Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33328 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33328 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15122/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME e COGNOME NOME;
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 785/2022 depositata il 05/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
RAGIONE_SOCIALE con riferimento al contratto di locazione finanziaria immobiliare n. 24779 del 23 novembre 2007, a seguito della risoluzione contrattuale operata unilateralmente dalla BNP Paribas Leasing Solutions S.P.A., conveniva in giudizio BNP chiedendo la condanna, ex art. 1526 c.c., alla restituzione di tutti i canoni versati e di dichiarare: a) la gratuit à del contratto di locazione finanziaria oggetto di causa, ex art. 1815 c.c.; b) la indeterminatezza e/o la nullit à della clausola di determinazione del tasso, con conseguente sostituzione nella misura di cui al comma 7 dell’art. 117 TUB; c) l’applicazione, nel contratto oggetto di causa, di interessi anatocistici.
Il Tribunale di Treviso, con la sentenza n. 479/2019 del 28 febbraio 2019, rigettava sia le domande proposte da parte attrice sia la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno svolta dalla Banca.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 785/2022, pubblicata in data 5 aprile 2022, confermava la sentenza impugnata.
Il giudice dell’appello rilevava la correttezza della decisione del Tribunale in relazione alla censura di nullit à del contratto fideiussorio per violazione della normativa antitrust in quanto la domanda di nullit à del contratto fideiussorio (per sottrarsi alle obbligazioni da esso derivanti), svolta in primo grado da COGNOME solo nella memoria conclusionale, aveva ampliato l’oggetto dell’originaria controversia, trattandosi di domanda nuova, mai tempestivamente svolta in primo grado e non fondata sulle allegazioni contenute nell’atto introduttivo.
Dichiarava, inoltre, che la societ à utilizzatrice non aveva diritto alla restituzione dei canoni versati, dovendosi nella fattispecie escludere per il Concedente maggiori vantaggi rispetto a quelli che avrebbe potuto attendersi in presenza di regolare esecuzione del rapporto contrattuale. Affermava, anche, che con l’esecuzione regolare del contratto, ove esercitato il diritto di opzione, il concedente avrebbe ottenuto il pagamento di tutti i canoni, per un valore complessivo superiore a quello dell’immobile alla data del rilascio, sicché la clausola di cui all’art. 17 non garantiva al concedente un vantaggio indebito, laddove non assicurava un utile superiore rispetto a quanto lo stesso concedente avrebbe avuto diritto ad ottenere in caso di regolare conclusione del contratto.
In relazione agli interessi moratori confermava quanto accertato dal Tribunale e non contestato dagli appellanti, che i debitori non avevano mai pagato interessi moratori.
Infine, il giudice dell’appello escludeva l’illegittimità del piano di ammortamento alla francese adottato.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione, sulla base di sei motivi.
3.1. Resiste con controricorso BNP Paribas RAGIONE_SOCIALE.P.A..
MOTIVI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE lamenta la nullità della sentenza per aver la Corte d’appello dichiarato tardivamente proposta e, pertanto, inammissibile la censura di accertamento della nullità della fideiussione prestata da NOME COGNOME per violazione della normativa antitrust.
Nello specifico, parte ricorrente lamenta la rilevabilità d’ufficio della menzionata invalidità essendo stata acquisita la fideiussione oggetto del contrasto agli atti del processo in seguito a deposito di parte convenuta in sede di primo grado.
4.1.1. Il motivo è infondato.
La nullità può, infatti, essere bensì rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ma solo là dove siano acquisiti agli atti del giudizio tutti gli elementi di fatto dai quali possa desumersene l’esistenza (sul punto, Cass. civ., ord. 4867/2024).
Nel caso di specie il giudice dell’appello ha ritenuto che la domanda di nullità sia stata svolta in primo grado da COGNOME solo nella memoria conclusionale, e che ha ampliato l’oggetto dell’originaria controversia, trattandosi di domanda nuova, mai tempestivamente svolta in primo grado e non fondata sulle allegazioni contenute nell’atto introduttivo , ratio quest’ultima invero nemmeno (quantomeno idoneamente) censurata.
4.2. Con il secondo motivo la ricorrente si duole dell’i llegittimità della sentenza d’appello ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., per contrasto con l’art. 1526 c.c. in materia di risoluzione del contratto, nonché con le norme in materia di locazione finanziaria.
Lamenta che, essendosi risolto il rapporto contrattuale in un data antecedente alla entrata in vigore della l. 124/2017, la Corte d’appello ha illegittimamente rigettato la domanda di condanna nei confronti di BNP Paribas Leasing Solutions S.p.a. alla restituzione delle rate riscosse, al netto dell’equo compenso dovuto per il godimento dell’immobile, sulla base dell’ illegittima applicazione retroattiva della suddetta legge.
4.2.1. Il motivo è infondato alla luce di quanto segue.
Con la sentenza n. 2061/2021 le Sezioni Unite hanno affermato che la legge n. 124 del 2017 (art. 1, commi 136-140) non ha effetti retroattivi e trova, quindi, applicazione per i contratti di leasing finanziario in cui i presupposti della risoluzione per l’inadempimento dell’utilizzatore (previsti dal comma 137) non si siano ancora verificati al momento della sua entrata in vigore; sicché, per i contratti risolti in precedenza e rispetto ai quali sia intervenuto il fallimento dell’utilizzatore soltanto successivamente alla risoluzione contrattuale, rimane valida la distinzione tra leasing di godimento e
leasing traslativo, dovendo per quest’ultimo social-tipo negoziale applicarsi, in via analogica, la disciplina di cui all’art. 1526 c.c. e non quella dettata dall’art. 72-quater I.f., rispetto alla quale non possono ravvisarsi, nella specie, le condizioni per il ricorso all’analogia legis, né essendo altrimenti consentito giungere in via interpretativa ad una applicazione retroattiva della legge n. 124 del 2017.
Conseguentemente, la clausola che, in ipotesi di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, attribuisce al concedente il diritto di trattenere i canoni pagati ed impone all’utilizzatore di corrispondere quelli scaduti non è, di per sé, affetta da nullità, atteso che l’utilizzatore, una volta pagato il dovuto e restituito il bene, ha diritto di vedersi restituiti i canoni versati corrispondendo l’equo compenso, fermo restando il potere officioso del giudice di ridurre l’indennità ai sensi del secondo comma dell’art. 1526 c.c. in caso di definitiva acquisizione al concedente delle rate corrisposte (Cass., Sez. III, 13 febbraio 2024, n. 3930).
Risulta, pertanto, corretta la conclusione cui è giunto il giudice di secondo grado perché con un accertamento in fatto (cfr. pagg. 14 e 15 sentenza impugnata) ha stabilito che la societ à utilizzatrice non ha diritto alla restituzione dei canoni versati, dovendosi nella fattispecie escludere che il concedente abbia ricevuto -a seguito della restituzione dell’immobile – maggiori vantaggi rispetto a quelli che avrebbe potuto attendersi in presenza di regolare esecuzione del rapporto contrattuale. Ha affermato che se il contratto fosse stato regolarmente eseguito ed esercitato il diritto di opzione, infatti, il concedente avrebbe ottenuto il pagamento di tutti i canoni, per un valore complessivo superiore a quello dell’immobile alla data del rilascio (modificando la quanto affermato dal Tribunale che aveva erroneamente applicato il valore attuale di realizzo del bene), sicch é la clausola di cui all’art. 17 non garantisce al concedente un vantaggio indebito, laddove non assicura un utile
superiore rispetto a quanto lo stesso concedente avrebbe avuto diritto ad ottenere in caso di regolare conclusione del contratto.
Senza sottacersi che la ricorrente non ha impugnato la ratio decidendi concernente la valutazione della corte territoriale in ordine all’applicazione dell’art. 1526 c.c.
4.3. Con il terzo motivo parte ricorrente censura la illegittimità della sentenza di secondo grado ex art. 360 n.3, c.p.c., per contrarietà rispetto all’art. 644 c.p., alla l. 7 marzo 1996, n, 108, nonché all’art. 1815 c.c.
RAGIONE_SOCIALE chiede a questa Corte di cassare la sentenza impugnata per aver la Corte d’appello rigettato la domanda di accertamento dell’usura senza aver determinato ed accertato il TEG contrattuale da rapportare al tasso soglia vigente al momento della stipula sulla base di un meccanismo di sommatoria tra interessi moratori e corrispettivi.
4.3.1. Il motivo è infondato.
Il giudice di secondo grado ha correttamente respinto le deduzioni di parte allora appellante ( odierna ricorrente ) in ragione dell’irrilevanza degli scenari probabilistici nell’ipotesi in cui come nella specie gli interessi contestati non siano stati in concreto mai applicati.
4.4. Con il quarto motivo la società ricorrente si duole della illegittima capitalizzazione composta degli interessi nel piano di rimborso predisposto dal BNP Paribas Leasing Solution, tale sostanziarsi nel vietato fenomeno di anatocismo bancario.
Come recentemente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il piano di ammortamento alla francese è caratterizzato dal fatto che il rimborso del capitale e degli interessi avviene secondo un piano che prevede il pagamento del debito «a rate costanti» comprensive di una quota capitale crescente e di una quota di interessi decrescente. Il mutuatario si obbliga, così, a pagare rate di importo sempre identico, composte dagli interessi, calcolati sin
da subito sull’intero capitale erogato e via via sul capitale residuo, e da frazioni di capitale quantificate in misura pari alla differenza tra l’importo concordato della rata costante e l’ammontare della quota di interessi. Come la matematica finanziaria insegna, il piano di ammortamento in questione si sviluppa a partire dal calcolo della quota di interessi e deducendo per differenza la quota capitale e non viceversa.
Un tale meccanismo, ad avviso del ricorrente, identificherebbe una forma occulta di capitalizzazione con conseguente produzione ricorsiva di un maggior monte interessi, in una spirale ascendente indotta dal regime esponenziale impiegato per predisporre il piano di ammortamento.
4.4.1. Il motivo è infondato.
Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di porre in rilievo non può escludersi in astratto che l’operazione di finanziamento si realizzi mediante la produzione di interessi su interessi per effetto della quale il tasso effettivo risulti maggiore di quello nominale e sfugga alla rilevazione nel TAEG, ma tale evenienza è da accertare caso per caso, nel quadro delle domande e delle eccezioni delle parti, attraverso indagini contabili volte a verificare se nella singola fattispecie siano pretesi o siano stati pagati interessi superiori a quelli pattuiti.
Si tratta di stabilire in concreto se vi stata o meno produzione in concreto di interessi su interessi, questione di fatto incensurabile in sede di legittimità (Cass. 9237/2020; Cass. 8382/2022; Cass. 13144/2023; Cass., Sez. Un. 15130/2024).
4.5. Con il quinto motivo di ricorso, la ricorrente contesta l’inammissibilità dichiarata per violazione dell’art. 342 c.p.c. della seguente questione, proposta in sede di appello.
Nel dettaglio, la questione attiene alla applicabilità o meno dell’art. credito,
117 t.u.b. a tutti i fruitori del mercato di indipendentemente dalla rispettiva qualifica e/o qualità.
Il giudice di secondo grado ha ritenuto inammissibile la domanda in quanto la società non può in alcun modo qualificarsi come « consumatore».
4.5.1. Ebbene, il motivo è inammissibile per genericità e difetto di specificità in quanto non contiene argomentazioni che spieghino come e perché la norma sia stata violata, limitandosi a postulare la violazione del tutto assertivamente oppure evocando principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza della Corte, senza spiegare perché essi verrebbero in rilievo e sarebbero stati violati dal giudice di merito.
4.6. Con il sesto motivo di ricorso è censurata la mancata o illogica esposizione delle ragioni di fatto e di diritto nella decisione di rigettare la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio con riferimento alle domande di indeterminatezza del tasso di usura e di anatocismo.
4.6.1. Il motivo è infondato.
La consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente) richiedenti specifiche cognizioni tecniche (Cass. 3717/2019).
Nel caso di specie il giudice dell’appello, con una motivazione in fatto, ha respinto la richiesta di integrazione della Ctu in ragione della ravvisata finalità meramente esplorativa della medesima.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 13.200,00,ghnvgb di cui euro 13.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza