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Istanza di fallimento: quando l’Agenzia può agire?

La Corte di Cassazione ha stabilito che la richiesta di definizione agevolata dei debiti fiscali (rottamazione) non impedisce all’Agenzia delle Entrate-Riscossione di presentare un’istanza di fallimento. La norma sospende solo le procedure esecutive individuali, non la facoltà di chiedere la declaratoria di insolvenza. Per l’istanza di fallimento è sufficiente l’esistenza di un credito, anche se temporaneamente non esigibile.

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Istanza di fallimento e debiti fiscali: la rottamazione non ferma l’Agenzia

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto cruciale per le imprese in difficoltà: l’aver aderito a una procedura di definizione agevolata dei debiti fiscali (la cosiddetta ‘rottamazione’) non mette al riparo da una istanza di fallimento da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione. La Suprema Corte ha confermato che la sospensione prevista dalla legge riguarda solo le azioni esecutive individuali, non la possibilità di avviare la procedura fallimentare.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una società immobiliare in liquidazione che, dopo aver visto revocata la sua ammissione al concordato preventivo per il mancato versamento delle spese di procedura, è stata dichiarata fallita su istanza dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

La società si era opposta, sostenendo che l’Agenzia non avesse la legittimazione a chiedere il fallimento, poiché il credito fiscale era stato oggetto di una domanda di ‘rottamazione’ ai sensi del D.L. 119/2018. Secondo la tesi della società, questa domanda avrebbe dovuto sospendere qualsiasi azione da parte dell’ente riscossore. La Corte d’Appello aveva però respinto il reclamo, confermando la sentenza di fallimento. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

Istanza di Fallimento e Legittimazione dell’Agenzia

La società ricorrente ha basato la sua difesa su diversi motivi, ma il più rilevante riguardava la presunta carenza di legittimazione dell’Agenzia delle Entrate. I principali argomenti erano:

1. Violazione delle norme sulla definizione agevolata: La società sosteneva che la legge sulla ‘rottamazione’ (art. 3, comma 10, d.l. 119/2018) impedisse l’avvio di nuove procedure esecutive, e che l’istanza di fallimento dovesse rientrare in questa categoria.
2. Mancata esigibilità del credito: Poiché la procedura di definizione agevolata era in corso, il credito fiscale non era immediatamente esigibile, condizione che, secondo la ricorrente, era necessaria per poter agire in sede prefallimentare.
3. Errata valutazione dello stato di insolvenza: La società lamentava che i giudici di merito non avessero correttamente valutato il suo stato patrimoniale, specialmente considerando che, essendo in liquidazione, l’insolvenza si manifesta solo quando l’attivo è insufficiente a soddisfare integralmente i creditori.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali.

La ‘rottamazione’ non blocca la richiesta di fallimento

Il punto centrale della decisione è l’interpretazione della normativa sulla definizione agevolata. La Corte ha specificato che le preclusioni derivanti dalla presentazione della domanda di ‘rottamazione’ si limitano esclusivamente all’avvio o alla prosecuzione delle procedure esecutive individuali (come pignoramenti). La dichiarazione dello stato di insolvenza e la conseguente procedura fallimentare, invece, sono procedure concorsuali a tutela della generalità dei creditori e non rientrano in tale divieto.

Citando precedenti pronunce, la Corte ha ribadito che la temporanea inesigibilità del credito erariale non esclude la legittimazione dell’Agenzia a proporre l’istanza di fallimento. Ai fini dell’art. 6 della legge fallimentare, ciò che conta è l’esistenza di un credito, non la sua immediata esigibilità o liquidità. L’adesione alla ‘rottamazione’ non cancella il debito, ma crea solo un’aspettativa di estinzione a condizioni agevolate, subordinata al corretto adempimento del piano di pagamento.

La valutazione dello stato di insolvenza

La Corte ha ritenuto inammissibile anche la censura relativa alla valutazione dello stato di insolvenza. I giudici di merito avevano correttamente basato la loro decisione non sui bilanci societari, ma sui dati forniti dalla stessa società nella sua proposta di concordato preventivo. Tali dati, considerati più attendibili, mostravano un gravissimo squilibrio tra un attivo di circa 2,5 milioni di euro e passività per quasi 7 milioni di euro. Questa enorme differenza evidenziava in modo inequivocabile l’incapacità della società di far fronte alle proprie obbligazioni.

Le Conclusioni

L’ordinanza stabilisce un principio di grande importanza pratica: le imprese non possono considerare la domanda di definizione agevolata come uno scudo protettivo contro un’istanza di fallimento. La sospensione delle azioni esecutive non si estende alla procedura prefallimentare. La qualità di creditore, sufficiente per avviare tale procedura, si basa sulla mera esistenza del credito, anche se non ancora scaduto o temporaneamente non esigibile. Questa decisione conferma che gli strumenti di agevolazione fiscale non devono essere interpretati come un mezzo per eludere le conseguenze di uno stato di insolvenza conclamato.

Presentare una domanda di ‘rottamazione’ dei debiti fiscali impedisce all’Agenzia delle Entrate di chiedere il fallimento dell’impresa?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la normativa sulla definizione agevolata sospende unicamente le procedure esecutive individuali (es. pignoramenti), ma non preclude all’Agenzia la facoltà di presentare un’istanza per la dichiarazione di fallimento, che è una procedura a tutela di tutti i creditori.

Per chiedere il fallimento di un’azienda, un creditore deve avere un credito immediatamente esigibile?
No. La Corte ha chiarito che per la proposizione dell’istanza di fallimento è sufficiente che il creditore vanti un credito esistente nei confronti del debitore, anche se non è ancora liquido, esigibile o scaduto. La temporanea inesigibilità non fa venire meno la legittimazione ad agire.

Come viene valutato lo stato di insolvenza di una società?
Lo stato di insolvenza viene valutato accertando se l’impresa è in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che i dati presentati dalla società stessa nella sua domanda di concordato preventivo, che mostravano un forte squilibrio tra attivo e passivo, fossero più attendibili dei bilanci e sufficienti a dimostrare l’insolvenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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