LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Iscrizione gestione commercianti: quando non è dovuta

Il Tribunale di Roma ha annullato un avviso di addebito per contributi previdenziali, stabilendo che la semplice qualifica di socio accomandatario non basta a giustificare l’obbligatoria iscrizione gestione commercianti. È necessario dimostrare lo svolgimento effettivo, abituale e prevalente di un’attività lavorativa all’interno della società, cosa non avvenuta nel caso di due società la cui unica attività era la locazione di immobili di proprietà (mero godimento).

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Iscrizione Gestione Commercianti: Non Basta il Ruolo, Serve il Lavoro

L’obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti per soci e amministratori di società è un tema ricorrente e spesso fonte di contenzioso. Una recente sentenza del Tribunale di Roma chiarisce un punto fondamentale: la mera titolarità di una carica sociale, come quella di socio accomandatario, non è sufficiente a far scattare l’obbligo contributivo. Ciò che conta è lo svolgimento effettivo di un’attività lavorativa all’interno dell’impresa. Questo principio si rivela cruciale, specialmente per le società la cui attività è limitata alla gestione passiva del proprio patrimonio immobiliare.

I Fatti di Causa: La Controversia sull’Iscrizione alla Gestione Commercianti

Il caso esaminato dal Tribunale nasce dall’opposizione di una socia accomandataria di due società in accomandita semplice (S.a.s.) contro un avviso di addebito emesso da un ente previdenziale. L’ente richiedeva il pagamento di contributi per la Gestione Commercianti per il biennio 2021-2022, basando la propria pretesa sulla semplice qualifica societaria della ricorrente.

La socia, tuttavia, ha contestato la richiesta sostenendo di non aver mai svolto alcuna attività lavorativa per le due società. Ha precisato che entrambe le aziende erano sostanzialmente inattive, essendo unicamente proprietarie di un immobile ciascuna, concesso in locazione. La loro attività, quindi, si configurava come “mero godimento” del patrimonio, non come un’attività commerciale in senso stretto.

La Decisione del Tribunale e l’Importanza dell’Attività Lavorativa

Il Tribunale di Roma ha accolto pienamente le argomentazioni della ricorrente, annullando la pretesa contributiva dell’ente. La decisione si fonda su un principio consolidato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione: l’obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti non deriva automaticamente dalla carica ricoperta, ma dall’effettiva partecipazione personale al lavoro aziendale.

La legge (in particolare la L. 662/96) richiede la sussistenza di presupposti precisi: il soggetto deve avere piena responsabilità dell’impresa, assumendone oneri e rischi, e deve partecipare al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza. Nel caso specifico, l’ente previdenziale non ha fornito alcuna prova che la socia accomandataria avesse prestato un’attività lavorativa concreta e continuativa. Al contrario, l’istruttoria ha confermato che l’attività delle società era di mero godimento immobiliare, attività che non può essere qualificata come commerciale ai fini previdenziali.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni del giudice si concentrano sulla distinzione tra la titolarità di una posizione societaria e l’effettivo svolgimento di un’attività lavorativa. La sentenza ribadisce che, sebbene l’iscrizione sia obbligatoria per il socio che opera nel settore commerciale, lo scopo della norma è evitare che la prestazione lavorativa venga sottratta alla contribuzione attraverso lo schermo societario. Di conseguenza, se una prestazione lavorativa non c’è, non può esserci nemmeno l’obbligo contributivo. Il Tribunale ha sottolineato che l’onere di provare la sussistenza dei presupposti per l’iscrizione (partecipazione abituale e prevalente al lavoro aziendale) grava sull’ente previdenziale. In assenza di tale prova, e di fronte a un’attività societaria palesemente non commerciale come la semplice locazione di un immobile, la pretesa contributiva è infondata.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Soci e Amministratori

Questa sentenza offre importanti indicazioni pratiche. Un socio o amministratore non è automaticamente obbligato a versare i contributi alla Gestione Commercianti solo in virtù della sua carica. È sempre necessario un accertamento di fatto sull’effettiva partecipazione all’attività lavorativa. Per le società immobiliari di mero godimento, che non svolgono attività commerciale organizzata, viene escluso in radice l’obbligo di iscrizione per i propri soci, a meno che non si dimostri un loro apporto lavorativo concreto, abituale e prevalente. In conclusione, la forma giuridica e la carica non prevalgono sulla sostanza dell’attività effettivamente svolta.

È sufficiente essere socio accomandatario per l’obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti?
No. Secondo la sentenza, la mera qualità di socio accomandatario non è sufficiente. L’obbligo di iscrizione sorge solo se il socio svolge effettivamente un’attività lavorativa nell’impresa con carattere di abitualità e prevalenza.

L’attività di una società che si limita a locare un immobile è considerata commerciale ai fini previdenziali?
No. Il provvedimento chiarisce che l’attività di mero godimento di un immobile di proprietà, come la locazione, non si qualifica come attività commerciale e, pertanto, non fa sorgere i presupposti per l’obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti.

Cosa deve provare l’ente previdenziale per richiedere i contributi a un socio?
L’ente previdenziale deve provare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge, ovvero che il socio partecipi personalmente al lavoro aziendale in modo abituale e prevalente, assumendosi la piena responsabilità dell’impresa con i relativi oneri e rischi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati