Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25869 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25869 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LA BATTAGLIA NOME
Data pubblicazione: 27/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4613/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (C.F. CODICE_FISCALE) per procura speciale in calce al ricorso per cassazione; – ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del consigliere delegato NOME COGNOME, rappresentato e difeso, per procura speciale allegata al controricorso, dall’AVV_NOTAIO COGNOME (CODICE_FISCALE), con domicilio digitale EMAIL;
e
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l o studio dell’AVV_NOTAIO; rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (C.F. CODICE_FISCALECODICE_FISCALE per procura speciale allegata al controricorso;
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania n. 120/2021, depositata il 14/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/04/2024 dal dott. NOME COGNOME BATTAGLIA.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. In data 13/04/2010, il sig. NOME COGNOME stipulò con la società RAGIONE_SOCIALE un contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto un’imbarcazione costruita dal RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti semplicemente ‘COGNOME‘), da quest’ultima venduta alla società concedente. Con atto di citazione del 18/11/2013, deducendo l’anomala presenza di fumi di scarico all’interno della cabina (che persistevano nonostante gli interventi manutentivi posti in essere da COGNOME), il NOME agì per la risoluzione ex art. 1492 c.c. del contratto di vendita stipulato tra il fornitore e il concedente, domandando altresì il risarcimento dei danni patrimoniali (pari al rimborso delle rate versate) e non patrimoniali. Il concedente, costituitosi in giudizio, ‘ratific ò ‘ l’azione promossa da ll’utilizzatore nei confronti del venditore e, per l’ipotesi in cui fosse stata rigettata, deduss e l’intervenuta risoluzione del contratto di leasing ex art. 1456, comma 2, c.c., per mancato pagamento delle rate, conseguentemente invocando la condanna del COGNOME al pagamento dei canoni dovuti fino alla risoluzione, oltre che delle altre somme di cui all’art. 19, lett. b), delle condizioni generali di contratto.
Il Tribunale di Catania accolse, da un lato, la domanda di risoluzione del contratto di compravendita, condannando COGNOME al risarcimento del danno patrimoniale patito dall’attore per € 611.640,00 e, dall’altro, la domanda di risoluzione del contratto di leasing , con conseguente condanna in solido di COGNOME e COGNOME al
risarcimento del danno patrimoniale patito dalla società concedente, quantificato in € 526.005,0 0. Sancì, infine, in capo a COGNOME, l’obbligo di tenere indenne COGNOME dalla suddetta condanna.
La Corte d’ Appello di Catania riformò la decisione di primo grado, ritenendo maturato il termine annuale di prescrizione dell’azione ex art. 1495 c.c. (decorrente dalla consegna del bene), dal momento che il processo era stato instaurato in data 18/11/2013, a fronte della consegna dell’imbarcazione il 13/04/2010. Con riguardo ai numerosi atti interruttivi della prescrizione allegati dall’utilizzatore , i giudici di secondo grado ritennero che, a tutto concedere, l’ultimo idoneo allo scopo poteva identificarsi nella riparazione eseguita da COGNOME nel 2011, rispetto alla quale intempestiva doveva considerarsi la successiva lettera di costituzione in mora inviata dal COGNOME in data 16/04/2013. Gli ulteriori asseriti atti, invece, in nessun caso potevano ritenersi utili ai sensi dell’art. 2943 c.c., da un lato perché le comunicazioni inviate dal COGNOME non erano indirizzate al legale rappresentante o a un rappresentante specificamente designato da COGNOME e non manifestavano la volontà specifica di avvalersi del contenuto tipico della garanzia; dall’altro, perché le risposte di COGNOME ‘non comporta no ricognizione del diritto di garanzia ma al più dei vizi denunciati’ (pag. 14 della sentenza impugnata). Conseguentemente, con sentenza non definitiva la c orte d’appello dichiarò l’avvenuta risoluzione del contratto di leasing e condan nò l’utilizzatore alla restituzione del bene, contestualmente rimettendo la causa sul ruolo per l’espletamento di una c.t.u. volta alla determinazione del credito del concedente (legittimamente parametrato, alla stregua delle clausole contrattuali , all’importo de i canoni scaduti e a scadere e al prezzo d’opzione, previa detrazione del ricavato della vendita del bene stesso o del suo valore).
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, NOME COGNOME. Hanno depositato controricorso
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (la quale ultima ha depositato pure memoria ex art. 380bis .1 c.p.c.).
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2943, comma 4, c.c., per non avere ritenuto idonee, a fini interruttivi della prescrizione, le comunicazioni inviate dal COGNOME all’ufficio ‘ customer care ‘ del cantiere, e non aver qualificato alla stregua di riconoscimento del diritto il contegno di COGNOME, intervenuta per ben tre volte al fine di apportare riparazioni all’imbarcazione. Il motivo è infondato.
Occorre premettere che, affinché l’atto notificato a persona diversa dal debitore abbia efficacia interruttiva della prescrizione, è necessario che il destinatario sia rappresentante (effettivo o apparente) del debitore medesimo (Cass., n. 41423/2021; n. 5208/2015). Ebbene, nel ricorso (e pure nella comparsa conclusionale in appello, all’uopo richiamata nel ricorso stesso) non viene compiutamente trascritto il testo delle comunicazioni, né indicata con precisione l’identità de i destinatari, limitandosi il ricorrente ad affermare che essi ‘erano parte dell’ufficio appositamente incaricato (denominato customer care ) dalla ditta costruttrice per la gestione della vicenda, ovvero ancora erano soggetti che evidentemente erano stati personalmente incaricati da COGNOME per cercare una soluzione risolutoria delle problematiche evidenziate dal cliente insoddisfatto’ (pagg. 12 e s.). Anche sotto il profilo del contenuto, non è possibile apprezzare se le comunicazioni suddette fossero tali da manifestare l’intenzione di esercitare il diritto.
Quanto agli interventi di riparazione, è pur vero che, secondo Cass., n. 33380/2023, ‘il comportamento del venditore – nella specie consistito in successivi interventi di riparazione della cosa venduta è incompatibile con la volontà di contestare l’esistenza dei vizi e costituisce, ai sensi dell’art. 2944 c.c., atto idoneo ad interrompere
la prescrizione dell’azione di garanzia, di cui all’art. 1495, comma 3, c.c.’ (si veda anche, in relazione però alla decadenza, Cass., n. 8775/2024); tuttavia, nel caso di specie, tale regula juris non è utile al ricorrente, posto che la sentenza di merito ha ritenuto decorso il termine di prescrizione anche considerando efficace, ai fini de quibus , l’intervento di riparazione dell’estate del 2011 , dopo il quale non è stato dedotto dal ricorrente se e quando ne siano stati effettuati altri.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 130 e 132 del d.lgs. n. 206/2005 (codice del consumo), i quali (nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 170/2021) prevedevano un termine di prescrizione biennale (in realtà, l’art. 132, comma 4, faceva riferimento a ventisei mesi) per l’azione di prescrizione .
Il motivo potrebbe astrattamente condurre alla cassazione della sentenza impugnata solo nel caso in cui si ritenesse che il giudice di merito abbia individuato il dies a quo della prescrizione in quello in cui fu effettuato l’intervento riparatore di COGNOME nell’estate 2011 (posto che, dal momento della consegna del bene – avvenuta il 13/04/2010 -a quello della diffida del 16/04/2013 i ventisei mesi in questione erano già decorsi). A prescindere da ciò, il ricorrente non ha indicato ‘quando’ , ‘dove’ e in che termini, in seno al giudizio di merito, ha posto la questione (salva la menzione -a pag. 16 del ricorso -della comparsa conclusionale e della memoria di replica in appello, le quali evidentemente integrano scansioni processuali intempestive allo scopo). In ogni caso, a fronte del l’omissione di pronuncia della corte d’appello , egli avrebbe dovuto censurare la sentenza di merito per violazione dell’art. 112 c.p.c., sicché, da tale angolo visuale, il motivo si mostra inammissibile.
Peraltro, sotto il profilo del presupposto soggettivo di applicabilità della disciplina del codice del consumo, occorre considerare come, alla stregua di Cass., Sez. un ., n. 19785/2015, ‘ l’operazione di
leasing finanziario si caratterizza per l’esistenza di un collegamento negoziale tra il contratto di leasing propriamente detto, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (noto a quest’ultimo) di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, in forza del quale, ferma restando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale, l ‘ utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. In mancanza di un ‘ espressa previsione normativa al riguardo, l’utilizzatore non può, invece, esercitare l’azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) se non in presenza di specifica clausola contrattuale, con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale, restando il relativo accertamento rimesso al giudice di merito poiché riguarda non la legitimatio ad causam ma la titolarità attiva del rapporto’. Nel caso di specie, l’utilizzatore ha fatto valere la risoluzione del contratto di compravendita (nell’ottica dell’art. 130 cod. cons., verosimilmente sulla base dell’implicita deduzione dell’insuccesso dei tentativi di ripristino), senza però allegare l’avvenuta cessione in suo favore, in seno al contratto di leasing , della relativa azione da parte della società concedente (e ciò al di là dell’ulteriore problema di stabilire se la cessione in discorso, anche ove in ipotesi intervenuta, non precludesse comunque al l’utilizzatore la spendita delle prerogative ‘consumeristiche’, facendolo subentrare nel diritto alla risoluzione spettante ad un soggetto – il concedente – certamente non qualificabile come consumatore).
In definitiva, il motivo è da rigettare.
Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente censura la carenza di motivazione, ai sensi dell’ art. 360 n. 5, c.p.c., in ordine alla questione della prescrizione, non essendo dato comprendere, a quali degli atti (asseritamente) interruttivi vadano specificamente riferiti i
‘vizi’ che secondo la c orte d’appello li renderebbero inidonei allo scopo.
Il motivo è inammissibile.
Premesso che, ‘ in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali’ (Cass., n. 7090/2022) , nel caso di specie la motivazione, sul punto della prescrizione, si pone ampiamente al di sopra del suddetto ‘minimo costituzionale’, dapprima elencando (a pag. 12) gli atti interruttivi allegati dal ricorrente, e poi indicando le due ragioni ( collegate dalla disgiuntiva ‘ovvero’ ) per le quali gli stessi non possano considerarsi idonei ai sensi dell’art. 2943 c.c. (ciascuna delle quali facilmente correlabile agli atti summenzionati, sulla base della relativa descrizione).
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna delle controricorrenti, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 12.200,00 ( di cui € 200,00 per esborsi ), oltre spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE; in complessivi € 10.200,00 (di cui € 200,00 per esborsi), oltre spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115/2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato relativo al ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza sezione