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Leasing traslativo: la clausola penale è valida?

La Cassazione, con l’ordinanza 15000/2024, chiarisce la validità della clausola penale nel leasing traslativo, ma subordina l’ammissione al passivo fallimentare all’onere del creditore di provare il valore del bene restituito per permettere al giudice di valutarne l’equità e ridurla se eccessiva. L’omissione di tale prova rende la domanda inammissibile.

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Leasing Traslativo e Fallimento: la Cassazione stabilisce gli oneri del creditore

Con l’ordinanza n. 15000 del 29 maggio 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale nei rapporti tra banche e imprese: la gestione del contratto di leasing traslativo in caso di inadempimento e successivo fallimento dell’utilizzatore. La decisione chiarisce i limiti di validità delle clausole penali e, soprattutto, gli oneri probatori a carico della società di leasing che intende insinuarsi al passivo fallimentare. Questa pronuncia offre importanti spunti di riflessione per creditori e curatele fallimentari.

I Fatti di Causa

Una società di gestione crediti, per conto di un istituto bancario, aveva richiesto l’ammissione al passivo del fallimento di una S.r.l. per un credito di oltre 2,7 milioni di euro. Tale credito derivava da un contratto di locazione finanziaria per un complesso immobiliare, comprensivo di canoni insoluti e debito residuo. A questo si aggiungeva una richiesta per un finanziamento erogato per opere di ristrutturazione e installazione di un impianto fotovoltaico sullo stesso immobile.

Sia il Giudice Delegato che il Tribunale in sede di opposizione avevano rigettato la domanda. Il Tribunale, in particolare, aveva qualificato il contratto come leasing traslativo e, di conseguenza, aveva dichiarato la nullità della clausola contrattuale (art. 19) che disciplinava le conseguenze della risoluzione. Secondo i giudici di merito, tale clausola si discostava dal regime dell’equo compenso previsto dall’art. 1526 c.c., ritenuto inderogabile. Contro tale decisione, la società creditrice ha proposto ricorso in Cassazione.

L’onere della prova nel leasing traslativo

Il cuore della controversia ruotava attorno alla validità della clausola penale prevista dal contratto in caso di risoluzione per inadempimento. Tale clausola prevedeva che l’utilizzatore dovesse restituire il bene e corrispondere tutti i canoni scaduti e a scadere, attualizzati, dedotto quanto il concedente avesse ricavato dalla vendita del bene stesso.

Il Tribunale aveva considerato nulla questa pattuizione per violazione dell’art. 1526 c.c. La Corte di Cassazione, pur confermando la decisione di rigetto, ha corretto la motivazione del giudice di merito. La Suprema Corte ha infatti chiarito che, secondo un orientamento ormai consolidato, tali clausole non sono di per sé nulle. Esse sono espressione dell’autonomia contrattuale e trovano un parallelo nell’art. 1526, comma 2, c.c., che ammette la stipulazione di un’indennità in caso di risoluzione.

Le Motivazioni della Cassazione

Tuttavia, la validità in astratto della clausola non significa che essa sia incondizionatamente applicabile. La Corte, richiamando una fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite (n. 2061/2021), ha ribadito che la penale è sempre soggetta al potere del giudice di ridurla ad equità se risulta manifestamente eccessiva (art. 1384 c.c.). Questo potere-dovere del giudice mira a evitare un’indebita locupletazione del concedente, che non può ottenere dalla risoluzione più di quanto avrebbe ottenuto dalla regolare esecuzione del contratto.

Per consentire al giudice di effettuare tale valutazione, il creditore che si insinua al passivo fallimentare ha un onere specifico. Non può limitarsi a chiedere il pagamento dei canoni scaduti e a scadere, ma deve indicare la somma ricavata dalla diversa allocazione del bene (vendita o nuovo leasing) o, in mancanza, deve fornire una stima attendibile del suo valore di mercato attuale.

Nel caso di specie, la società creditrice si era limitata a formulare la propria richiesta di credito senza allegare alcuna stima del valore del bene recuperato. Questa omissione ha impedito al Giudice Delegato di valutare l’eventuale eccessività della penale e di procedere alla sua riduzione. Di conseguenza, la domanda di ammissione al passivo è stata correttamente respinta, e il ricorso dichiarato inammissibile.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento consolida un principio di fondamentale importanza pratica: nel contesto del fallimento dell’utilizzatore di un leasing traslativo, la validità della clausola penale è subordinata a un preciso onere probatorio del concedente. Il creditore deve mettere il giudice nelle condizioni di verificare l’equilibrio delle prestazioni, fornendo elementi concreti sul valore del bene restituito. In assenza di tali elementi, la pretesa creditoria, anche se basata su una clausola contrattuale astrattamente valida, non può trovare accoglimento nella procedura fallimentare. La decisione rappresenta un importante bilanciamento tra la tutela del credito e la necessità di evitare arricchimenti ingiustificati, a protezione della massa dei creditori.

Nel leasing traslativo, la clausola che prevede il pagamento di tutti i canoni in caso di risoluzione è valida?
Sì, la Corte di Cassazione afferma che la clausola penale che prevede il pagamento dei canoni scaduti e a scadere è astrattamente valida e ammissibile, in quanto conforme all’art. 1526, 2° comma c.c.

Cosa deve fare il creditore che chiede l’ammissione al passivo fallimentare sulla base di una clausola penale per leasing?
Il creditore deve indicare nella domanda di insinuazione la somma ricavata dalla riallocazione del bene o, in alternativa, allegare una stima attendibile del suo valore di mercato attuale. Questo per consentire al giudice di valutare se la penale sia manifestamente eccessiva e, nel caso, ridurla ad equità.

Perché la richiesta di ammissione al passivo per il finanziamento dei lavori sull’immobile è stata respinta?
La richiesta è stata respinta perché le somme sono state utilizzate per ristrutturare e migliorare un bene (con l’installazione di un impianto fotovoltaico) che era e rimaneva di proprietà della società concedente, non del fallito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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