Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7431 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7431 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 14520/2021 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE).
– Ricorrente –
Contro
NOME COGNOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE).
– Controricorrenti –
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 2173/2020 depositata il 26/11/2020.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 06 febbraio 2024.
Servitù
Rilevato che:
con atto di citazione notificato il 1°/09/2010 NOME COGNOME convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Monsummano Terme, NOME COGNOME e NOME COGNOME proprietari del fondo confinante con il suo al fine di sentire dichiarare che le opere (descritte in citazione) costruite dai convenuti nella loro proprietà erano illegittime e lesive dei diritti dell’attrice e , per l’effetto, al fine di ottenere la condanna dei convenuti alla eliminazione di dette opere e all’integrale ripristino dello stato anteriore e, in particolare, ad: (a) eliminare la porzione innalzata di muro e contestualmente ad abbassare l’adiacente terreno, fino all’originario livello e comunque in modo tale da non creare affaccio sulla proprietà COGNOME; (b) eliminare la costruzione di cui è visibile la finestra; (c) eliminare la porzione innalzata di muro di confine, ovvero al ripristino del medesimo muro con caratteri di decoro, conformi a quanto previsto dai vigenti regolamenti comunali, urbanistico ed edilizia.
Costituendosi in giudizio, i convenuti contestarono la domanda e, con eccezione riconvenzionale, dedussero che le opere indicate dall’attrice erano risalenti ad oltre venti anni prima e che pertanto essi avevano usucapito la servitù di mantenere tali costruzioni.
Il Tribunale di Pistoia, istruita la causa con una c.t.u. e con prove orali, con sentenza n. 1216/2015, rigettò la domanda;
la Corte d’appello di Firenze , nel contraddittorio dei convenuti, ha respinto l’appello della NOME COGNOME.
Nello specifico, per quanto qui rileva, la sentenza in esame ha disatteso le censure dell’appellante dopo avere richiamato l’ iter argomentativo svolto dal Tribunale di Pistoia secondo cui, dall’accertamento storico risultante dalla c.t.u., era emerso che l’edificio dei convenuti, facente parte di un complesso edilizio, era
stato edificato in prevenzione, per essere stato costruito e ultimato nel 1981, con tecnica costruttiva di innalzamento del piano di terreno rispetto alla quota strada e rispetto ai terreni confinanti ove, nel 1984, fu edificata una parte della proprietà COGNOME, ultimata parzialmente nel 1988. Sicché, almeno dal 1981, si era costituita una situazione di fatto corrispondente alla servitù di veduta a favore del fondo dei convenuti e a carico del fondo dell’attrice, situato ad una quota inferiore. Per tale ragione il primo giudice aveva accolto l’eccezione riconvenzionale dei convenuti di usucapione del diritto a mantenere le opere originarie risalenti al 1981 e, conseguentemente, la servitù di veduta sul fondo confinante.
Non era contestato che la NOMEra COGNOME avesse acquistato il suo immobile nel 2000 e che, dunque, fin dall’origine , esistesse il muro di contenimento a confine tra le proprietà delle parti ed il dislivello di piano tra il terrazzo giardino dei convenuti e la corte dell’attrice , che al momento dell’acquisto era consapevole de lla presenza del muro di contenimento del terrapieno dell’edificio ove sorgeva l’appartamento COGNOME, della differenza di livello dei terreni, e della circostanza di fatto della già completata definizione del prospetto (altezza, muri e caratteristiche) della proprietà dei convenuti verso la proprietà COGNOME.
Il Tribunale aveva ritenuto inammissibile la domanda nuova, formulata dall’attrice in comparsa conclusionale , concernente la costruzione, da parte dei vicini, di un nuovo muro che, in base alla prospettazione dell’attrice, non rispettava la distanza legale; inoltre, per la Corte territoriale, il primo giudice aveva escluso la costituzione di una nuova servitù di veduta sia perché lo stato di fatto era risalente nel tempo, sia perché la maggiore altezza del terrapieno, pari a 25 cm, rispetto al livello iniziale del giardino, non era idonea ad integrare una nuova venduta, fruibile dal resede dei convenuti.
Quanto al capo della domanda relativo alla costruzione di un nuovo ambiente interrato nella proprietà dei convenuti, illegittima per la porzione (circa 30 cm, come accertato dalla c.t.u.) prospiciente la proprietà dell’attrice, per carenza dell a distanza legale, il Tribunale, disattesa l’eccezione di usucapione dei convenuti in ragione del fatto che era pacifico che il nuovo vano era stato costruito dopo il 1990, aveva stabilito che l’attrice si era limitata ad allegare l’illegittimità dell’opera in quanto ‘lesiva delle distanze minime’ , senza indicare la normativa applicabile ed il c.t.u. aveva accertato che solo una ridottissima porzione di muro di contenimento del terrapieno del vicino (30 cm) risultava fronteggiare i confini tra il vano interrato di proprietà dei convenuti e la corte dell’attrice. Per il Tribunale tale prospetto di 30 cm di confine relativo al vano interrato avrebbe potuto provocare un danno all’attrice nel caso in cui quest’ultima, in futuro, avesse inteso costruire, dovendosi rispettare la distanza di 10 metri, ma la NOME COGNOME non aveva proposto alcuna esplicita domanda in tal senso;
NOME COGNOME ricorre, con cinque motivi, per la cassazione della sentenza d’appello .
NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’adunanza camerale.
Considerato che:
1. il primo motivo di ricorso -‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360, I comma, n. 3 c.p.c. ‘ -denuncia che la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibile per mancanza di chiarezza il motivo di appello con il quale l’attrice censurava la statuizione del Tribunale di Pistoia secondo cui era inammissibile, perché ‘ nuova ‘ , la domanda, formulata dalla stessa attrice per la prima volta in comparsa conclusione, di eliminazione del
‘nuovo muro’ e della ‘nuova costruzione’ per violazione delle distanze legali, laddove, in citazione, era stata chiesta la eliminazione della ‘ nuova veduta’, realizzata dai confinanti mediante il rialzamento del muro per una altezza di 1,55 metri e del terreno adiacente.
La ricorrente rimarca che, in realtà, il motivo di appello, formulato in maniera chiara, metteva in risalto che non vi era stata alcuna ‘ domanda nuova ‘ : la richiesta di eliminazione del ‘nuovo muro’ e della ‘nuova costruzione’ , infatti, era co erente con l’iniziale domanda di eliminazione della ‘nuova veduta’ e , nella sostanza, era la stessa, identica, domanda di eliminazione della ‘ porzione innalzata d i muro’ contenuta nelle conclusioni dell’atto di citazione;
2. il secondo motivo -‘ Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, I comma, n. 5 c.p.c. ‘ -denuncia che la sentenza impugnata, in relazione all’esistenza di una siepe apposta lungo il confine della proprietà dei convenuti che limitava la veduta verso la proprietà confinante, come accertato dal c.t.u., ha omesso di motivare sulla questione , sollevata dall’appellante, secondo cui la presen za di piante collocate in vasi non costituiva un reale impedimento perpetuo alla veduta perché i vasi di piante potevano essere agevolmente rimossi;
3. il terzo motivo -‘ Violazione e falsa applicazione del principio ‘ iura novit curia’ , dell’art. 113 c.p.c. nonché, per quanto attiene alla produzione in appello delle normative locali all’epoca vigenti, dell’art. 345 c.p.c., il tutto in relazione all ‘ art. 360, I comma, n. 3 c.p.c. ‘ -denuncia che la sentenza impugnata non ha rilevato che il Tribunale, in applicazione del principio iura novit curia , avrebbe dovuto prendere in considerazione i regolamenti comunali e, pertanto, sul presupposto che l’autorimessa costituiva un volume completamente ‘ fuori terra ‘ , avrebbe dovuto accogliere la domanda relativa al ‘nuovo ambiente’ , costruito in violazione della distanza regolamentare di cinque metri
dal confine, ed avrebbe dovuto acquisire ed applicare, a norma dell’art. 113, cod. proc. civ., i regolamenti locali che si assumevano violati;
il quarto motivo -‘ Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, I comma, n. 5 c.p.c. ‘ -denuncia che i giudici di merito, riprendendo l’elaborato del c.t.u., hanno affermato che quello costruito dai convenuto era un locale interrato, senza tenere conto del provvedimento n. 192 del 20/08/2002 del Comune di Monsummano Terme che aveva disposto la sospensione dei lavori iniziati da controparte in ragione del fatto che il garage era stato realizzato tutto fuori terra ed aveva subìto un mutamento di destinazione d’uso perché al suo interno era stata realizzata una tavernetta;
il quinto motivo -‘ Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, I comma, n. 5 c.p.c. ‘ -denuncia l’omessa acquisizione e l’omesso esame, da parte della Corte di Firenze, della concessione edilizia in sanatoria n. 6/16 riguardante il garage rilasciata dal Comune di Monsummano Terme;
6. il primo motivo è inammissibile;
6.1. il primo luogo, la censura non soddisfa il requisito dell’ autosufficienza in ragione del fatto che la ricorrente non ha trascritto le parti degli atti del giudizio di primo grado idonee a porre questa Corte nella condizione di verificare se la comparsa conclusionale dell’attrice recasse o meno una domanda nuova rispetto a quella inizialmente proposta.
Da una diversa angolazione, il motivo è inammissibile perché si appunta contro una delle due rationes decidendi della sentenza impugnata, quella attinente all ‘ inammissibilità del primo motivo di appello, ma non si confronta con l ‘altra ratio decidendi della Corte
NOME, che ha negato che il muro di recinzione con parapetto (alto 97 cm), realizzato dai convenuti sul preesistente muro di contenimento del loro fondo a confine con la proprietà COGNOME, dia luogo ad una nuova veduta poiché il parapetto, per la sua limitata altezza, non è idoneo a garantire un affaccio sicuro.
È il caso di richiamare il consueto indirizzo di questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017, Rv. 645076 -01), secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l ‘ omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l ‘ annullamento della sentenza;
il secondo motivo è inammissibile;
7.1. nella specie opera la previsione d ‘ inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all ‘ art. 348ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis ), che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la sentenza di appello ‘ che conferma la decisione di primo grado ‘ e che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme).
La ricorrente non indica , ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., sotto quale aspetto siano tra loro diverse le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell ‘ appello ( ex multis , Cass. n. 5947 del 2023);
8. il terzo motivo è fondato , il che comporta l’assorbimento del quarto e del quinto motivo riguardanti anch’essi il ‘ vano interrato ‘ (autorimessa);
8.1. la sentenza (cfr. pagg. 11 e 12) afferma: «Quanto all’eccepita violazione delle norme sulle distanze, perché il vano ‘interrato’ le violerebbe essendo costruito sul confine anziché a distanza di 5 metri, come previsto da alcune disposizioni regolamentari del Comune di Monsummano Terme, NOME ha eccepito l’inammissibilità del motivo perché domanda nuova introdotta per la prima volta in appello L’eccezione è fondata La prospettazione del mancato rispetto delle distanze previste nei Regolament i del Comune di Monsummano Terme si appalesa una domanda nuova e come tale inammissibili».
Ebbene, come riporta la stessa sentenza (cfr. pag. 2, ultime righe), l’attrice aveva dedotto in citazione la violazione delle distanze legali con riferimento al ‘nuovo ambiente’ realizzato dai convenuti.
A questo punto la Corte d’appello , attenendosi al principio iura novit curia , avrebbe dovuto acquisire diretta conoscenza delle disposizioni applicabili, avendone la parte dedotta la violazione ( ex multis , Sez. 2, Ordinanza n. 2661 del 05/02/2020, Rv. 657089 -01; Sez. 2, Sentenza n. 14446 del 15/06/2010, Rv. 613402 -01; Sez. 2, Sentenza n. 17692 del 29/07/2009, Rv. 609313 -01; Sez. 2, Sentenza n. 2563 del 02/02/2009, Rv. 606602 – 01).
È errata, dunque, la statuizione che addossa alla parte l’onere di tempestiva indicazione dei regolamenti comunali ( ibidem , pagg. 10 e 11). Si aggiunga che la Corte NOME non chiarisce neppure la natura della contestata costruzione, se si tratti o meno di un locale interrato, essendo incomprensibile il passo della sentenza (a pag. 11) che riproduce pedissequamente uno stralcio della c.t.u. dal significato oscuro.
Il giudice del rinvio dovrà riesaminare i fatti di causa previa acquisizione della normativa locale sulle distanze e previo puntuale accertamento delle caratteristiche del manufatto;
in conclusione, accolto il terzo motivo, dichiarati inammissibili il primo e il secondo motivo, assorbiti il quarto e il quinto motivo, la sentenza è cassata in relazione al terzo motivo, con rinvio al giudice a quo , anche per le spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo, dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo, assorbiti il quarto e il quinto motivo, cassa la sentenza in relazione al terzo motivo e rinvia alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, in data 6 febbraio 2024.