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Lavoro socio cooperativa: quando è subordinato?

Una società cooperativa ha contestato la richiesta di ingenti contributi previdenziali da parte dell’Ente Previdenziale, che aveva riqualificato i rapporti con i soci come lavoro subordinato. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della cooperativa, confermando la decisione dei giudici di merito. La Corte ha stabilito che, ai fini della classificazione del rapporto di lavoro socio cooperativa, prevalgono le concrete modalità di svolgimento della prestazione rispetto alla qualificazione formale data dalle parti. L’aver inizialmente optato per il regime contributivo dei lavoratori dipendenti costituisce un forte indizio a sfavore della tesi della cooperativa, che non è riuscita a provare la natura autonoma dei rapporti.

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Lavoro Socio Cooperativa: la Realtà dei Fatti Vince sul Contratto

La corretta qualificazione del rapporto di lavoro è un tema cruciale, specialmente nel contesto delle società cooperative. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per determinare se il lavoro socio cooperativa sia autonomo o subordinato, non basta guardare al contratto, ma bisogna analizzare le concrete modalità di esecuzione della prestazione. Questo caso ha visto una cooperativa contrapposta all’Ente Previdenziale per una richiesta milionaria di contributi non versati, originata proprio dalla riqualificazione dei rapporti con i soci.

I Fatti di Causa

Tutto ha origine da un verbale ispettivo con cui l’Ente Previdenziale ha qualificato come lavoro subordinato tutti i rapporti di lavoro dei soci di una cooperativa, richiedendo il pagamento di una somma ingente per contributi e sanzioni. La cooperativa ha impugnato il verbale, sostenendo che i rapporti con i propri soci fossero di natura autonoma, come formalmente previsto dai contratti sottoscritti.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto le ragioni della società, confermando la legittimità della richiesta dell’Ente. La questione è quindi giunta all’esame della Corte di Cassazione, a cui la cooperativa si è rivolta con numerosi motivi di ricorso, incentrati sulla violazione di norme relative alla prova e alla natura specifica del rapporto di lavoro in cooperativa.

La Decisione sul Lavoro Socio Cooperativa

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza d’appello e condannando la società al pagamento delle spese legali. La decisione si fonda sulla prevalenza del principio di effettività: la natura di un rapporto di lavoro si desume da come esso si è concretamente svolto e non dalla qualificazione formale (il cosiddetto nomen iuris) che le parti gli hanno attribuito.

Le Motivazioni della Sentenza

I giudici hanno articolato il loro ragionamento su diversi punti chiave, fondamentali per comprendere la disciplina del lavoro socio cooperativa.

Oltre il Nomen Iuris: la Prevalenza della Realtà Fattuale

Il cuore della motivazione risiede nel fatto che i giudici di merito non si sono limitati ad analizzare i contratti, ma hanno accertato in concreto gli elementi tipici della subordinazione. Hanno verificato che i soci svolgevano, in via continuativa, prestazioni di pulizia e facchinaggio nell’ambito degli appalti acquisiti dalla cooperativa. Questo avveniva a fronte di una retribuzione oraria prestabilita, senza che i soci apportassero attrezzature proprie o fossero soggetti ad alcun rischio imprenditoriale. In sostanza, i soci si limitavano a mettere le proprie energie a disposizione dell’organizzazione aziendale, che li ricompensava in base alla durata delle prestazioni.

L’Onere della Prova e il Ruolo dell’Inquadramento Iniziale

Un elemento decisivo, sottolineato dalla Corte, è stato il comportamento della stessa cooperativa. Essa, per un lungo arco di tempo, aveva scelto di applicare ai propri soci il regime contributivo proprio del lavoro dipendente. Secondo la Cassazione, questo costituisce un elemento indiziario di grande peso (id quod plerumque accidit), che non può essere ignorato. L’inquadramento previdenziale come dipendenti, scelto dalla stessa società, ha creato una presunzione a suo sfavore, rendendo ancora più gravoso l’onere di dimostrare la natura autonoma del rapporto. La cooperativa non è riuscita a fornire prove sufficienti a superare questa presunzione e a dimostrare l’erroneità della sua stessa opzione iniziale.

La Distinzione tra Evasione e Omissione Contributiva

Infine, la Corte ha confermato la qualificazione della violazione come “evasione contributiva”, la fattispecie più grave prevista dalla legge, e non come semplice “omissione”. La motivazione si basa sull’accertamento di una gestione “duplice” dei rapporti di lavoro: da un lato, si consentiva ai lavoratori di beneficiare degli istituti previdenziali tipici del lavoro dipendente; dall’altro, si ometteva di sostenerne i relativi costi contributivi. Questo comportamento è stato interpretato come una finalità di occultamento dei dati, integrando così gli estremi dell’evasione e non della mera omissione, con conseguenze sanzionatorie più pesanti.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma con forza che nel lavoro socio cooperativa, come in ogni rapporto di lavoro, la realtà fattuale prevale sempre sulla forma contrattuale. Le imprese, in particolare le cooperative, devono prestare la massima attenzione a come i rapporti con i propri soci sono concretamente strutturati. La scelta di un inquadramento previdenziale ha conseguenze significative e può essere usata come prova contro la stessa azienda in un contenzioso. L’apparenza non basta: se un socio lavora di fatto come un dipendente, deve essere trattato come tale a tutti gli effetti, compresi quelli contributivi, per evitare pesanti sanzioni.

In un rapporto di lavoro con un socio di cooperativa, conta di più il contratto scritto o come si svolge il lavoro nella realtà?
Secondo la Corte, conta come il lavoro si svolge nella realtà. Il principio di effettività prevale sulla qualificazione formale (il cosiddetto nomen iuris) data dalle parti nel contratto. Se un socio lavora con le modalità tipiche di un dipendente, il rapporto è considerato subordinato a prescindere da cosa c’è scritto nel contratto.

Se una cooperativa inquadra inizialmente i suoi soci come dipendenti ai fini previdenziali, può poi sostenere che il loro lavoro era autonomo?
Può farlo, ma la sua posizione è molto indebolita. La Corte ha stabilito che l’aver scelto il regime contributivo dei lavoratori dipendenti costituisce un forte elemento indiziario a sfavore della cooperativa. Per sostenere la natura autonoma del rapporto, la società avrebbe dovuto fornire prove concrete e convincenti dell’erroneità di quella sua scelta iniziale, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

Qual è la differenza tra omissione ed evasione contributiva secondo la Corte?
L’omissione contributiva è un semplice mancato versamento, mentre l’evasione contributiva implica l’intenzione di nascondere i rapporti di lavoro o le retribuzioni per non pagare i contributi. Nel caso esaminato, la Corte ha confermato la qualifica di evasione perché la società gestiva i rapporti in modo duplice: permetteva ai soci di godere di tutele da lavoro dipendente, ma ometteva di pagarne i costi contributivi, configurando così una finalità di occultamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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