Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23566 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23566 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24847-2020 proposto da:
NOME COGNOME , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona dei Commissari Liquidatori pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE D’ITALIA , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
R.G.N.24847/2020
COGNOME.
Rep.
Ud 04/06/2025
CC
avverso la sentenza n. 402/2020 del TRIBUNALE di BERGAMO, depositata il 30/07/2020 R.G.N. 1188/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
C on ‘ricorso in tema di Privacy ex art. 10 d. lgs. n. 150/2011’ al Tribunale di Bergamo, NOME COGNOME convenne la Banca d’Italia e la Veneto Banca S.p.a. in liquidazione coatta amministrativa per sentir accertare e dichiarare che la iscrizione del suo nominativo nel registro degli Organ i Sociali (‘Archivio Or.So.’) tenuto dall’Organo di Vigilanza a seguito della segnalazione di Veneto Banca, che lo aveva nominato condirettore generale, era avvenuta in violazione dei suoi diritti alla protezione dei dati personali, in quanto non corrispondente alla realtà dei fatti e alla volontà delle parti ‘in considerazione del carattere meramente onorifico del suo ruolo’;
il Tribunale, disattesa l’eccezione preliminare della Banca d’Italia di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 152 d. lgs. n. 196/2003 e dell’art. 10 d. lgs. n. 150/2011 in quanto la domanda attorea era stata formulata in ragione della dedotta non iscrivibilità del condirettore generale nell’archivio RAGIONE_SOCIALE.So. a protezione del diritto alla riservatezza, ha respinto il ricorso, considerando gli assunti posti a suo fondamento ‘privi di pregio giuridico’; in sintesi estrema, il giudice adito ha rit enuto che dall’interpretazione dello statuto dell’istituto di credito, dall’esame della delibera di nomina del consiglio di amministrazione e dalle circolari dell’Organo di Vigilanza
risultasse come fosse ‘legittima e dovuta l’iscrizione del nominativo del ricorrente nel registro Or.So.’;
per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso ‘ai sensi dell’art. 152 del d. lgs. n. 196/2003 e ss.mm.’ il soccombente con quattro motivi; hanno resistito con distinti controricorsi gli intimati;
hanno comunicato memorie entrambe le parti controricorrenti; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso possono essere esposti secondo la sintesi offerta dalla stessa parte ricorrente;
1.1. il primo motivo denuncia: ‘Violazione di legge, violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4), cod. proc. civ. l’essenza del dissidio e conseguente illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata -travisamento in fatto e in d iritto su punti trattati e discussi tra le parti’;
1.2. il secondo motivo denuncia: ‘Falsa applicazione dell’art. 2377 c.c. in ordine alla mancata impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione’;
1.3. il terzo motivo denuncia: ‘Violazione dell’art. 115 c.p.c. in combinato con l’art. 416 c.p.c.’;
1.4. il quarto motivo denuncia: ‘Violazione dell’art. 92 c.p.c. e dell’art. 101 c.p.c. Sulle difese della Veneto Banca in l.c.a. e della Banca d’Italia difetto di interesse -Sulle spese liquidate sia alla Banca d’Italia che alla Veneto Banca in liquidazio ne coatta’ ;
2. il ricorso non può trovare accoglimento; opportuno premettere che costituisce ius receptum che l’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un
provvedimento giurisdizionale vada operata, a tutela dell’affidamento della parte e quindi in ossequio al principio dell’apparenza, con riferimento esclusivo a quanto previsto dalla legge per le decisioni emesse secondo il rito in concreto adottato in relazione alla qualificazione dell’azione (giusta od errata che sia) effettuata dal giudice (Cass. n. 15162 del 2021; Cass. n. 23390 del 2020; Cass. n. 2948 del 2015; Cass. n. 3338 del 2012; Cass. SS.UU. n. 10073 del 2011);
nella specie, il Tribunale ha esplicitamente collocato il ricorso nell’ambito del modello delineato dagli artt. 152 codice privacy e 10, comma 10, d.lgs. n. 150 del 2011 che, prevedendo l’inappellabilità della sentenza, ammette la proposizione del ricorso immediato per cassazione;
2.1. il primo motivo è infondato;
come noto le Sezioni unite di questa Corte hanno ritenuto che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014);
si è ulteriormente precisato che di ‘motivazione apparente’ o di ‘motivazione perplessa e incomprensibile’ può parlarsi laddove essa non renda ‘percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice’ (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016);
il che non ricorre nella specie in quanto è certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dal Tribunale per respingere la domanda del COGNOME con argomentazione diffusa, e non è sufficiente a determinare il vizio radicale della nullità della sentenza la circostanza che la motivazione non soddisfi le aspettative di chi è rimasto soccombente;
2.2. il secondo motivo di gravame è da respingere in quanto censura un’argomentazione -quella della mancata impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione -niente affatto decisiva nell’ambito dell’intero impianto motivazionale della decisione impugnata che riposa su di una pluralità di elementi e neanche si confuta adeguatamente il passaggio con cui il Tribunale, al di là della legittimazione o meno del COGNOME ad impugnare la delibera del C.d.A. (risultando peraltro inconferente il richiamo al denunciato art. 2377 c.c. che si occupa dell’impugnazione delle delibere assembleari), comunque constata che nell’atto introduttivo non vi era ‘alcuna allegazione idonea a revocare in dubbio la legittimità della delibera consiliare o a giustificare quantomeno la tardività della contestazione stessa’;
2.3. il terzo motivo, con cui si eccepisce la violazione del principio di non contestazione, è inammissibile;
invero, nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della relevatio ab onere probandi , spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (tra molte, Cass. n. 3680 del 2019 e Cass. n. 3126 del 2019; più di recente: Cass. n. 7997 del 2025); poiché tale apprezzamento esige l’interpretazione del contenuto e
dell’ampiezza della domanda e delle deduzioni delle parti, ne deriva che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione risulta sindacabile in cassazione solo per difetto assoluto o apparenza di motivazione o per manifesta illogicità della stessa (da ultimo, Cass. n. 8175 del 2025; in conformità: Cass. n. 7597 del 2025; Cass. n. 6638 del 2025; in precedenza v. Cass. n. 27490 del 2019; Cass. n. 10182 del 2007), nella specie affatto ravvisabile;
2.4. il quarto motivo, con cui si contesta la condanna alle spese, è privo di fondamento;
il Tribunale non ha fatto altro che applicare il principio della soccombenza per cui il COGNOME è tenuto a rifondere le spese legali sostenute da chi egli stesso ha evocato in giudizio, mentre la mancata compensazione è esercizio di un potere discrezionale del giudice non sindacabile in sede di legittimità;
conclusivamente, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascuna delle parti controricorrenti
liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 4 giugno 2025.
La Presidente AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME