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Lavoro a progetto: quando è subordinato? La Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25194/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di alcuni lavoratori che chiedevano il riconoscimento della natura subordinata del loro rapporto di lavoro a progetto. La Corte ha ribadito che il giudizio di Cassazione non può riesaminare nel merito le prove e i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza della motivazione. I ricorsi che mirano a una nuova valutazione delle prove, come l’attendibilità dei testimoni, sono considerati inammissibili.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro a progetto: i limiti del ricorso in Cassazione per il riconoscimento della subordinazione

Introduzione

Il confine tra autonomia e subordinazione è uno dei temi più dibattuti nel diritto del lavoro. La questione del lavoro a progetto, e la sua possibile conversione in rapporto di lavoro subordinato, giunge spesso fino alla Corte di Cassazione. Con la sentenza in esame, i giudici supremi non entrano nel merito della qualificazione del rapporto, ma offrono un’importante lezione sui limiti processuali del ricorso in Cassazione, chiarendo cosa si può e cosa non si può chiedere al giudice di legittimità.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dall’azione legale di un gruppo di lavoratori assunti da una società con contratti di lavoro a progetto. Ritenendo che le modalità concrete di svolgimento della loro attività fossero quelle tipiche del lavoro subordinato, si sono rivolti al Tribunale per chiedere l’accertamento della natura subordinata del rapporto e la condanna della società al pagamento delle differenze retributive e del TFR.
In primo grado, il Tribunale ha dato loro ragione. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, dall’istruttoria non erano emersi elementi sufficienti a dimostrare l’esistenza di un potere gerarchico, disciplinare o di controllo da parte del datore di lavoro. Mancavano, in sostanza, gli indici classici della subordinazione. Di conseguenza, le domande dei lavoratori sono state respinte. Contro questa sentenza, i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione.

I Motivi del Ricorso e le Critiche alla Sentenza d’Appello

I lavoratori hanno presentato ben nove motivi di ricorso, cercando di smontare la decisione della Corte d’Appello sotto vari profili. Le censure si concentravano principalmente su:

Presunti Errori nella Valutazione delle Prove

I ricorrenti hanno contestato il modo in cui la Corte d’Appello ha valutato le testimonianze, ritenendo inattendibile un teste a loro favore e, al contrario, credibili i testimoni della società, sebbene questi ultimi fossero legati da un rapporto di lavoro con l’azienda. Hanno lamentato una violazione delle norme sulla valutazione delle prove (artt. 115 e 116 c.p.c.) e sull’onere della prova (art. 2697 c.c.).

Violazione del Giudicato Interno

Secondo i lavoratori, la Corte d’Appello avrebbe ignorato alcuni punti che, a loro dire, erano già stati accertati con valore di giudicato, come lo svolgimento di attività di call center in modalità inbound. Questa circostanza, a loro avviso, implicava la natura fittizia del progetto.

Errata Individuazione degli Indici della Subordinazione

Infine, i ricorsi criticavano la scelta dei parametri usati dalla Corte per escludere la subordinazione. Ad esempio, contestavano la decisione di non considerare come indice di subordinazione l’organizzazione preventiva di un piano ferie o il coordinamento espletato dalla società, ritenuto compatibile con un rapporto autonomo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i motivi di ricorso inammissibili, senza entrare nel merito della questione (se i lavoratori fossero o meno subordinati). La decisione si fonda su principi consolidati della procedura civile e chiarisce la funzione stessa del giudizio di legittimità.
Il punto centrale della motivazione è che la Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono riesaminare i fatti e le prove. Il suo compito è assicurare l’uniforme interpretazione e la corretta osservanza della legge. I ricorsi, secondo la Corte, tentavano proprio di ottenere una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio, un’attività preclusa in sede di legittimità.
In particolare, la Corte ha spiegato che:

1. Il vizio di ‘omesso esame di un fatto decisivo’ (art. 360, n. 5, c.p.c.) può essere denunciato solo se il giudice ha completamente ignorato un fatto storico principale o secondario, che, se esaminato, avrebbe portato a una decisione diversa. Non si può usare questo motivo per lamentare che il giudice abbia valutato male le prove o non abbia dato peso a un certo elemento istruttorio (come una testimonianza). L’attendibilità dei testi, ad esempio, è una valutazione di merito insindacabile in Cassazione.
2. La violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (principio di disponibilità delle prove e loro prudente apprezzamento) si verifica solo in casi specifici, come quando il giudice decide sulla base di prove non prodotte dalle parti o quando non valuta una prova secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, ma in modo arbitrario o attribuendole un valore diverso da quello legale. Non sussiste violazione se il giudice semplicemente attribuisce maggior peso a una prova piuttosto che a un’altra.
3. Il ‘giudicato interno’ su meri fatti non esiste. Le singole affermazioni contenute nella motivazione di una sentenza su aspetti fattuali non passano in giudicato. Ciò che diventa definitivo è la sequenza logica ‘fatto – norma – effetto giuridico’, e ogni elemento di questa sequenza può essere oggetto di impugnazione.

In sostanza, i ricorrenti hanno trasformato le loro censure in una richiesta di revisione del convincimento del giudice di merito, operazione non consentita davanti alla Corte di Cassazione.

Le Conclusioni: L’Inammissibilità del Ricorso

In conclusione, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile nel suo complesso. La decisione non stabilisce se quel tipo di lavoro a progetto fosse legittimo o meno, ma afferma che le ragioni portate dai lavoratori non erano idonee a essere esaminate in sede di legittimità. Essi avrebbero dovuto dimostrare un errore di diritto o un vizio logico-giuridico grave nella motivazione della sentenza d’appello, non semplicemente proporre una lettura alternativa delle prove.
Come conseguenza pratica, i lavoratori sono stati condannati al pagamento delle spese legali. La sentenza rappresenta un monito importante: il ricorso per cassazione deve essere fondato su precise violazioni di legge o vizi processuali e non può diventare un pretesto per tentare di ottenere una terza valutazione dei fatti della causa.

Perché il ricorso dei lavoratori è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, invece di denunciare errori di diritto o vizi di motivazione nei limiti consentiti, mirava a ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove (come l’attendibilità dei testimoni), attività che non rientra nei poteri della Corte di Cassazione.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le testimonianze?
No, la valutazione dell’attendibilità dei testimoni e, più in generale, delle prove è un’attività riservata al giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Alla Corte di Cassazione si può denunciare solo un’errata applicazione delle norme sulla valutazione della prova o un vizio di motivazione estremamente grave, ma non un semplice disaccordo con l’interpretazione data dal giudice.

Cosa significa che la Corte di Cassazione è un ‘giudice di legittimità’ e non ‘di merito’?
Significa che il suo compito non è decidere chi ha ragione o torto sui fatti della causa (giudizio di merito), ma controllare che i giudici precedenti abbiano applicato correttamente le leggi e seguito le regole del processo (giudizio di legittimità). Non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici di appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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