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Leasing traslativo: cosa succede in caso di fallimento?

Una società di leasing ha richiesto il pagamento di canoni insoluti a un’azienda fallita, per un contratto di leasing risolto prima della dichiarazione di fallimento. La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta, confermando l’applicazione dell’art. 1526 c.c. per il leasing traslativo. Secondo la Corte, la società concedente deve restituire i canoni riscossi e ha diritto solo a un equo compenso per l’uso del bene, una pretesa che deve essere formulata correttamente includendo la stima del valore del bene recuperato.

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Leasing Traslativo e Fallimento: la Cassazione Fa Chiarezza sui Contratti Risolti

Cosa accade quando un contratto di leasing traslativo viene risolto per inadempimento dell’utilizzatore e, successivamente, quest’ultimo fallisce? La società concedente può semplicemente chiedere il pagamento dei canoni scaduti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 14232 del 22 maggio 2024, fornisce una risposta chiara, consolidando un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza per gli operatori del settore.

Il Caso: Contratto Risolto e Successivo Fallimento

Una società di leasing si era opposta al provvedimento del giudice delegato che aveva respinto la sua domanda di ammissione al passivo del fallimento di una società utilizzatrice. Il credito richiesto, pari a oltre 68.000 euro, derivava da un contratto di locazione finanziaria per un immobile, risolto per inadempimento ben prima della dichiarazione di fallimento. La società concedente pretendeva il pagamento dei canoni scaduti fino alla data della risoluzione.

Il Tribunale di Bari aveva rigettato l’opposizione, qualificando il contratto come leasing traslativo e ritenendo inapplicabile sia la nuova disciplina della Legge n. 124/2017 (in quanto non retroattiva), sia l’art. 72-quater della legge fallimentare (che riguarda solo i contratti pendenti al momento del fallimento). Di conseguenza, il Tribunale aveva applicato per analogia la disciplina della vendita con riserva di proprietà, prevista dall’art. 1526 del codice civile.

La Disciplina Applicabile al Leasing Traslativo Anteriore alla Riforma

Secondo l’art. 1526 c.c., in caso di risoluzione del contratto, il venditore (in questo caso, la società di leasing) deve restituire le rate riscosse, ma ha diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. La domanda della società di leasing, tuttavia, era limitata ai soli canoni scaduti, una pretesa diversa (per petitum e causa petendi) da quella prevista dalla norma. Per questo motivo, la sua richiesta era stata respinta.

La Decisione della Corte di Cassazione sul Leasing Traslativo

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha dichiarato il ricorso inammissibile e infondato, confermando la decisione del Tribunale. I giudici di legittimità hanno ribadito principi ormai consolidati, in particolare quelli espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 2061/2021.

La Corte ha specificato che per i contratti di leasing traslativo risolti prima dell’entrata in vigore della Legge n. 124/2017, continua ad applicarsi per analogia l’art. 1526 c.c. Questo vale anche se la risoluzione è seguita dal fallimento dell’utilizzatore.

Il punto cruciale della decisione riguarda le modalità con cui il concedente deve formulare la propria pretesa nel contesto fallimentare. Non è sufficiente chiedere i canoni insoluti. Il creditore che intende far valere il proprio diritto risarcitorio (comprensivo dell’equo compenso) deve:

1. Presentare un’apposita domanda di insinuazione al passivo.
2. Indicare nella domanda la somma ricavata dalla vendita o da una nuova locazione del bene.
3. In assenza di riallocazione, allegare una stima attendibile del valore di mercato attuale del bene.

Questi elementi sono indispensabili per permettere al giudice delegato di valutare la pretesa e l’eventuale eccessività della penale contrattuale, garantendo un equilibrio tra le posizioni delle parti.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di tutelare l’equilibrio contrattuale e di evitare ingiustificati arricchimenti. L’applicazione dell’art. 1526 c.c. mira a ricondurre l’operazione alla sua sostanza economica: una vendita a rate. In caso di fallimento, la società di leasing non può trattenere sia i canoni già pagati, sia il bene, sia pretendere i canoni non pagati. Deve invece “scontare” dal suo credito il valore del bene di cui ha riacquistato la disponibilità.

La Corte ha chiarito che la clausola contrattuale che prevede il pagamento dei canoni scaduti non è di per sé nulla, ma la sua applicazione è subordinata alla corretta formulazione della domanda. Nel caso di specie, la società ricorrente non aveva fornito alcuna stima del valore del bene, omettendo un elemento essenziale per la valutazione del suo credito. Questa omissione ha reso la domanda inammissibile, portando al rigetto complessivo del ricorso.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma per gli operatori del diritto fallimentare e del settore leasing. Per i contratti di leasing traslativo risolti prima della riforma del 2017, la via maestra resta l’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. Le società concedenti che si insinuano al passivo fallimentare dell’utilizzatore devono prestare la massima attenzione a come formulano la loro domanda. È fondamentale non limitarsi a chiedere i canoni insoluti, ma strutturare una pretesa di equo compenso e risarcimento del danno, supportata da una chiara indicazione del valore ricavato o ricavabile dal bene restituito. In mancanza, il rischio è il rigetto totale della domanda di ammissione al passivo.

Quale legge si applica a un contratto di leasing traslativo risolto per inadempimento prima del fallimento dell’utilizzatore?
Si applica in via analogica la disciplina della vendita con riserva di proprietà, prevista dall’art. 1526 del codice civile. Le nuove norme introdotte dalla L. n. 124/2017 non sono retroattive e si applicano solo ai contratti i cui presupposti per la risoluzione si sono verificati dopo la sua entrata in vigore.

In un fallimento, la società di leasing può chiedere semplicemente il pagamento dei canoni scaduti e non pagati per un leasing traslativo già risolto?
No. Secondo la Cassazione, una domanda così formulata è inammissibile. La società concedente ha diritto a un equo compenso per l’uso del bene e al risarcimento del danno. Per far valere questo diritto, deve presentare una domanda di insinuazione al passivo indicando il valore ricavato dalla riallocazione del bene o, in mancanza, una stima attendibile del suo valore di mercato.

La clausola che, in caso di risoluzione, obbliga l’utilizzatore a pagare i canoni scaduti è nulla?
No, la clausola non è di per sé nulla. Tuttavia, la sua efficacia è subordinata alla corretta formulazione della domanda da parte del concedente. Quest’ultimo deve consentire al giudice di riequilibrare le posizioni, detraendo dal credito richiesto il valore del bene di cui è tornato in possesso, al fine di evitare un ingiusto arricchimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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