Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20865 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20865 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 16996-2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e del socio COGNOME NOME (c.f. e P_IVA), con sede in Pesaro (PU), INDIRIZZO, in persona del Curatore pro tempore AVV_NOTAIO, rappresentati, assistiti e difesi dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale in calce al ricorso.
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, CRAGIONE_SOCIALE e P_IVA, in persona del legale rappresentante AVV_NOTAIO, difesa e rappresentata dall’AVV_NOTAIO.
-controricorrente – avverso il decreto del Tribunale di Pesaro, depositato in data 21.3.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/4/2024 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ RAGIONE_SOCIALE chiedeva di essere ammessa al passivo del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e del socio COGNOME NOME per € 346.893 in chirografo, per credito derivante da mutuo fondiario del 13 febbraio 2014, e del socio COGNOME per € 346.893 in privilegio, quale terzo datore di ipoteca, e per € 95.129 per altro mutuo fondiario.
Il giudice delegato riduceva, tuttavia, l’importo richiesto ed ammetteva in chirografo il credito insinuato anche rispetto al fallimento del socio.
Proposta opposizione da parte della banca, il Tribunale di Pesaro, in accoglimento parziale dell’impugnazione, ammetteva nella misura e con il privilegio richiesto, evidenziando che: (i) il mutuo non si era tradotto in una disponibilità meramente contabile, ma nella consegna effettiva di una somma utilizzata dalla mutuataria per continuare a essere operativa sul mercato; (i) l’atto non era dunque a titolo gratuito, in quanto l’ipoteca era stata concessa contestualmente al mutuo; (iii) il patrimonio del socio risultava di entità tale da escludere, a quella data, la sussistenza di un pregiudizio per i creditori particolari; (iv) in ogni caso non vi era prova che la banca avesse consapevolezza del pregiudizio che l’atto avrebbe arrecato ai creditori .
Il decreto, pubblicato il 21/03/2020, è stato impugnato dal RAGIONE_SOCIALE e del socio COGNOME NOME con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui la banca ha resistito con controricorso.
Il Fallimento ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il fallimento ricorrente propone due distinte doglianze, articolate come: (a) ‘nullit à del decreto del Tribunale di Pesaro per violazione e/o falsa applicazione degli articoli 66 l.f. e 1362-1363-1369 e 2901 c.c. – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. ; (b) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio in riferimento
all’articolo 360 n. 5 c.p.c.’, sul rilievo che il Tribunale di Pesaro avrebbe erroneamente qualificato ai fini dell’esperimento della revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. in sede fallimentare – la concessione di una ipoteca volontaria nell’ambito di una operazione di mutuo fondiario quale atto oneroso anziché gratuito. Questa qualificazione – aggiunge il fallimento ricorrente – sarebbe stata, in parte, determinata da un vizio di motivazione contenuto nel provvedimento impugnato – che viene sollevato sulla scorta dell’articolo 360 cpc n.5 – il quale, poi, avrebbe inevitabilmente costituito il presupposto delle violazioni e della falsa applicazione delle predette disposizioni di legge.
1.1 Il ricorrente, infatti, censura il decreto impugnato laddove lo stesso ha proposto un ‘erronea qualificazione dell’ipoteca come atto a titolo oneroso , anziché gratuito, poiché il mutuo ripianava per € 255.000 una precedente esposizione e concedeva nuova finanza per 90.000, con la conseguenza che il contratto di mutuo doveva essere considerato un contratto misto, in parte oneroso, in parte gratuito, e con l’ulteriore corollario che la disciplina giuridica da applicare era quella della parte prevalente.
1.2 I motivi, così articolati, sono inammissibili.
1.2 Le doglianze, articolate una volta sotto l’egida applicativa del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., e, sotto altro profilo, come vizio di omesso esame di fatto decisivo, non superano infatti il vaglio di ammissibilità. 1.2.1 Sotto il primo profilo, giova ricordare che – in tema di ricorso per cassazione – il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017).
Più precisamente è stato affermato sempre dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge,
di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata.
Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).
Orbene, le doglianze proposte, come violazione e falsa applicazione di legge, non tendono, in realtà, ad evidenziare un vizio di errata sussunzione di una fattispecie concreta nel paradigma applicativo delle norme di cui si assume la falsa applicazione (artt. 66 l. fall. e 2901 cod. civ.), ma in realtà le stesse cercano di sollecitare, invano, questa Corte di legittimità ad un nuovo scrutinio della quaestio facti di cui si pretenderebbe, da parte del fallimento, una diversa lettura tramite un rinnovato apprezzamento delle prove documentali sopra ricordate in premessa, così proponendo censure che esulano, con tutta evidenza, dall’ambito applicativo del sindacato di legittimità.
1.2.2 Ma anche sotto il versante del dedotto vizio di omesso esame di fatto decisivo, declinato sotto il paradigma applicativo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., le censure non colgono nel segno ed anzi risultano, al pari delle prime, inammissibili, perché, contrariamente a quanto richiesto
dalla norma processuale da ultimo ricordata (per come perimetrata dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità: Cass. n. 8053/2014), non enucleano affatto un ‘fatto storico’, dibattuto nel giudizio e decisivo ai fini del decidere, nel cui omesso esame sarebbero incorsi i giudici del merito, ma cercano di sollecitare questa Corte ad una rilettura degli atti istruttori, nella diversa prospettiva di far ritenere l’atto di concessione dell’ipoteca un atto a titolo gratuito perché diretto, dopo il sorgere del credito, a trasformare, in favore della banca creditrice, un credito chirografario in credito ipotecario, tramite l’utilizzazione della provvista nascente dal mutuo per l’estinzione di passività pregresse.
Si tratta, anche qui, di un nuovo apprezzamento della fattispecie concreta della quale si vorrebbe accreditare una diversa lettura del suo contenuto probatorio che, tuttavia, esula dalla cognizione del giudice di legittimità.
A ciò va aggiunto che le doglianze prospettate dal Fallimento ricorrente risultano completamente fuori centro rispetto al dettato normativo di cui si invoca la violazione, posto che la questione da dibattere non è tanto quella dell’interpretazione del contratto, né quella della qualificazione dell’atto come gratuito o oneroso, dipendendo l’onerosità non già dal contenuto del contratto, ma dalla contestualità fra prestazione di garanzia e credito.
Ed invero, una volta accertato che almeno parte del credito era contestuale, circostanza ammessa dallo stesso fallimento ricorrente, l’onerosità era da considerarsi conseguente.
Con il secondo motivo si censura il provvedimento impugnato ‘per violazione e/o falsa applicazione degli articoli 66 l.f. 2697-2727-2728-2901 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ e per ‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio in riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c.’ , sul rilievo che il Tribunale avrebbe errato nel valutare l’ eventus damni , in quanto il totale dei debiti ammessi al passivo di RAGIONE_SOCIALE era di € 1.082.934, mentre il suo patrimonio era pari a € 300.000.
2.1 Possono anche qui essere richiamate le osservazioni svolte in relazione all’articolato primo motivo, per evidenziare anche in questo caso la inammissibilità delle censure proposte dal Fallimento ricorrente, sotto l’egida
applicativa, prima, del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., e, poi, sotto quella di cui al n. 5 del predetto art. 360.
Ed invero, il Tribunale, con apprezzamento in fatto qui non più censurabile (per lo meno nei termini prospettati dal ricorrente), ha valutato e ritenuto che il patrimonio fosse capiente per soddisfare i creditori e tale apprezzamento non può certo essere sovvertito in questo giudizio di legittimità tramite la rilettura degli atti istruttori (Cass. Sez. Un. n. 8054/2014).
Con il terzo motivo il fallimento ricorrente propone vizio di ‘nullit à della ordinanza del Tribunale di Pesaro per violazione e/o falsa applicazione degli articoli 66 l.f.- 2500 sexies comma 4 c.c. – 2697-2727-2728-2901 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’, nonché vizio di ‘ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio in riferimento all’articolo 360 n. 5 c.p.c. ‘.
3.1 Ricorda il ricorrente che la revocatoria si inseriva nell’ambito di una trasformazione societaria della RAGIONE_SOCIALE) avvenuta ad aprile 2014, resasi indispensabile e necessaria – pena la messa in liquidazione della stessa – a seguito di una ingente perdita registrata alla fine dell’esercizio 2013, la quale ammontava ad € 264.182,49, come risultava dal Libro inventari della società.
A ciò doveva essere aggiunta la circostanza che la società, sempre al 31.12.2013, aveva debiti per circa 1.500.000,00.
3.3 Secondo il ricorrente, per ‘sorgere del credito’ ex art. 2901 c.c. si doveva intendere la trasformazione societaria ovvero il momento in cui i creditori sociali erano divenuti creditori del socio, circostanza quest’ultima che non sarebbe stata affatto considerata, valutata e colta dal Tribunale di Pesaro. Sempre secondo la prospettiva del fallimento ricorrente, la società, verificatasi la perdita dell’intero capitale sociale, avrebbe dovuto prima essere trasformata in RAGIONE_SOCIALE e, successivamente, il socio avrebbe dovuto concedere l’ipoteca sul proprio bene, evitando così di pregiudicare la garanzia patrimoniale dei creditori sociali.
3.4 Anche queste ulteriori doglianze risultano formulate in modo inammissibile, posto che la circostanza che la trasformazione societaria sopra descritta fosse intervenuta solo dopo la concessione dell’ipoteca, e non
viceversa, come invece avrebbe auspicato la curatela fallimentare, a tutela degli interessi del ceto creditorio da quest’ultima rappresentato (ipoteca concessa dal socio, poi, divenuto illimitatamente responsabile, con conseguente denunciata elusione del d isposto normativo di cui all’art. 2500 sexies cod. civ.) rappresentava la detta circostanza, nel percorso argomentativo della impugnata motivazione, solo un mero elemento indiziario per la dimostrazione della sussistenza del consilium fraudis e della partecipatio , profilo in relazione al quale si registra, per quanto già sopra detto, un adeguato supporto argomentativo, con la conseguenza che le doglianze così proposte in questa sede scadono ad una mera richiesta di rivalutazione del merito, come tale estranea al giudizio di legittimità.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 23.4.2024