Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4385 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4385 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/02/2024
sul ricorso 20166/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Legale Rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME NOME elettivamente domicilaita in Torino, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente – contro
NOME;
– intimata – nonchè contro
NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME, ed elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 1768/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 04/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/11/2023 da COGNOME NOME;
Ritenuto che
1.- NOME COGNOME ha preso in RAGIONE_SOCIALE una imbarcazione da diporto dalla società RAGIONE_SOCIALE, che poi ha ceduto il contratto a RAGIONE_SOCIALE.
2.-La concessionaria ha manifestato però difficoltà nel pagamento dei canoni ed ha ottenuto, in un primo momento, una dilazione dei termini di pagamento; poi, persistendo l’inadempimento, la RAGIONE_SOCIALE ha ottenuto decreto ingiuntivo dal Tribunale di Asti, per la somma di 759.938, 32 euro che costituiva il residuo da corrispondere, oltre a spese di custodia e riparazione che si erano rese necessarie per via del fatto che l’imbarcazione aveva subito un incidente, durante il godimento che ne aveva la concessionaria, ed era stata poi lasciata presso il cantiere.
2.1.- Il decreto ingiuntivo è stato emesso sia nei confronti della NOME che del fideiussore di costei, NOME COGNOME.
2.2.- Entrambi gli ingiunti hanno proposto opposizione, ed hanno eccepito la nullità di clausole vessatorie, l’erroneità dei calcoli, l’inadempimento del concedente, l’applicazione dell’articolo 1526 c.c.
3.-Il Tribunale ha revocato il decreto ingiuntivo e compensato le spese.
3.1.Nelle more dell’appello è deceduto il fideiussore, parte in causa, NOME COGNOME, e l’appello è stato riassunto nei confronti della erede NOME COGNOME.
3.2.- La Corte di Appello di Torino ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, condannando la NOME a pagare 33.450,34 euro, e respingendo ogni altra domanda.
4.-La decisione della Corte di Appello è qui impugnata da RAGIONE_SOCIALE con sei motivi e memoria. Si è costituita con controricorso soltanto NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto della impugnazione anche con ulteriore memoria.
Considerato che
5.- A fronte di un valore di 3.867.615,55 euro, il riscatto previsto era di soli 3400,00 euro: la maggior parte del valore era dunque ripagato dai canoni, con
la conseguenza che si è trattato di un RAGIONE_SOCIALE traslativo, natura questa del resto non contestata dalle parti.
Della somma totale, risulta, secondo gli accertamenti della fase di merito, che sono stati corrisposti 2.456.250, 15 euro, e che il bene, ripreso dalla concedente, è stato da questa venduto a 1.200.000 euro.
Ciò premesso,
6.- Con il primo motivo si prospetta violazione dell’articolo 183 c.p.c.
La questione posta dalla ricorrente è la seguente: il giudice di appello ha ritenuto validamente e tempestivamente richieste le prove testimoniali, con memoria di cui all’articolo 183 c.p.c., quando invece non v’è prova alcuna di tale memoria, che non risulta depositata.
La ricorrente trascrive un elenco degli atti depositati a dimostrazione che quella memoria difetta, e dunque ne deduce un errore del giudice di appello nel fatto di averla ritenuta depositata.
Il motivo è inammissibile.
Lo è per due ragioni.
La prima è che i giudici di appello, pur avendo osservato che ‘ le memorie risultano accessibili e dunque apprezzabili nel loro tenore, oltre che depositate in termini rispettivamente il 2.7.2014 ed il 23 sm ‘ (p. 6), hanno tuttavia ritenuto di non dovere tener conto delle istanze istruttorie, ossia della prova testimoniale in esse contenute, in quanto la causa era da decidersi in base ai documenti ed agli indirizzi di giurisprudenza (p. 7).
Con la conseguenza che la contestazione della esistenza delle memorie istruttorie è irrilevante, posto che esse non sono state tenute in considerazione dal giudice di appello.
La seconda ragione è che l’accertamento circa il tempestivo deposito delle memorie è qui contrastato mediate l’indicazione di un elenco, integrato nel testo del ricorso, di cui non si ha però ragione: non si sa che elenco sia, quando è stato depositato, se sia l’unico ad enumerare gli atti depositati, o ve ne siano altri, con difetto dunque di autosufficienza del motivo.
7.- Il secondo motivo denuncia anche esso violazione dell’articolo 183 c.p.c., oltre che 244 c.p.c.
Si duole la ricorrente del fatto che, invece, alcune prove testimoniali richieste sempre con le memorie istruttorie dalla opponente sono state ammesse nonostante la genericità dei relativi capitoli e nonostante l’incompatibilità di alcuni testi.
Il motivo è inammissibile.
Lo è per le ragioni dette prima: la Corte di Appello ha chiarito, e se ne ha riscontro nella motivazione, che la causa è decisa prescindendo da quelle prove testimoniali, e basandosi soltanto sui documenti in atti.
Questa ratio , e ciò vale anche per il motivo precedente, non è contestata: ossia non si contesta qui che la causa è stata poi effettivamente decisa solo in base ai documenti e che, invece, a dispetto di quanto declamato, sono stati decisive le prove testimoniali. Con la conseguenza che l’affermazione dei giudici di merito circa l’irrilevanza delle prove testimoniali è un’affermazione che resta ferma, non sufficientemente smentita.
Ciò senza tacere del fatto che la valutazione circa la genericità del capitolo di prova è rimessa alla discrezionale valutazione del giudice di merito, non censurabile in Cassazione.
8.- Il terzo motivo prospetta violazione dell’articolo 1526 c.c.
Sostiene la ricorrente che, anche se si è trattato di RAGIONE_SOCIALE traslativo, si applica ad esso l’art. 72 legge fallimentare, anziché l’articolo 1526 c.c., dettato per la locazione.
Invece, la Corte di Appello avrebbe ritenuto il contrario.
Il motivo è infondato.
Lo è a seguito della decisione di questa Corte a Sezioni Unite, secondo cui <> (Cass. sez. Un. 2061/ 2021).
Il contratto è stato concluso prima della entrata in vigore della legge.
9.- Il quarto motivo prospetta violazione degli articoli 1362 c.c. e 2697 c.c.
La questione posta attiene al calcolo degli interessi, che una clausola del contratto basava sulla indicizzazione al franco svizzero.
La somma fatta valere, per tale voce, dalla ricorrente è stata ritenuta non dimostrata dai giudici di merito, i quali hanno osservato che <> (p. 12).
A fronte di ciò, la ricorrente eccepisce di avere invece indicato sia i periodi di riferimento che il tasso di cambio, di cui fa menzione a pagina 35 del ricorso. E di conseguenza attribuisce alla Corte una violazione sia dei canoni di interpretazione del contratto, che quei criteri prevedeva, sia dell’onere della prova.
Il motivo è inammissibile.
A prescindere dai parametri di legge di cui si assume la violazione: non è pertinente discutere di interpretazione del contratto, davanti ad una ratio che non fa leva su un particolare significato contrattuale, ma sul difetto di indicazione dei criteri di calcolo, né di onere della prova, poiché i giudici di merito non lo fanno erroneamente gravare su una anziché sull’altra parte; e del resto, a provare come si è arrivati alla somma pretesa deve essere chi quella somma, per l’appunto, pretende.
A prescindere da ciò, da un lato, la ricorrente chiede qui di verificare l’esattezza di un calcolo che ovviamente esula dal giudizio di questa Corte; per altro verso, se è vero che dimostra di avere indicato alcuni indici, o criteri di calcolo, non dimostra di avere allegato come la somma pretesa, proprio in base a quei criteri, è quella corretta: che è ciò che i giudici di merito hanno messo in rilievo.
10.- Il quinto motivo prospetta violazione degli articoli 1382 e 1384 c.c.
E’ riferito al capo di sentenza impugnata che ha ridotto la clausola penale ad equità, sulla premessa di alcuni calcoli di quanto effettivamente corrisposto, e
che ha di conseguenza riformato la decisione di primo grado, proprio ritenendo errati i conteggi effettuati dal Tribunale.
Il motivo mira a dimostrare che c’è stato errore di calcolo, specie quanto alla attualizzazione del capitale, e nell’ imputazione del corrispettivo di vendita della imbarcazione.
Si duole poi la ricorrente che non era stata ammessa CTU contabile, la quale avrebbe chiaro il conteggio.
Il motivo è inammissibile.
Quanto alla riduzione della penale, essa rientra nel potere discrezionale del giudice: si tenga presente che non viene qui contestato il potere della corte di merito di procedere a riduzione, ma è contestato il criterio usato per operare la suddetta riduzione, che è rimesso alla discrezionalità, motivata, del giudice.
Quanto al resto, si tratta di sindacato sul calcolo delle somme dovute, di quelle residue, della imputazione del ricavato della vendita: insomma di operazioni che mirano a stabile un fatto, qui non sindacabile.
11.- Il sesto motivo prospetta violazione dell’art . 112 c.p.c.
Si imputa alla Corte di Appello di non avere deciso nei confronti della erede del NOME, chiamata in causa dopo il decesso di costui, prima che iniziasse l’appello. Invero, il giudice di merito aveva ritenuto di escludere NOME COGNOME (erede del NOME) in quanto non era dimostrata la sua qualità di erede.
Sostiene la ricorrente che invece vi era piena prova documentale della accettazione di eredità.
Il motivo è inammissibile per diverse ragioni.
In primo luogo, lamenta una omessa pronuncia, che chiaramente v’è stata, sia pure in modo, per certi versi, apodittico (<> (p. 17).
In secondo luogo, la stessa ricorrente ammette che la NOME ha accettato con beneficio di inventario e dunque che la sua obbligazione deve ritenersi contenuta intra vires , ossia nei limiti del relitto (Cass. 11084/ 1993), e di tale relitto andava dunque fornita prova.
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente COGNOME, seguono la soccombenza.
Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. che liquida in complessivi euro 12.200,00, di cui euro 12.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13 .
Roma 9.11.2023
Il Presidente