

La Decisione della Cassazione sul Leasing Traslativo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del Tribunale e chiarendo principi fondamentali in materia.

Inapplicabilità dell’art. 72-quater Legge Fallimentare

I giudici hanno ribadito un orientamento consolidato: l’art. 72-quater l. fall. è una norma eccezionale che si applica solo all’ipotesi di scioglimento del contratto pendente al momento del fallimento. Non può essere applicata retroattivamente a contratti già risolti per inadempimento dell’utilizzatore. Per questi ultimi, per i fatti antecedenti alla Legge 124/2017, resta valida la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con l’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. a quest’ultimo.

Il Principio della “Domanda Nuova” e la Tardività

La Corte ha evidenziato l’errore processuale commesso dalla società finanziaria. La domanda originaria di ammissione al passivo era basata esclusivamente sull’art. 72-quater l. fall. (richiesta dei canoni). Solo in sede di opposizione la società ha tentato di far valere le pretese derivanti dall’art. 1526 c.c. (equo compenso e risarcimento). Questa è stata considerata una “domanda nuova”, ovvero una richiesta basata su un titolo giuridico diverso da quello originario. Introdurre una domanda nuova in una fase avanzata del procedimento è inammissibile, poiché altera l’oggetto del contendere e lede il diritto di difesa della controparte. Di conseguenza, la domanda è stata respinta non solo nel merito, ma per un vizio procedurale insanabile: la tardività.

Le motivazioni

La ratio decidendi della Corte si fonda su una netta distinzione temporale e normativa. L’art. 72-quater della Legge Fallimentare è stato concepito per gestire i contratti ancora in essere al momento della dichiarazione di fallimento, offrendo al curatore la scelta di continuare o sciogliere il rapporto. Quando, invece, il contratto ha già cessato di esistere a causa di una risoluzione per inadempimento avvenuta prima del fallimento, la situazione è cristallizzata. In questo scenario, per il leasing traslativo, la tutela del concedente non si trova nella legge fallimentare, ma nelle norme generali del codice civile, specificamente nell’art. 1526 c.c. Questo articolo bilancia gli interessi delle parti: l’utilizzatore restituisce il bene e ha diritto alla restituzione delle rate pagate, mentre il concedente ha diritto a un equo compenso per l’uso del bene e al risarcimento del danno subito. La Corte sottolinea che la società creditrice avrebbe dovuto formulare la sua richiesta in questi termini sin dall’inizio, anziché invocare una norma inapplicabile e tentare di modificare la propria domanda solo in un secondo momento, rendendola proceduralmente inammissibile.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito per gli operatori finanziari e i loro legali. La corretta qualificazione del contratto e, soprattutto, del momento in cui esso si è risolto, è fondamentale per impostare correttamente la domanda di ammissione al passivo fallimentare. Invocare la norma sbagliata può portare non a una semplice correzione, ma a una declaratoria di inammissibilità della pretesa creditoria, anche se sostanzialmente fondata. Per i contratti di leasing traslativo risolti prima del fallimento e antecedenti alla nuova legge, la via maestra è quella dell’art. 1526 c.c., chiedendo un equo compenso e il risarcimento del danno, e non la somma dei canoni residui.

Quale norma regola un contratto di leasing traslativo risolto per inadempimento prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore?
Per i contratti risolti prima dell’entrata in vigore della L. 124/2017, si applica per analogia l’articolo 1526 del Codice Civile. Questa norma prevede che il concedente debba restituire le rate riscosse, ma ha diritto a un equo compenso per l’uso del bene e al risarcimento del danno. Non si applica l’art. 72-quater della Legge Fallimentare.

Perché la società finanziaria ha perso la causa pur avendo un credito?
La società ha perso perché ha commesso un errore procedurale. Inizialmente ha basato la sua richiesta di ammissione al passivo su una norma sbagliata (art. 72-quater l. fall.). Quando ha cercato di correggere la domanda in sede di opposizione, basandola sulla norma corretta (art. 1526 c.c.), questa è stata considerata una ‘domanda nuova’ e quindi inammissibile perché tardiva.

La nuova legge sul leasing (L. 124/2017) si applica ai contratti risolti prima della sua entrata in vigore?
No, la sentenza conferma che la disciplina introdotta dalla Legge n. 124 del 2017 non ha effetti retroattivi. Pertanto, per i contratti di leasing i cui presupposti per la risoluzione si sono verificati prima della sua entrata in vigore, continua ad applicarsi la precedente distinzione giurisprudenziale tra leasing di godimento e leasing traslativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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