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IRAP avvocati pubblici: chi paga il conto finale?

Un avvocato dipendente di un ente comunale ha contestato la trattenuta a titolo di IRAP operata dal Comune sui suoi compensi professionali. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4681/2024, ha stabilito che l’onere relativo all’IRAP avvocati pubblici grava esclusivamente sull’ente datore di lavoro. Di conseguenza, la trattenuta diretta dalla retribuzione del legale è illegittima. L’ente deve, invece, accantonare preventivamente le somme necessarie a coprire l’imposta dal fondo destinato ai compensi, sulla base di un regolamento o di un accordo collettivo.

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IRAP avvocati pubblici: la Cassazione stabilisce chi paga

La questione relativa all’IRAP avvocati pubblici e alla sua corretta imputazione è da tempo oggetto di dibattito. Un’importante ordinanza della Corte di Cassazione ha finalmente chiarito che l’onere fiscale grava esclusivamente sull’ente pubblico datore di lavoro e non può essere scaricato sul dipendente tramite una trattenuta diretta sul compenso. Analizziamo insieme questa fondamentale decisione e le sue implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa: la trattenuta IRAP sul compenso dell’avvocato comunale

La vicenda ha origine dal ricorso di un avvocato, dipendente responsabile dell’Avvocatura di un Comune, contro il proprio ente. Il Comune aveva operato una trattenuta a titolo di IRAP (pari all’8,5%) e di oneri riflessi (23,80%) sui compensi professionali spettanti al legale per le cause vinte dall’amministrazione.

Il Tribunale di primo grado aveva dato ragione all’avvocato, dichiarando illegittima la trattenuta. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, ritenendo legittimo l’operato del Comune, il quale aveva ridotto il compenso per far fronte agli oneri fiscali e contributivi. L’avvocato ha quindi proposto ricorso in Cassazione per far valere le proprie ragioni.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’IRAP degli avvocati pubblici

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’avvocato, cassando la sentenza d’appello e decidendo nel merito a favore del professionista. Il principio affermato è netto: l’IRAP avvocati pubblici è un’imposta che grava unicamente sull’amministrazione in qualità di datore di lavoro.

La Corte ha stabilito che la trattenuta operata direttamente sulla busta paga del legale è illegittima, specialmente se, come nel caso di specie, è avvenuta in assenza di un apposito regolamento o di un accordo collettivo che disciplini la materia. L’operato del Comune è stato quindi ritenuto non conforme ai principi giuridici consolidati.

Le Motivazioni della Corte

Il ragionamento della Cassazione si fonda su principi ormai consolidati sia dalla giurisprudenza di legittimità sia dalla Corte dei Conti. Il presupposto impositivo dell’IRAP è l’esercizio di un’attività autonomamente organizzata. Nel rapporto di lavoro dipendente, anche se di natura professionale come quello dell’avvocato pubblico, l’organizzazione fa capo all’ente e non al singolo professionista inserito nella sua struttura.

Di conseguenza, il soggetto passivo dell’imposta è il datore di lavoro, ovvero la Pubblica Amministrazione. L’onere fiscale non può in alcun modo essere trasferito sul lavoratore. La procedura corretta che l’ente deve seguire non è una decurtazione del compenso al momento della liquidazione, ma un’operazione contabile preventiva.

L’amministrazione deve:
1. Quantificare il fondo destinato al pagamento dei compensi professionali (solitamente alimentato dalle spese legali liquidate nelle sentenze favorevoli).
2. Accantonare preventivamente (prededuzione) da tale fondo le somme necessarie a coprire gli oneri a suo carico, inclusa l’IRAP.
3. Distribuire la somma residua netta ai professionisti aventi diritto.

Questa procedura, hanno sottolineato i giudici, deve essere disciplinata da un regolamento interno o dalla contrattazione collettiva, strumenti che nel caso esaminato mancavano. L’azione del Comune, attuata con una semplice determina dirigenziale, ha rappresentato una modifica unilaterale e illegittima del rapporto di lavoro.

Conclusioni

La sentenza rafforza un principio di giustizia sostanziale e di corretta gestione delle finanze pubbliche. L’IRAP avvocati pubblici è un costo dell’amministrazione e come tale deve essere gestito. Le pubbliche amministrazioni non possono ridurre unilateralmente i compensi dei propri legali per coprire oneri fiscali di propria competenza. Devono invece dotarsi di regolamenti o accordi chiari che stabiliscano le modalità di accantonamento delle risorse necessarie a coprire l’IRAP, garantendo trasparenza e rispetto dei diritti dei lavoratori. Questa pronuncia offre un’importante tutela per tutti i professionisti legali impiegati nel settore pubblico.

Chi è tenuto a pagare l’IRAP sui compensi professionali di un avvocato dipendente di un ente pubblico?
L’IRAP è un’imposta a esclusivo carico dell’ente pubblico datore di lavoro. Il presupposto impositivo, ovvero l’autonoma organizzazione, è riferibile all’ente e non al singolo avvocato dipendente.

Un Comune può trattenere direttamente l’importo dell’IRAP dal compenso del proprio avvocato?
No, la trattenuta diretta dell’IRAP dal compenso professionale dell’avvocato è illegittima, in quanto trasferisce indebitamente un onere fiscale del datore di lavoro sul dipendente. Ciò è possibile solo se previsto da un regolamento o dalla contrattazione collettiva che disciplini la prededuzione dal fondo generale.

Qual è la procedura corretta che un ente pubblico deve seguire per la gestione dell’IRAP sui compensi legali?
L’ente deve calcolare l’ammontare totale del fondo per i compensi (derivante dalle spese legali liquidate in suo favore), accantonare preventivamente le somme necessarie a coprire l’IRAP e gli altri oneri a suo carico, e solo successivamente distribuire l’importo netto residuo tra gli avvocati aventi diritto. Tale procedura deve essere basata su un regolamento o un accordo collettivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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