Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23919 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23919 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14678-2020 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 464/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 16/12/2019 R.G.N. 332/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Verbale INPS disconoscimento lavoro agricolo -rapporto di parentela e presunzione gratuità
R.G.N. 14678/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 12/06/2025
CC
RILEVATO CHE
1.La Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza di primo grado di parziale accoglimento del ricorso, proposto da COGNOME Rosario, volto ad annullare il verbale di accertamento con il quale INPS aveva ritenuto l’insussistenza del rapporto di lavoro subordinato agricolo con cinque lavoratori, tra cui il figlio del datore, COGNOME NOME, confermando, all’esito del giudizio, l’accertamento solo per quest’ultimo, non potendo fondarsi la prova della subordinazione sulle buste paga e sulla cessata convivenza fra i due.
Sosteneva l’appellante, in questa sede ricorrente, che INPS avrebbe dovuto provare il disconoscimento del rapporto di lavoro del datore con il figlio, che la mancanza di convivenza faceva venir meno la presunzione di gratuità e che dalle prove espletate era emerso il rapporto di lavoro subordinato.
La Corte territoriale ha respinto l’appello di Militello Rosario ritenendo, invece, che incombesse sull’interessato la prova della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato agricolo, e che, pur prescindendo dalla convivenza, la prova del rapporto di lavoro tra familiari debba essere rigorosa, trattandosi di prestazioni normalmente rese affectionis vel benevolentiae causa . Quanto all’onerosità del rapporto non costituiva prova il mero dato formale delle buste paga dovendosi richiedere l’effettivo pagame nto delle retribuzioni, ed erano risultate prive di specificità le dichiarazioni di un teste, addetto al materiale pagamento in contanti delle retribuzioni.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione COGNOME NOME affidandosi a tre motivi, illustrati in memoria, a cui INPS resiste con controricorso.
La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 12/6/2025.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 co.1 n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 116 c.p.c. ed error in procedendo ‘per viziata motivazione sul giudizio di fatto decisivo della controversia’, per avere la Corte d’appello annullato il disconoscimento del rapporto di lavoro per 4 lavoratori sulla base di un quadro probatorio ritenuto, invece, non credibile soltanto per un lavoratore, in ragione del suo rapporto di filiazione con il datore, ed a fronte di un onere probatorio a carico di INPS sui fatti dedotti nell’avviso di accertamento. Rileva quindi che il verbale di accertamento non ha valore precostituito neanche di presunzione semplice, che l’INPS è attore sostanziale ed ha l’onere di provare i fatti a sostegno del disconoscimento dei rapporti di lavoro anche se assume la posizione formale di convenuto in un giudizio di accertamento negativo; ed ancora, rileva che, in difetto di convivenza, non opera la presunzione di gratuità del rapporto di lavoro in ambito familiare, in presenza, peraltro, di indici di subordinazione, quali la retribuzione fissa, l’osservanza di un orario di lavoro, la continuità della prestazione, il vincolo di soggezione al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore, l’inserimento in una organizzazione aziendale, dati desumibili da prove testimoniali e documentali a sostegno del rapporto
subordinato. Il figlio, poi, era uscito dal nucleo familiare nel 2008 come da certificato di residenza storico, ed aveva svolto altro tipo di attività lavorativa (come autista ed amministratore unico di una RAGIONE_SOCIALE).
Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto storico rilevante e decisivo, concernente l’annullamento del medesimo verbale di accertamento (n.NUMERO_DOCUMENTO) relativo al disconoscimento del rapporto di lavoro fra le stesse parti, nel corso di altro giudizio – definito con sentenza di accoglimento n.2/2918 passata in giudicato e già prodotta in secondo grado – concluso con il riconoscimento del rapporto di lavoro.
Nel terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione di legge, con riferimento agli artt. 92 c.p.c. e 152 disp. att. c.p.c., per non avere la Corte d’appello applicato la disposizione di esenzione dal pagamento delle spese in caso di soccombenza, pur trattandosi di una controversia in tema di previdenza.
Nel controricorso INPS eccepisce l’inammissibilità del ricorso, introduttivo di una nuova valutazione del materiale probatorio, ed evidenzia che il ricorrente non ha dedotto di avere formalmente eccepito il giudicato esterno in appello, né sono trascritti i passaggi motivazionali della sentenza, con difetto di autosufficienza. Sul terzo motivo rileva che la natura della controversia non attiene a prestazioni previdenziali e quindi non opera l’ esenzione ex art. 152 disp. att. c.p.c.
3. Il ricorso è infondato.
Sul primo motivo non si riscontra alcuna violazione della regola di riparto dell’onere probatorio dettata dall’art. 2697
c.c.; ben vero, nel giudizio promosso dal contribuente per l’accertamento negativo del credito previdenziale, incombe all’INPS l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa contributiva, che l’Istituto fondi su rapporto ispettivo (Cass. sent. n.14965/2012), ed il verbale di accertamento fa piena prova fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonché alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti ed alle valutazioni del verbalizzante né ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero ai fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche (ex multis, Cass. n. 23800/2014). Ma a fronte dell’annullamento di rapporti di lavoro subordinato quale presupposto per la costituzione di una posizione previdenziale e assicurativa, n ell’esercizio del potere di autotutela dell’INPS, questa Corte ha evidenziato in altre, più recenti pronunce, che spetta all’interessato dimostrare l’esistenza del rapporto subordinato.
4.1 È stato infatti osservato che ‘In forza del potere di autotutela spettante, in via generale, alle pubbliche amministrazioni, l’Inps è legittimato a compiere atti di verifica, di rettifica e di valutazione di situazioni giuridiche preesistenti, nonché ad annullare d’ufficio, con effetto “ex tunc”, qualsiasi provvedimento che risulti “ab origine” adottato in contrasto con la normativa vigente, e quindi può disconoscere in radice dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato che costituisce presupposto necessario ed indefettibile della
sussistenza del rapporto assicurativo, con la conseguenza, in questa evenienza, che i contributi versati sono inidonei a costituire una valida posizione assicurativa. In tal caso, colui che intende far valere l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e, per l’effetto, la valida attivazione del rapporto previdenziale-assicurativo deve provare in modo certo l’elemento tipico qualificante del requisito della subordinazione ‘ (cfr. Cass. ord. n. 809/2021).
4.2In ambito di rapporto di lavoro agricolo, il disconoscimento del rapporto di lavoro produce i suoi effetti sulla cancellazione nell’elenco dei braccianti agricoli, e quindi sull’annullamento dei periodi di lavoro dichiarat i dal datore ai fini dell’accredito contributivo; ed anche sul punto questa Corte ha precisato che spetti al lavoratore l’onere probatorio per l’accertamento dello status di lavoratore agricolo , disconosciuto da INPS (‘ L’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli assolve una funzione di agevolazione probatoria che viene meno qualora l’INPS, a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza di un rapporto di lavoro esercitando una propria facoltà, che trova fondamento nell’art. 9 del d.lgs. n. 375 del 1993, con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto di iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudiz io’, Cass. n. 12001/2018 e n. 2739/2016).
4.3 Ciò posto, centrale nell’accertamento del rapporto di lavoro fra soggetti legati da vincolo familiare è dimostrare non soltanto la subordinazione, in tutti i suoi elementi caratterizzanti, ma anche l’onerosità; nel caso di convivenza
vige la presunzione di gratuità fondata su esigenze solidaristiche e di collaborazione endofamiliare, ma in caso di non convivenza, non vigendo una presunzione contraria di onerosità del rapporto, occorre dimostrare, con rigore, tutti gli elementi della subordinazione, fra i quali l’onerosità. Anche sul punto questa Corte si è già espressa nel senso di ritenere che ‘In tema di onere della prova relativo al rapporto di lavoro subordinato, ove la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative fra persone legate da vincoli di parentela o affinità debba essere esclusa per l’accertato difetto della convivenza degli interessati, non opera “ipso iure” una presunzione di contrario contenuto, indicativa dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato; ne consegue che la parte che faccia valere diritti derivanti da tale rapporto ha comunque l’obbligo di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa, tutti gli elementi costitutivi e, in particolare, i requisiti indefettibili della onerosità e della subordinazione’ (Cass. ord. n.19144/2021).
4.4 -Non è, dunque, fondata la censura di violazione della regola di riparto dell’onere probatorio né del prudente e libero apprezzamento del giudice nella valutazione delle prove raccolte. Ed in particolare le argomentazioni svolte in sentenza, sulla inidoneità della prova testimoniale a dimostrare l’avvenuto pagamento in contanti della retribuzione e della non rilevanza delle buste paga stante il loro contenuto formale e provenienza (di cui peraltro neppure si annota se risultino sottoscritte ‘ per ricevut a’ appost a dal lavoratore, il che non implica in maniera univoca, l’effettivo pagamento della somma ivi indicata, cfr. Cass. ord. n.10306/2018), non sono contestate da contrarie risultanze probatorie allegate agli atti di causa e non determinano alcuna conseguenza circa gli oneri
probatori gravanti sulle parti, che restano egualmente ripartiti nel senso sopra indicato.
4.5 – Il motivo di ricorso, nelle sue ulteriori articolazioni volte ad evidenziare la sussistenza degli indici di subordinazione, orienta, peraltro, le iniziali censure in diritto verso una rivalutazione delle prove raccolte nel giudizio di merito, inammissibile in sede di legittimità.
5. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
5.1 La censura di omesso esame inquadrata nell’ambito dell’art. 360, co.1, n.5, c.p.c., introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Il principio, espresso dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053 del 2014, è stato più volte ripreso in altre pronunce della Corte di
cassazione, con la precisazione che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (ord. n.27415/2018 e n.17005/2024). Ed ancora, questa Corte ha precisato che nel paradigma del vizio denunciato ai sensi del n.5 dell’art. 360 c.p.c . non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (sent. 14802/2017), e che il vizio deve essere riferito ad un fatto inteso quale specifico accadimento storico-naturalistico (ord. n.24035/2018) la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti avente carattere decisivo (ord. 13024/2022).
5.2 – La censura mossa dal ricorrente alla pronuncia di merito, invero, non indica i fatti, appartenuti alla causa, oggetto di discussione fra le parti, di cui non sia stata operata valutazione di merito; il ricorrente non menziona né riporta in ricorso il contenuto della doglianza che afferma di avere già esposto in grado di appello circa la sopravvenuta pronuncia di primo grado resa nel corso di un altro giudizio avente ad oggetto lo stesso verbale di accertamento opposto dall’attuale ricorrente, non riporta il contenuto della domanda in quella sede azionata e della sentenza che avrebbe annullato il medesimo verbale INPS, e neppure ne riporta il passaggio in giudicato facente stato fra le stesse parti del presente giudizio. Tali mancanze rendono il motivo non specifico, e non valutabile come fatto decisivo nel senso di fatto idoneo a determinare una diversa soluzione della controversia in esame.
Riguardo al terzo motivo, va affermata l’infondatezza poiché la dichiarazione di esonero ex art. 152 disp. att. c.p.c. si riferisce ai giudizi volti ad ottenere prestazioni previdenziali, nel cui ambito non rientra la controversia in esame.
Il ricorso va complessivamente respinto. Seguono, per soccombenza, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo, e le determinazioni sul contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della presente fase, che si liquidano in euro 3.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di rito.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 12 giugno