Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25194 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 25194 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/09/2025
SENTENZA
sul ricorso 1364-2023 proposto da:
COGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 932/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/11/2022 R.G.N. 3347/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità o comunque rigetto del ricorso;
R.G.N. 1364/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 02/07/2025
PU
udito l’avvocato NOME COGNOME per delega avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto le domande proposte dai lavoratori in epigrafe nei confronti di RAGIONE_SOCIALE con cui era stato chiesto all’adito Tribunale ‘di accertare, in via principale, la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso e di condannare la convenuta al pagamento delle somme richieste a titolo di differenze retributive e di TFR; in subordine, in caso di mancato riconoscimento della subordinazione, di condannare comunque la convenuta al pagamento dei maggiori compensi dovuti ai sensi dell’art. 63 d. lgs. n. 276/2003’.
La Corte, in estrema sintesi e per quanto qui rilevi, dopo aver diffusamente valutato il materiale istruttorio acquisito, ha concluso: ‘poiché i ricorrenti non erano soggetti né al potere gerarchico, né al potere disciplinare, né al potere di controllo sulle modalità di espletamento della prestazione lavorativa da parte del datore di lavoro, non vi sono elementi per ritenere che il rapporto di lavoro intercorso tra le parti sia stato, di fatto, un rapporto di lavoro subordinato’.
La Corte ha poi aggiunto: ‘poiché le domande avanzate in via subordinata in base alla (asserita) violazione dell’art. 63 d. lgs. n. 276/2003 non sono state riproposte, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., in appello, con conseguente presunzione di rinunzia, ogni pretesa avanzata deve ritenersi infondata e deve, di conseguenza, essere rigettata’.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i soccombenti con nove motivi; ha resistito con controricorso la società.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi del ricorso possono essere sintetizzati come di seguito:
1.1. il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115, 116, 100, 324 c.p.c., nonché ‘omessa valutazione di una circostanza determinante ex art. 360 n. 5 c.p.c.’; si sostiene che la Corte territoriale avrebbe ‘omesso di valutare la circostanza determinante, su cui si è anche formato giudicato, in ordine alle ragioni poste a fondamento dal primo giudice dell’attendibilità del teste COGNOME;
1.2. il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115, 116, nonché ‘omessa valutazione di una circostanza determinante ex art. 360 n. 5 c.p.c.’, per avere la Corte territoriale ritenuto ‘attendibili i testimoni di parte resistente seppure legati da un vincolo di subordinazione, all’epoca dei fatti’;
1.3. il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., nonché ‘omessa valutazione di una circostanza determinante ex art. 360 n. 5 c.p.c.’; si eccepisce pure: ‘violazione del giudicato ex art. 324 c.p.c. sull’attiv ità inbound ‘; si sostiene che ‘il semplice accertamento, coperto dal giudicato, in ordine allo svolgimento anche della mansione di call center in modalità inbound ha implicato un analogo accertamento, coperto dal giudicato, sulla natura generica (fittizia e non genuina) del
relativo progetto con conseguente diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro in subordinato’;
1.4. il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115, 116 c.p.c., l. n. 92/2012, della ‘circolare ministeriale n. 17 del 2006’, nonché ‘omessa valutazione di una circostanza determinante ex art. 360 n. 5 c.p.c.’;
1.5. il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c., nonché ‘omessa valutazione di una circostanza determinante ex art. 360 n. 5 c.p.c.’; si eccepisce pure la violazione del giudicato; si censura la senten za gravata ‘con riguardo alla scelta dei parametri normativi utilizzati per l’individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto’;
1.6. il sesto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c., nonché ‘omessa valutazione di una circostanza determinante ex art. 360 n. 5 c.p.c.’; si eccepisce pure la violazione del giudicato ex art. 324 c.p.c.; si censura la sentenza gravata ‘con riguardo alla scelta dei parametri normativi utilizzati per l’individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto’;
1.7. il settimo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c., nonché ‘omessa valutazione di una circostanza determinante ex art. 360 n. 5 c.p.c.’; si eccepisce pure la violazione del giudicato ex art. 324 c.p.c.; si censura la sentenza gravata per avere ‘escluso come indice rivelatore della subordinazione la preventiva organizzazione di un piano ferie’;
1.8. l’ottavo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c., nonché ‘omessa valutazione di una circostanza determinante ex art. 360 n. 5 c.p.c.’; si eccepisce pure la violazione del giudicato ex art. 324 c.p.c.; si censura la sentenza gravata per avere
ritenuto assente la prova del lavoro ‘da casa’ sulla base delle dichiarazioni di un solo teste e si critica ‘l’affermazione sul pagamento della voce incentivo’;
1.9. il nono motivo testualmente denuncia: ‘violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. con riguardo agli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. -2697 c.c. Circ. Ministero Lavoro’; si critica la decisione ‘nella parte in cui ha ritenuto il coordinamento espletato verso i ricorrenti come ‘compatibile’ con l’autonomia propria dei contratti di collaborazione’.
I motivi di ricorso presentano plurimi e concorrenti profili di inammissibilità.
2.1. Tutti i motivi, tranne l’ultimo, evocano il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. ben oltre i limiti stabiliti dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014.
Con tali decisioni il Supremo Collegio ha espresso su tale norma i seguenti principi di diritto (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite con le sentenze n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici): a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. c.c., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella
“motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) la parte ricorrente dovrà indicare -nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c. p. c. e 369, secondo comma, n. 4), c. p. c. – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.
I motivi che nel ricorso invocano il vizio in questione risultano largamente irrispettosi di tali enunciati, tra l’altro denunciando l’omesso esame di circostanze che non sono fatti storici ma processuali (quali l’attendibilità di testi) ovvero affatto decisive, nel senso inteso da questa Corte secondo cui è fatto decisivo quello che, se fosse stato esaminato, avrebbe portato ad una soluzione diversa della vertenza con un giudizio di certezza e non di mera probabilità (v., tra molte, Cass. SS.UU. n. 3670 del 2015 e n. 14477 del 2015), conclamata dalla stessa pluralità delle circostanze di cui si lamenta il mancato esame (cfr. Cass. n. 21439 del 2015), traducendosi piuttosto le censure, nella sostanza, in un inammissibile diverso convincimento rispetto a quello
espresso dai giudici del merito nella valutazione del materiale probatorio.
2.2. I richiami, contenuti in vari motivi, alla violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e 2697 c.c. sono inappropriati e non tengono conto della consolidata giurisprudenza formatasi su queste disposizioni circa la loro deducibilità in Cassazione.
Come ribadito dalle Sezioni unite (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre).
Parimenti la pronuncia rammenta che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento,
mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nel testo previgente ed ora solo in presenza delle gravissime anomalie motivazionali individuate da questa Corte fin dalle già richiamate Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054/2014 (in conformità, di recente, tra le innumerevoli, v. Cass. n. 9731 del 2025).
Circa la violazione dell’art. 2697 c.c., essa è deducibile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 26769 del 2018), mentre nella specie parte ricorrente critica l’apprezzamento operato dai giudici del merito circa l’insussistenza della subordinazione, opponendo una diversa valutazione (in conformità, di recente, tra le innumerevoli, v. Cass. n. 26739 del 2024).
2.3. Nel primo, terzo, quinto, sesto, settimo e ottavo motivo si deducono inesistenti giudicati interni su meri fatti storici (come l’attività inbound ) o su circostanze processuali (l’attendibilità dei testi), trascurando di considerare che non è suscettibile di passare in giudicato qualunque asserzione contenuta nella motivazione d’una sentenza, riferendosi l’art. 329 cpv. c.p.c. soltanto alla sequenza logica “fatto – norma effetto giuridico” attraverso la quale si afferma l’esistenza d’un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (cfr. Cass. n. 14670 del 2015; Cass. n. 4572 del 2013; Cass. n. 16583 del 2012; Cass. n. 16808
del 2011; Cass. n. 27196 del 2006; Cass. n. 10832 del 1998; Cass. n. 6769 del 1998), di modo che ciascun elemento di tale sequenza può essere singolarmente investito di censura in appello e l’impugnazione motivata in ordine anche ad uno solo di essi riapre per intero l’esame di tale minima statuizione, consentendo al giudice dell’impugnazione di riconsiderarla tanto in punto di diritto (individuando una diversa norma sotto cui sussumere il fatto o fornendone una differente esegesi) quanto in punto di fatto, attraverso una nuova valutazione degli elementi probatori acquisiti (Cass. n. 16808 del 2011).
2.4. Chi ricorre, nella promiscua commistione delle censure, in sostanza contrasta la negazione della subordinazione ma neanche deduce la violazione dell’art. 2094 c.c. e, comunque, pretende un sindacato su plurimi indici sintomatici della subordinazione al di fuori dei limiti del controllo di legittimità (sui limiti del sindacato di questa Corte in tema di subordinazione, v. Cass. n. 11015 del 2016; successive conformi: v. Cass. n. 9157 del 2017; Cass. n. 9401 del 2017; Cass. n. 25383 del 2017; Cass. n. 32385 del 2019; Cass. n. 2526 del 2020; Cass. n. 14376 del 2020; Cass. n. 4037 del 2021; Cass. n. 33820 del 2021);
2.5. Infine, si eccepisce la nullità formale dei contratti a progetto senza che su questa questione sia stato effettuato alcun accertamento da parte dei giudici del merito, avendo il primo giudice -come riportato alla pag. 5 della sentenza impugnata -ritenut o che non poteva ‘reputarsi validamente contestata dai ricorrenti la validità sotto il profilo formale dei contratti di lavoro a progetto stipulati risultando del tutto generico ed immotivato il mero riferimento, contenuto nei ricorsi introduttivi, alla genericità dei progetti ivi contenuti senza effettuare un compiuto esame critico del progetto in questione’.
Statuizione questa in alcun modo adeguatamente censurata dalle parti ricorrenti.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel suo complesso, con spese regolate secondo soccombenza.
Tuttavia, va disattesa l’istanza della società di condanna delle controparti al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., non essendo emersi elementi dai quali ricavare che costoro abbiano agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave ovvero in difetto della normale prudenza, non potendosi far coincidere la mala fede o la colpa grave della parte soccombente con profili di inammissibilità in senso tecnico oppure con la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate (cfr. Cass. SS.UU. n. 9912 del 2018; Cass. n. 10327 del 2018; Cass. n. 7726 del 2016) e in difetto, nel caso di specie, di elementi ulteriori significativi di un abuso dello strumento processuale, considerato anche che in primo grado avevano visto accolte le loro domande.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese liquidate in euro 5.400,00, oltre euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 luglio