Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3356 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3356 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
C.C. 18/1/2024
Appalto -Pagamento del compenso per lavori extracontratto
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 2464/2019, pubblicata il 6 settembre 2019, notificata il 18 settembre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 gennaio 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -La RAGIONE_SOCIALE introduceva procedimento arbitrale, invocando il pagamento delle opere aggiuntive richieste in forza dei contratti di appalto sottoscritti il 10 marzo 2003, aventi ad oggetto la costruzione di due complessi immobiliari in INDIRIZZO e in INDIRIZZO del Comune di Guiglia, in quanto i corrispettivi pattuiti comprendevano solo le eventuali varianti richieste dalla committente, purché non comportassero aumenti di superficie, volume o prezzo dei materiali e/o lavorazioni, mentre nella fattispecie le numerose variazioni effettuate avevano comportato aumenti di volumetria e/o del prezzo dei materiali e delle lavorazioni.
La committente RAGIONE_SOCIALE negava che fossero dovute somme per opere extra-contratto e riteneva che i corrispettivi -pattuiti a corpo e non a misura -fossero satisfattivi di tutti i lavori svolti. Chiedeva, poi, che l’appaltatrice fosse condannata al pagamento della penale per la ritardata consegna dell’opera di INDIRIZZO e, quanto all’opera di INDIRIZZO, al pagamento delle spese sostenute per l’ultimazione dei lavori.
Nel corso del procedimento arbitrale erano assunte le prove orali ammesse ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Quindi, il Collegio arbitrale, con lodo del 30 dicembre 2010, riconosceva che era dovuta all’appaltatrice la somma di euro 24.806,75 per le opere extracontrattuali eseguite sul cantiere di INDIRIZZO, la somma di euro 15.720,00 quale corrispettivo non versato e un’ulteriore somma in esito all’intervenuto riconoscimento di debito.
Rigettava, invece, la pretesa di pagamento del compenso in ordine alle opere di realizzazione dei muri di contenimento e di recinzione, in quanto ricomprese negli originari contratti di appalto, come poteva arguirsi dalla mancata presentazione di varianti al progetto e dalla concessione dell’abitabilità.
Infine, accertava un credito della committente quanto ai lavori contrattualmente previsti ma non realizzati dall’assuntore.
All’esito, disponeva la compensazione integrale tra i crediti azionati dalle parti.
2. -Proponeva impugnazione avverso il lodo arbitrale la SRAGIONE_SOCIALE, la quale lamentava: – la nullità del lodo per mancata sottoscrizione degli arbitri; – le evidenti contraddizioni e lacune della motivazione, tali da non consentire l’individuazione della ratio decidendi , con precipuo riguardo al mancato rilievo del fatto che l’esecuzione dei muri esterni di contenimento e di recinzione non era prevista nei capitolati speciali e nei disegni esecutivi annessi ai contratti, come aveva precisato il consulente tecnico d’ufficio la violazione del contraddittorio per la mancata estromissione dagli atti della perizia giurata prodotta irritualmente dalla committente, a firma di un tecnico diverso dal consulente di parte incaricato; – la violazione delle norme relative al merito della controversia, e in particolare dell’art. 1661 c.c., in ragione
dell’espressa richiesta della committente quanto alla realizzazione dei lavori aggiuntivi, come emergente dalla testimonianza resa dal geometra COGNOME, quale effettivo direttore dei lavori.
Per l’effetto, chiedeva che, previo accertamento delle opere aggiuntive eseguite, la committente fosse condannata al pagamento, in suo favore, della somma di euro 186.711,26, oltre IVA e interessi di legge.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, la quale contestava le ragioni addotte a fondamento del gravame e ne chiedeva il rigetto, evidenziando che le parti non avevano espressamente stabilito l’impugnabilità del lodo per violazione delle regole di diritto, con la conseguente inammissibilità dell’ultimo motivo dedotto da controparte.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Bologna, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’impugnazione spiegata e, per l’effetto, confermava integralmente il lodo impugnato.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che il difetto di motivazione del lodo era ravvisabile quale vizio di nullità solo nell’ipotesi in cui la motivazione fosse stata del tutto carente ovvero non avesse comunque consentito di individuare la ratio della decisione; b ) che, nella fattispecie, il Collegio arbitrale, disattendendo le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, aveva escluso che i muri perimetrali di contenimento comuni ad entrambi i cantieri costituissero imprevisti o varianti in corso d’opera richieste dalla committente, rientrando, invece, nelle
previsioni contrattuali, alla luce dei seguenti argomenti: – la condizione assolutamente indispensabile per l’edificazione del fabbricato della loro costruzione, attesa la notevole pendenza dei terreni; – la natura propedeutica ad ogni attività della loro costruzione, accertabile prima della sottoscrizione degli appalti, e la loro esecuzione come primo intervento; -la mancata formulazione di alcuna specifica richiesta di pagamento in ordine a tale opera e neppure di alcuna riserva, con il relativo significativo rilievo del silenzio serbato, quale comportamento successivo alla stipula rilevante per l’interpretazione; – la normale corrispondenza tra il contenuto dell’obbligo assunto e quanto compiuto in sua esecuzione; l’impossibilità di qualificare la loro costruzione quale variante in corso d’opera richiesta dall’appaltante, in mancanza di alcuna presentazione di domande in tal senso presso il Comune di Guiglia, né di alcun elaborato tecnico successivo alle tavole progettuali approvate e richiamate negli appalti, oltre che del rilascio dei certificati di abitabilità che sarebbe stato precluso in caso di opere abusive; la ricavabilità dell’altezza dei muri di contenimento dagli elaborati grafici autorizzati dal Comune e richiamati nei contratti di appalto, realizzati senza che la committente avesse fornito alcun disegno esecutivo specifico; c ) che, pertanto, a fronte di una motivazione esistente, i motivi di impugnazione erano piuttosto volti ad ottenere una rinnovata valutazione dei fatti e delle prove, come tale inammissibile; d ) che le deduzioni in ordine a pretesi errori di valutazione delle risultanze probatorie (con precipuo riferimento alla testimonianza resa dal geometra COGNOME) erano inammissibili nel giudizio di impugnazione per nullità del lodo, non bastando a sanare tale
inammissibilità la formale riconduzione di tale doglianza ad uno dei motivi di impugnazione specificamente previsti dalla legge.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito, con controricorso, l ‘intimat a RAGIONE_SOCIALE 4. -Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Preliminarmente, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla controricorrente.
1.1. -In primo luogo, la controricorrente rileva che, a fronte della notifica a mezzo EMAIL del ricorso e della copia della procura, con l’attestazione che si sarebbe trattato di atto nativo digitale firmato digitalmente, la firma non risultava affatto apposta in via digitale e mancava altresì la firma del difensore apposta a mano.
La censura è infondata.
Infatti, il ricorso per cassazione in origine analogico, successivamente riprodotto in formato digitale ai fini della notifica telematica ex art. 3bis della legge n. 53/1994, munito dell’attestazione di conformità all’originale, non richiede la firma digitale dei difensori (che, invece, deve essere presente in calce alla notifica effettuata a pezzo EMAIL), perché è sufficiente che la copia telematica rechi la menzionata attestazione di conformità, redatta secondo le disposizioni vigenti ratione temporis , non assumendo peraltro rilievo la circostanza che il file digitale rechi il formato ‘pdf’ anziché ‘p7m’ (Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 11222
del 06/04/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 23951 del 29/10/2020; Sez. 3, Sentenza n. 26102 del 19/12/2016).
1.2. -In secondo luogo, la controricorrente deduce che il ricorso sarebbe inammissibile per difetto assoluto del requisito di specificità della procura rilasciata.
La doglianza è infondata.
Infatti, la procura su foglio separato unito materialmente al ricorso (da equipararsi alla procura in calce) riporta gli specifici estremi della pronuncia impugnata, indica la data del rilascio e specifica che avverso tale pronuncia il difensore incaricato è delegato a proporre ricorso per cassazione (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20896 del 18/07/2023; Sez. U, Sentenza n. 36057 del 09/12/2022).
1.3. -In ultimo, la controricorrente obietta che il ricorso sarebbe inammissibile per difetto della sommaria esposizione dei fatti di causa.
L’eccezione è infondata.
Ora, l’atto introduttivo del giudizio di legittimità espone i termini essenziali della vicenda in fatto e l’esito del giudizio arbitrale nonché i passi salienti del procedimento di impugnazione.
Ne discende che il requisito prescritto deve ritenersi soddisfatto.
E tanto perché il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa
rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.
Tuttavia, l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4300 del 13/02/2023; Sez. U, Ordinanza n. 37552 del 30/11/2021).
2. -Tanto premesso, con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa fatti decisivi della controversia, per avere la Corte di merito mancato di esaminare specificamente le ragioni di impugnazione del lodo aventi ad oggetto la contraddittorietà della motivazione e la domanda di nullità ex artt. 829, primo comma, n. 5, e 823, primo comma, n. 5, c.p.c.
La ricorrente obietta che il compenso preteso per la realizzazione dei muri di contenimento esterni e delle recinzioni sui due cantieri di INDIRIZZO e di INDIRIZZO avrebbe dovuto essere riconosciuto, in quanto le relative opere non sarebbero state previste dai progetti e dai capitolati ‘a corpo’ stipulati dalle parti ed avevano comportato aumenti di superficie e volume o prezzo dei materiali e/o delle lavorazioni, secondo le prescrizioni degli artt. 3 e 4 di entrambi i contratti.
Senonché, nell’escludere la rilevanza extracontrattuale di tali opere, la Corte d’appello avrebbe omesso di tenere in
considerazione il tenore testuale e l’interpretazione complessiva degli artt. 3 e 4 nonché gli accertamenti del consulente tecnico d’ufficio, secondo cui la realizzazione di tali opere non sarebbe stata prevista dai progetti e dai capitolati e avrebbe comportato un aumento di superficie, volume o prezzo dei materiali e/o lavorazioni.
Con la conseguenza che il giudice d’appello avrebbe dovuto rilevare l’intrinseca contraddittorietà e la palese irrazionalità del capo del lodo che aveva ritenuto che, invece, il ‘non previsto’ dovesse intendersi come ‘imprevisto’, ovverosia come evento inaspettato o sopravvenuto di sorpresa, laddove sarebbe bastato che tali opere non fossero state individuate e descritte e, dunque, non comprese negli elaborati grafici ‘concessionati’ dal Comune di Guiglia.
Il che avrebbe precluso l’applicabilità dei criteri sussidiari di interpretazione dei contratti e avrebbe quindi direttamente comportato l’inconferenza a priori della parte di motivazione relativa al comportamento tenuto da RAGIONE_SOCIALE. successivamente alla realizzazione dei muri di contenimento e di recinzione.
2.1. -Il motivo è inammissibile per più ordini, concorrenti, di ragioni.
In primis , l’omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti, non attiene all’interpretazione del negozio, né alla mancata considerazione dei rilievi processuali della consulenza tecnica d’ufficio, risolvendosi la critica ad essa nell’esposizione di mere argomentazioni difensive contro un elemento istruttorio (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 6322 del 02/03/2023; Sez. 1, Sentenza n. 8584 del 16/03/2022; Sez. 6-3,
Ordinanza n. 12387 del 24/06/2020; contra Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 18598 del 07/09/2020; Sez. 3, Sentenza n. 13770 del 31/05/2018; Sez. 3, Sentenza n. 13922 del 07/07/2016).
Per converso, l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nell’attuale testo modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 40/2006, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 13024 del 26/04/2022; Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Sez. 2, Sentenza n. 14802 del 14/06/2017).
A fortiori , non si tratta a monte di omesso esame, posto che la Corte d’appello ha dato atto con solide argomentazioni non sindacabili in questa sede -delle ragioni per le quali dovesse essere condivisa la valutazione di cui al lodo arbitrale, in ordine alla circostanza che le opere in contestazione non potessero rientrare nell’alveo delle previsioni di cui agli artt. 3 e 4 dei contratti di appalto.
Né la motivata confutazione delle risultanze peritali costituisce un omesso esame.
3. -Con il secondo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 829, terzo comma, c.p.c. nonché degli artt. 1362 e ss. c.c. e dell’art. 1661 c.c., per avere la Corte territoriale
valutato erroneamente i motivi di censura del lodo aventi ad oggetto la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale.
Secondo l’istante, sarebbero stati disattesi i criteri interpretativi relativi al riferimento letterale all’art. 4, lett. A), degli appalti, a mente del quale tutte le eventuali variazioni in corso d’opera, comportanti un aumento di superficie, volume o prezzo dei materiali e/o lavorazioni, non avrebbero potuto essere considerate comprese nel corrispettivo pattuito contrattualmente.
Con la conseguenza che il lodo sarebbe stato illegittimo per l’errata interpretazione dei contratti, dalla quale avrebbe dovuto ricavarsi che le pretese fatte valere ricadevano nell’alveo dell’art. 1661 c.c.
Ed inoltre non si sarebbe fatto riferimento alla circostanza che le opere comprese nel corrispettivo erano solo quelle risultanti dai capitolati speciali allegati ai contratti e dai relativi disegni esecutivi.
A fronte di questo perentorio dato letterale, non si sarebbe potuto applicare il criterio sussidiario volto a valutare il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto.
3.1. -Il motivo è infondato.
Si premette che la sottoscrizione dei due contratti di appalto, contenenti la clausola compromissoria in arbitri, risale al 10 marzo 2003, benché il procedimento arbitrale sia stato attivato con atto di nomina di arbitro, a cura della S.D.P., del 13 aprile 2006.
Ora, in tema di impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, l’art. 829, terzo
comma, c.p.c., come riformulato dall’art. 24 del d.lgs. n. 40/2006, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui all’art. 27 dello stesso decreto, a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della novella (2 marzo 2006); tuttavia, per stabilire se sia ammissibile tale impugnazione, la legge, cui l’art. 829, terzo comma, c.p.c. rinvia, deve essere identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato, sicché, in caso di procedimento arbitrale attivato dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina -ma in forza di convenzione stipulata anteriormente -, nel silenzio delle parti, è applicabile l’art. 829, secondo comma, c.p.c. nel testo previgente, che ammette l’impugnazione del lodo per violazione delle norme inerenti al merito, salvo che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 14352 del 05/06/2018; Sez. 1, Sentenza n. 17339 del 13/07/2017; Sez. U, Sentenza n. 9284 del 09/05/2016).
Cosicché poteva essere dedotta, in sede di impugnazione del lodo, la violazione delle norme di interpretazione dei contratti.
Nondimeno, deve essere esclusa la ricorrenza di alcuna violazione.
In proposito, si evidenzia che, in tema di arbitrato, la decisione della Corte d’appello sulla impugnazione del lodo per violazione delle norme di legge in tema d’interpretazione dei contratti può essere censurata con ricorso per cassazione per vizi propri della sentenza medesima e non per vizi del lodo, spettando al giudice di legittimità verificare soltanto che la Corte di merito abbia esaminato la questione interpretativa e abbia dato
motivazione adeguata e corretta della soluzione adottata (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3260 del 02/02/2022; Sez. 1, Sentenza n. 15086 del 10/09/2012; Sez. 1, Sentenza n. 2201 del 31/01/2007).
In adesione a tale rilievo, la Corte territoriale ha sostenuto che il dato letterale è stato debitamente preso in considerazione, escludendo che le opere indicate rientrassero nell’ambito delle variazioni che legittimavano un’integrazione del corrispettivo.
D’altronde, a norma dell’art. 1362 c.c., il dato testuale del contratto, pur importante, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extra-testuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare, atteso che un’espressione prima facie chiara può non risultare più tale se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti.
Ne consegue che l’interpretazione del contratto, da un punto di vista logico, è un percorso circolare che impone all’interprete, dopo aver compiuto l’esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l’intenzione delle parti e, quindi, di verificare se quest’ultima sia coerente con le restanti disposizioni del contratto e con la condotta delle parti medesime (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 34687 del 12/12/2023; Sez. 6-3, Ordinanza n. 32786 del 08/11/2022; Sez. 3, Sentenza n. 9380 del 10/05/2016; Sez. 3, Sentenza n. 25840 del 09/12/2014).
Pertanto, nell’interpretazione del contratto, il carattere prioritario dell’elemento letterale non deve essere inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici, anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13595 del 02/07/2020; Sez. 3, Ordinanza n. 20294 del 26/07/2019; Sez. 1, Sentenza n. 16181 del 28/06/2017).
Ebbene, il giudice dell’impugnazione ha ritenuto congrua e comunque non sindacabile la valutazione di cui al lodo arbitrale, che -a sua volta -ha sostenuto che le opere consistenti nella realizzazione dei muri esterni di contenimento e di recinzione su entrambi i cantieri rientrassero in quelle originariamente previste e fossero incluse nel corrispettivo pattuito, sulla scorta dei seguenti argomenti: – la condizione assolutamente indispensabile per l’edificazione del fabbricato della loro costruzione, att esa la notevole pendenza dei terreni; – la natura propedeutica ad ogni attività della loro costruzione, accertabile prima della sottoscrizione degli appalti, e la loro esecuzione come primo intervento; – la mancata formulazione di alcuna specifica richiesta di pagamento in ordine a tale opera e neppure di alcuna riserva, con il relativo significativo rilievo del silenzio serbato, quale comportamento successivo alla stipula rilevante per l’interpretazione; – la normale corrispondenza tra il contenuto dell’ob bligo assunto e quanto compiuto in sua esecuzione; l’impossibilità di qualificare la loro costruzione quale variante in corso d’opera richiesta dall’appaltante, in mancanza di alcuna
presentazione di domande in tal senso presso il Comune di Guiglia, né di alcun elaborato tecnico successivo alle tavole progettuali approvate e richiamate negli appalti, oltre che del rilascio dei certificati di abitabilità che sarebbe stato precluso in caso di opere abusive; la ricavabilità dell’altezza dei muri di contenimento dagli elaborati grafici autorizzati dal Comune e richiamati nei contratti di appalto, realizzati senza che la committente avesse fornito alcun disegno esecutivo specifico.
Siffatta lettura è stata parametrata al dato letterale di cui ai contratti di appalto, escludendo che dette opere ricadessero nelle variazioni disposte dal committente.
Sul punto, la Corte d’appello si è dunque debitamente attenuta al principio secondo cui il giudizio di impugnazione del lodo arbitrale ha ad oggetto unicamente la verifica della legittimità della decisione resa dagli arbitri, non il riesame delle questioni di merito ad essi sottoposte: pertanto l’accertamento in fatto compiuto dagli arbitri, qual è quello concernente l’interpretazione del contratto oggetto del contendere, non è censurabile nel giudizio di impugnazione del lodo, con la sola eccezione del caso in cui la motivazione del lodo stesso sia completamente mancante od assolutamente carente (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 32838 del 08/11/2022; Sez. 1, Ordinanza n. 19602 del 18/09/2020; Sez. 6-1, Ordinanza n. 12321 del 18/05/2018; Sez. 1, Sentenza n. 13511 del 08/06/2007).
Nella fattispecie, sulla scorta delle congrue, logiche e coerenti argomentazioni esposte, è stato escluso che la realizzazione dei muri di contenimento e di recinzione rientrasse nelle varianti non contemplate dai contratti di appalto, con il conseguente
ragionevole precipitato della non spettanza di un compenso supplementare.
4. -Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 829, terzo comma, c.p.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte distrettuale erroneamente ponderato le ragioni di censura del lodo, aventi ad oggetto l’insussistenza di una logica e congrua motivazione circa la valutazione delle prove raggiunte nel giudizio arbitrale.
In tale prospettiva, sarebbero state incomprensibilmente disattesi le risultanze della svolta consulenza tecnica d’ufficio e l’esito della deposizione testimoniale resa dal geometra COGNOME, quale effettivo direttore dei lavori.
4.1. -Il motivo è infondato.
Al riguardo, le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice in base al principio judex peritus peritorum e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del consulente tecnico d’ufficio (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 200 del 11/01/2021; Sez. 2, Sentenza n. 30733 del 21/12/2017; Sez. L,
Sentenza n. 17757 del 07/08/2014; Sez. 1, Sentenza n. 5148 del 03/03/2011).
Nella fattispecie, il lodo arbitrale ha dato ampia contezza delle argomentazioni che hanno indotto a disattendere le risultanze peritali, come confermato dal giudice dell’impugnazione.
D’altronde, il tema della ricorrenza di ‘variazioni ordinate dal committente’, tali da legittimare un aumento del prezzo, ai sensi dell’art. 1661 c.c., attiene al campo eminentemente giuridico e non tecnico, sicché l’ultimo apprezzamento spettava comunque al Collegio arbitrale.
In ordine alla prova testimoniale disattesa, si rileva che, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 37382 del 21/12/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 27847 del 12/10/2021; Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021; Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020).
Segnatamente, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si
alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 34786 del 17/11/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021; Sez. 3, Sentenza n. 15276 del 01/06/2021; Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Sez. 6-3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018).
Ed infatti, il potere del giudice di valutazione della prova non è sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell’art. 116, primo comma, c.p.c., quale apprezzamento riferito ad un astratto e generale parametro non prudente della prova, posto che l’utilizzo del pronome ‘suo’ è estrinsecazione dello specifico prudente apprezzamento del giudice della causa, a garanzia dell’autonomia del giudizio in ordine ai fatti relativi, salvo il limite che ‘la legge disponga altrimenti’.
D’altronde, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della
prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass. Sez. L, Sentenza n. 17313 del 19/08/2020; Sez. 6-3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018; Sez. 3, Sentenza n. 19064 del 05/09/2006).
A ciò consegue che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, il motivo mira, in realtà, del tutto inammissibilmente, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
5. -In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in
complessivi euro 7.800,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda