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Leasing traslativo e fallimento: le regole applicabili

Una società di leasing ha richiesto l’ammissione al passivo del fallimento di un’azienda sua cliente per canoni non pagati, relativi a un contratto di leasing traslativo risolto prima della dichiarazione di fallimento. Il tribunale aveva respinto la domanda, applicando la disciplina della vendita con riserva di proprietà (art. 1526 c.c.). La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato inammissibile il ricorso della società di leasing, confermando che per i contratti risolti prima dell’entrata in vigore della L. 124/2017, si applica l’art. 1526 c.c. e non la nuova normativa, che non è retroattiva. La Corte ha inoltre precisato l’onere della prova a carico del concedente che intende far valere una clausola penale.

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Leasing traslativo e fallimento: le regole per i contratti risolti prima del 2017

Quando un contratto di leasing traslativo viene risolto per inadempimento dell’utilizzatore e quest’ultimo successivamente fallisce, quale disciplina si applica? La questione è complessa, specialmente per i contratti risolti prima dell’entrata in vigore della Legge 124/2017, che ha introdotto una normativa organica per la locazione finanziaria. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa chiarezza, confermando un principio fondamentale: la nuova legge non è retroattiva. Analizziamo insieme questo importante caso.

I fatti di causa: un contratto di leasing traslativo e il successivo fallimento

Una società operante nel settore del leasing e factoring chiedeva di essere ammessa al passivo del fallimento di una società sua cliente. Il credito vantato, di oltre 460.000 euro, derivava da un contratto di leasing stipulato tra le parti. Questo contratto era stato risolto per inadempimento dell’utilizzatore nel marzo 2016, ben prima della dichiarazione di fallimento della stessa, avvenuta nel settembre 2017. La società di leasing richiedeva il pagamento dei “canoni scaduti e interessi di mora” maturati fino alla data del fallimento.

La decisione del Tribunale e i motivi del ricorso

Il Tribunale di merito aveva rigettato la domanda della società concedente. I giudici avevano qualificato il contratto come leasing traslativo e, dato che la risoluzione era avvenuta prima del fallimento e prima della nuova legge del 2017, avevano ritenuto applicabile la normativa prevista per la vendita con riserva di proprietà (art. 1526 del Codice Civile). Secondo tale norma, in caso di risoluzione, il venditore (in questo caso, il concedente) deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.

La società di leasing ha impugnato questa decisione in Cassazione, sostenendo che si sarebbe dovuta applicare la disciplina unitaria del leasing (art. 72-quater della legge fallimentare o, in subordine, la Legge 124/2017), che non distingue tra leasing di godimento e traslativo. Inoltre, invocava la validità di una clausola contrattuale (la cosiddetta clausola marciana) che le dava diritto a trattenere i canoni e a chiedere il pagamento di quelli futuri, deducendo solo il ricavato della vendita del bene.

Leasing traslativo e fallimento: le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti cruciali sulla disciplina applicabile al leasing traslativo in queste circostanze.

L’irretroattività della Legge 124/2017

Il punto centrale della decisione, in linea con un orientamento consolidato delle Sezioni Unite, è che la disciplina introdotta dalla Legge 124/2017 non ha efficacia retroattiva. Pertanto, essa si applica solo ai contratti i cui presupposti per la risoluzione si sono verificati dopo la sua entrata in vigore. Per tutti i contratti risolti in precedenza, come nel caso di specie, resta valida la tradizionale distinzione giurisprudenziale tra leasing di godimento e leasing traslativo, con l’applicazione analogica a quest’ultimo dell’art. 1526 c.c.

L’applicazione dell’art. 1526 c.c. e le clausole penali

La Corte ha ribadito che, nel contesto di un leasing traslativo, le parti possono legittimamente pattuire delle clausole penali per regolare gli effetti della risoluzione anticipata. Tali clausole possono prevedere il diritto del concedente di trattenere i canoni versati o l’obbligo dell’utilizzatore di pagare i canoni futuri, sempre previa detrazione di quanto ricavato dalla vendita del bene restituito.

L’onere della prova in caso di clausola penale

Tuttavia, la Cassazione ha precisato un aspetto fondamentale: il concedente che intende far valere il proprio credito basato su una clausola penale ha un onere specifico. Deve presentare una domanda di ammissione al passivo in cui fornisce al giudice delegato tutti gli elementi per valutare se la penale sia equa o manifestamente eccessiva. Concretamente, deve indicare la somma esatta ricavata dalla vendita del bene oggetto del leasing o, in sua assenza, allegare una stima attendibile del suo valore di mercato al momento della domanda. Nel caso esaminato, la società ricorrente non aveva adempiuto a questo onere, rendendo la sua pretesa indeterminata e, quindi, inammissibile.

Conclusioni: cosa insegna questa ordinanza

Questa pronuncia della Cassazione consolida principi importanti per la gestione dei contenziosi legati al leasing traslativo. In primo luogo, stabilisce un chiaro spartiacque temporale: la Legge 124/2017 non si applica al passato. Per i contratti risolti prima della sua vigenza, la disciplina di riferimento resta l’art. 1526 c.c. In secondo luogo, pur riconoscendo la validità delle clausole penali, sottolinea la necessità di tutelare l’equilibrio contrattuale. La società concedente non può limitarsi a chiedere il pagamento di quanto previsto dal contratto, ma deve dimostrare concretamente il valore del bene recuperato, permettendo al giudice fallimentare di verificare l’equità della pretesa risarcitoria e di evitare indebiti arricchimenti.

Quale normativa si applica a un contratto di leasing traslativo risolto per inadempimento prima del fallimento dell’utilizzatore e prima dell’entrata in vigore della Legge 124/2017?
Si applica in via analogica la disciplina dettata dall’art. 1526 del Codice Civile per la vendita con riserva di proprietà. La Legge n. 124/2017 non è retroattiva e si applica solo alle risoluzioni i cui presupposti si sono verificati dopo la sua entrata in vigore.

In caso di risoluzione di un leasing traslativo, la società concedente può chiedere il pagamento di tutti i canoni pattuiti?
Le parti possono prevedere clausole penali che obblighino l’utilizzatore a pagare i canoni scaduti e a scadere, ma da tale importo deve essere sempre detratto quanto il concedente ha ricavato o avrebbe potuto ricavare dalla vendita o da altra ricollocazione del bene. Il concedente deve restituire le rate riscosse e ha diritto a un equo compenso per l’uso del bene, oltre al risarcimento del danno.

Qual è l’onere della prova per la società concedente che vuole far valere una clausola penale nel fallimento?
La società concedente deve, nella domanda di ammissione al passivo, fornire al giudice gli elementi per valutare se la penale sia manifestamente eccessiva. Deve quindi indicare la somma esatta ricavata dalla diversa allocazione del bene o, in mancanza, allegare una stima attendibile del suo valore di mercato al momento del deposito della domanda.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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