Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33925 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33925 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1238/2023 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO
Veturia, n.
45, presso lo studio dell’avvocato NOME
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
contro
COGNOME NOME COGNOME
– intimate – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 1681/2022 depositata il 19/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
– ricorrente –
NOME COGNOME citava in giudizio NOME COGNOME dinnanzi al Tribunale di Milano al fine di ottenere, in via principale, sentenza dichiarativa di esclusiva ed effettiva proprietà dell’immobile sito in Milano, INDIRIZZO previo accertamento e dichiarazione che la compravendita dell’immobile de quo era stata oggetto di simulazione soggettiva o di intestazione fiduciaria. In via subordinata e/o alternativa esperiva l’azione generale di arricchimento ex art. 2041 c.c. al fine di ottenere la condanna della convenuta alla restituzione delle risorse finanziarie personali utilizzate per il pagamento delle rate del mutuo stipulato per l’acquisto dell’immobile.
Si costituiva in giudizio la COGNOME chiedendo il rigetto delle domande attoree.
I l Tribunale rigettava la domanda principale di accertamento della proprietà dell’immobile condannando la COGNOME alla restituzione della sua quota di spettanza del debito solidalmente assunto con il contratto di mutuo.
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
L’appellata, regolarmente citata in giudizio, non si costituiva e veniva dichiarata contumace.
La Corte d’Appello di Milano accoglieva in parte il gravame e in riforma della sentenza accertava che NOME COGNOME era creditore, in via di regresso, della somma di € 220.739,75, pari all’intera somma corrisposta dallo stesso in forza del contratto di mutuo cointestato con interesse esclusivo della COGNOME. Confermava nel resto la sentenza gravata. Condannava l’appellata NOME NOME a restituire all’appellante,
la somma di € 220.739,75, oltre le rate maturate dal luglio dal luglio 2015 oltre interessi dalle scadenze al saldo effettivo.
La Corte d’Appello, q uanto alla domanda di simulazione relativa soggettiva trattandosi di un contratto (la compravendita di immobile) per cui la legge richiede la forma scritta ad substantiam , evidenziava che l a prova dell’accordo simulatorio – traducendosi nella dimostrazione del negozio dissimulato – avrebbe dovuto essere fornita mediante atto scritto, atto, in concreto, mai prodotto in giudizio così come la compartecipazione del terzo all’accordo simulatorio.
Quanto alla prova del negozio fiduciario la Corte d’Appello evidenziava che secondo le Sezioni Unite non era necessaria la forma scritta.
L’appellante argomentava che la prova dell’accordo fiduciario potesse essere desunta dal materiale probatorio allegato e rafforzata dalla prova testimoniale articolata con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c.
In particolare, la prova sarebbe consistita nel ricorso per separazione nel quale vi sarebbe stata una sorta di confessione così come nella dichiarazione fornita dalla COGNOME nel verbale della causa R.G. n. 78196/2014.
La Corte d’Appello evidenziava che le suddette prove attestavano solo che i mezzi di pagamento erano stati forniti dal COGNOME, ma non anche l’ obbligo giuridico di trasferimento dell’immobile dalla COGNOME al marito, potendo la fattispecie essere diversamente inquadrata (ad es. donazione indiretta).
Da ultimo, ad escludere l’esistenza di un pactum fiduciae , per una diversa concordata destinazione dell’immobile erano gli stessi
argomenti del COGNOME laddove affermava che tale appartamento era destinato al figlio NOME per assicurargli lo stesso trattamento della sorella. Detto programma familiare finalizzato alla equa sistemazione dei figli della coppia, escludeva ex se che fosse intervenuto tra le parti un patto fiduciario con obbligo di trasferimento del bene al COGNOME.
Non era applicabile i l secondo comma dell’art. 219 c.c. mancando il suo presupposto relativo alla mancanza di prova della proprietà esclusiva di un bene in quanto la COGNOME poteva dimostrare la proprietà esclusiva dell’immobile di INDIRIZZO in forza di regolare contratto di compravendita stipulato in data 23 ottobre 2003.
Come si è già detto, la Corte accoglieva il motivo relativo al la restituzione dell’intera somma presa a mutuo.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di cinque motivi di ricorso.
NOME è rimasta intimata
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, il ricorrente a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
È stata fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
Il ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.- art. 132 comma 1, n. 4, c.p.c. omessa motivazione ed esame degli elementi di prova addotti e loro rilevanza in applicazione dell’art. 1417 c.c. art. 2724, n. 1, c.c.
La simulazione relativa soggettiva, per quanto attiene ai terzi, non pone limitazioni alla prova, mentre tra le parti contraenti del negozio simulato e dissimulato richiede specificamente un atto scritto. Tuttavia, la Corte d’appello ha completamente omesso di valutare e motivare ex art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. sulla esistenza di prove scritte specifiche rappresentate dai documenti da 13 a 15 prodotti nel giudizio di primo grado.
Costituirebbero prove documentali del riconoscimento del diritto vantato dall’Ing. COGNOME l’affermazione contenuta nel ricorso per separazione giudiziale sottoscritto dalla sig.ra COGNOME secondo cui la stessa era “formalmente intestataria” dell’immobile sito in Milano INDIRIZZO dalla dichiarazione resa dalla stessa nel verbale di udienza del 22.1.15 nella causa rg 78196/14 in cui afferma che “il mutuo è stato pagato” dal COGNOME
Secondo il ricorrente la prova scritta dell’accordo dissimulato non è richiesta ad substantiam ma solo ad probationem . Ciò anche quando l’oggetto del patto fiduciario è rappresentato da un immobile e, dunque, la Corte d’Appello avrebbe fatto erronea applicazione dell’art. 1417 e 2724 n. 1 c.c. atteso che la controdichiarazione si rispecchia negli anzidetti documenti tenendo anche conto che costituiscono dichiarazione di scienza
Peraltro, anche non volendo considerare i documenti scritti come prova dell’accordo simulatorio , si dovrebbe ritenere che gli
stessi costituiscano un principio di prova che ammette la prova per testi.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – violazione di legge – errata applicazione degli artt. 1322, 1706, 1417 e 2724, n. 1, e 2725, 2732 e 2735 c.c.
Quanto alla prova dell’impegno da parte della convenuta COGNOME a ritrasferire la proprietà dell’immobile risultava provato l’accordo familiare alla base delle suddette prove documentali e quandanche le stesse potevano ritenersi insufficienti avrebbero comunque dovuto indurre ad ammettere la prova testimoniale di cui il ricorrente riporta analiticamente i capitoli.
Secondo la Corte d’Appello le dichiarazioni di essere intestataria formale della COGNOME non hanno valore confessorio e. costituiscono semmai indizio ex art 116 c.p.c. da valutare insieme ad altri elementi di prova e comunque non sarebbero probanti dell’obbligo di trasferimento al marito.
Anche volendo ritenere che questo atto non abbia valore confessorio ma valore di mero indizio, a maggior ragione, sarebbe stato doveroso procedere alla assunzione delle prove testimoniali.
Peraltro, debbono comunque considerarsi pienamente munite di valenza confessoria atteso che ex art. 2735 c.c sono state rilasciate in atti giudiziari nell’ambito di una causa intercorsa tra le stesse parti (COGNOME) e quindi assumono valore di confessione stragiudiziale e comunque sono irrevocabili in quanto l’art. 2732 c.c. consente la revoca solo in caso di errore di fatto o di violenza, circostanze queste non ricorrenti.
Ad ogni buon conto, ammesso e non concesso che così fosse come affermato dalla Corte d’Appello, cioè solo indizi avrebbe dovuto ammettere le prove testimoniali a corredo degli indici presuntivi.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: art. 360 n. 3 cpcviolazione e falsa applicazione degli arti. ·115, 116, 244 c.p.c. art 2732; ·2735 c.c. – errata mancata ammissione di prove decisive dichiarazione resa in altri procedimenti deve essere equiparata alla confessione stragiudiziale in quanto comunque era fatta nell’ambito di un giudizio tra le stesse parti e quindi era diretta all’odierno ricorrente COGNOME e come tale sarebbe equiparabile alla confessione giudiziale stante il disposto dell’articolo 2735 del codice civile.
La Corte d’appello non ha ammesso le prove orali in quanto irrilevanti e/ o ininfluenti. L’ammissione di tali prove orali, come dedotte nella memoria ex art 183 c.p.c., si imponeva sia in ragione dell’articolo 115 che dell’art. 116 c.p.c. che impongono al giudice di valutare i fatti di causa in base alle prove articolate dalle parti.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: art. 360, n. 4, cpc – art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. omessa ed apparente motivazione
Nel caso di specie si sarebbe in presenza di una vera e propria motivazione apparente fondata su affermazioni tra di loro inconciliabili ed incomprensibili.
Infatti, la Corte d’Appello, oltre a non aver preso in esame il punto focale dei motivi di impugnazione, ossia l’applicazione del l’art. 219 c.c. neanche menzionato, dapprima richiama una pronuncia superata della Suprema Corte che imporrebbe la forma
scritta in caso di interposizione reale, poi afferma che tale orientamento è superato dalla sentenza ma con una incomprensibile ed illogica affermazione, dichiara che la prova scritta – di cui non vi sarebbe necessità – non è stata offerta.
Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: art. 360, n. 3, c.p.c. – violazione e falsa applicazione di legge – errata applicazione dell’art. 219 c.c.
La Corte d’appello pertanto non ha ammesso le prove documentali e orali in quanto non probanti le prime ed irrilevanti le seconde in violazione dell’art. 219 c.c..
In applicazione di questa norma la Corte d’appello avrebbe dovuto, sulla base delle evidenze documentali sopra richiamate, statuire il riconoscimento della proprietà a favore dell’attore NOME ovvero ammettere le prove testimoniali, richieste in primo grado e non ammesse e riportate nuovamente nell’atto di appello.
La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. è di inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso per le seguenti ragioni: «Primo, secondo, e terzo motivo: inammissibili, o comunque manifestamente infondati, poiché tesi alla rivalutazione degli elementi probatori raccolti ed esaminati nel corso del giudizio di merito. Segnatamente, il ricorrente si duole del mancato accertamento della simulazione e, in via subordinata, della sussistenza di un negozio fiduciario atto a sancire l’obbligo di ritrasferire un immobile sito in Milano, alla INDIRIZZO che egli ritiene esser stato simulatamente, o fittiziamente, intestato a nome della sua exmoglie. A suffragio della tesi della natura simulata del contratto di compravendita del 27.10.2003, oggetto di causa così come
dell’ipotizzata sussistenza di un pactum fiduciae, il ricorrente richiama le affermazioni della COGNOME, la quale, nel giudizio per la separazione personale dei coniugi, aveva dichiarato di essere solo ‘formalmente intestataria’ dell’appartamento de quo .
La Corte di Appello ha escluso la sussistenza della simulazione per mancanza di prova della compartecipazione del venditore all’accordo simulatorio, nonché per mancanza della controdichiarazione scritta, ed ha ritenuto che le dichiarazioni della COGNOME in sede di separazione non avessero valore confessorio, né fossero idonee a dimostrare l’esistenza dell’accordo dissimulato (cfr. pagg. 7 e 8 della sentenza impugnata).
La statuizione della Corte distrettuale è conforme all’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘Nella simulazione soggettiva relativa, il requisito della forma scritta ad substantiam deve essere rispettato dal contratto apparente, mentre l’accordo simulatorio tra interponente, interposto e terzo contraente -che può essere anteriore o contemporaneo al contratto simulato, ma non posteriore ad esso -va provato, tra le parti, con la controdichiarazione scritta, che, non essendo espressione della voluntas simulandi, ma atto ricognitivo della volontà manifestata in precedenza, è idoneo mezzo di prova anche se sottoscritta solo dalla parte contro cui sia prodotta in giudizio e anche se successiva all’accordo simulatorio, essendo soggetta solo alle regole della forma scritta ad probationem” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18049 del 06/06/2022, Rv. 665165; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18204 del 24/07/2017, Rv. 645095; Cass. cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7537 del 23/03/2017, Rv. 643529; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6357 del 05/03/2019, Rv. 652934 e Cass. Sez. 3,
Sentenza n. 4565 del 22/05/1997, Rv. 504610). Va anche considerato che l’assunto sul quale si poggia la ricostruzione teorica proposta dal ricorrente -secondo cui la COGNOME avrebbe reso dichiarazioni confessorie in relazione all’esistenza della simulazione -collide con l’ulteriore principio, egualmente affermato da questa Corte, per cui ‘… la mancanza della controdichiarazione osta all’ammissibilità dell’interrogatorio formale, ove rivolto a dimostrare la simulazione soggettiva relativa, giacché la confessione, in cui si risolve la risposta positiva ai quesiti posti, non può supplire al difetto dell’atto scritto, necessario per il contratto diverso da quello apparentemente voluto …’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6262 del 10/03/2017, Rv. 643369). Le dichiarazioni rese dalla Giussani in sede di separazione personale dei coniugi, dunque, giammai potrebbero sostituire la controdichiarazione scritta mai redatta.
La Corte distrettuale ha, poi, escluso anche la configurabilità del pactum fiduciae in quanto, pur riconoscendo che il negozio fiduciario può essere concluso per via orale, ha ritenuto non conseguita la prova della sua esistenza, posto che le dichiarazioni della Giussani non consentivano di configurare l’interposizione reale, la cui esistenza richiede una chiara manifestazione della volontà del soggetto interposto di obbligarsi al ritrasferimento dell’immobile: volontà che, nel caso di specie, è stata riten uta assente.
Sul punto, peraltro, va data continuità al principio secondo cui ‘In tema di negozio fiduciario, la prova per testimoni del pactum fiduciae è sottratta ai limiti previsti dagli artt. 2721 e ss. c.c. soltanto nel caso in cui detto patto sia volto a creare obblighi
connessi e collaterali rispetto al regolamento contrattuale, onde realizzare uno scopo ulteriore in rapporto a quello naturalmente inerente al tipo di contratto stipulato, senza direttamente contraddire il contenuto espresso di tale regolamento; al contrario, ove il patto si ponga in antitesi con quanto risulta dal contratto, la qualificazione dello stesso come fiduciario non è sufficiente ad impedire l’applicabilità delle disposizioni che vietano la prova testimoniale dei patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento’ (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 7179 del 04/03/2022, Rv. 664196).
In corretta applicazione dei principi appena richiamati, dunque, il giudice del gravame ha ritenuto che le dichiarazioni rese dalla Giussani in sede di separazione personale dei coniugi consentissero soltanto di ritenere provato il pagamento dell’immobile da parte del Fiorenza, ma non anche la sussistenza di un negozio simulato o fiduciario, ben potendo la fattispecie essere inquadrata diversamente (ad esempio, in termini di donazione indiretta; cfr. pag. 10 della sentenza impugnata).
I motivi di ricorso in esame, nell’attingere la statuizione della Corte distrettuale, si pongono in contrasto con i principi affermati da questa Corte e propongono un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tese all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre, in sede di legittimità, un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la
valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330) » .
7. Il ricorrente con la memoria depositata in prossimità dell’udienza insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso e in aggiunta alle deduzioni ivi formulate, tenuto conto anche delle conclusioni della proposta, osserva che: il negozio fiduciario è un istituto di creazione giurisprudenziale che non può inquadrarsi in uno schema tipico e di conseguenza la Corte d’Appello lo ha erroneamente escluso dopo aver evidenziato che rientrava in un programma familiare e che l’immobile era diretto al figlio della coppia. Lo scopo e quindi la finalità perseguita nell’affidare l’immobile alla signora COGNOME comportava pertanto il ritrasferimento nel momento in cui si fosse reso necessario realizzare lo scopo o comunque che rimanesse nella sfera di
disponibilità del NOME e che non venisse ceduto a terzi proprio perché la permanenza nella famiglia avrebbe consentito allo stesso titolare effettivo NOME di destinarlo a suo piacimento. Anche le richieste istruttorie reiterate nell’ambito dei motivi di ricorso la Cassazione hanno proprio lo scopo di rappresentare che l’errato inquadramento della questione attinente al negozio fiduciario ha condizionato l’utilizzo degli strumenti probatori che si sono limitati alla mera constatazione nella esistenza di una dichiarazione confessoria della signora COGNOME e – che avevano lo scopo di rappresentare e dimostrare le effettive finalità perseguite con il negozio fiduciario a fronte della condotta inadempiente della signora COGNOME, che voleva vendere a terzi l’appartamento impedendo la realizzazione dello scopo perseguito dal fiduciante NOME COGNOME
Infine sui motivi 4 e 5 del ricorso il ricorrente insiste nella censura di violazione dell’articolo 219 c.c. in quanto tale norma opererebbe solamente nell’ipotesi in cui non si possa ricostruire esattamente la proprietà mentre nel caso di specie il contratto di compravendita del 2003 permette di individuare con certezza la titolarità del bene, aggiungendo poi che questo orientamento è conforme a quanto espresso dalla Corte di Cassazione secondo cui la citata norma varrebbe solo per i beni mobili e non quelli immobili per i quali è richiesta la forma scritta.
Il ricorso è infondato.
Il Collegio ritiene condivisibili le conclusioni indicate in sede di proposta di definizione accelerata e la memoria del ricorrente non offra argomenti tali da consentire di accogliere il ricorso.
In particolare, non può trovare accoglimento la tesi del ricorrente secondo cui il patto fiduciario era diretto al trasferimento dell’immobile al figlio NOME e che l’inadempimento della controparte sarebbe costituito dal tentativo di vendita a terzi. Tale ricostruzione, infatti, è ulteriore riprova di quanto si afferma nella sentenza impugnata ovvero che non vi è prova dell’obbligo contratto dalla moglie del ricorrente di ritrasferire il bene al COGNOME, sussistendo solo la prova che il pagamento del prezzo dell’immobile è avvenuto con fondi di sua proprietà e potendosi in tale evenienza ipotizzare anche una donazione indiretta.
Non merita censura, pertanto, la sentenza nella parte in cui ha escluso la prova del pactum fiduciae , posto che le dichiarazioni della Giussani non consentivano di configurare l’interposizione reale, la cui esistenza richiede una chiara manifestazione della volontà del soggetto interposto di obbligarsi al ritrasferimento dell’immobile: volontà che, nel caso di specie, è stata ritenuta assente.
La motivazione della Corte circa l’inammissibilità delle prove richieste dal ricorrente si fonda sulle medesime ragioni, in quanto volte solo a provare il pagamento da parte del Fiorenza.
In conclusione, come evidenziato nella proposta, i motivi di ricorso dal primo al terzo , nell’attingere la statuizione della Corte distrettuale, si pongono in contrasto con i principi affermati da questa Corte e propongono un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tese all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).
9.1 Quanto, ai motivi quarto e quinto è sufficiente richiamare la giurisprudenza secondo cui ‘L’art. 219 c.c. riconoscendo al coniuge di poter provare con ogni mezzo, nei confronti dell’altro, la proprietà esclusiva di un bene, ed aggiungendo che quelli di cui nessuno di essi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa, per pari quota, di entrambi -riguarda essenzialmente le controversie relative a beni mobili, ed è volto principalmente a derogare, attraverso la presunzione posta nel secondo comma, alla regola generale sull’onere della prova in tema di rivendicazione, mentre nessuna eccezione configura alla normale disciplina della prova dei contratti formali, in particolare degli acquisti immobiliari. Pertanto, quando un immobile sia intestato ad uno dei coniugi in virtù di idoneo titolo d’acquisto, l’altro coniuge, che alleghi l’interposizione reale, non può provarla con giuramento, né con testimoni, giacché l’obbligo dell’interposto di ritrasmettere all’interponente i diritti acquistati deve risultare, a pena di nullità, da atto scritto, salvo che nell’ipotesi di perdita incolpevole del documento e non anche, dunque, nel caso in cui si deduce un semplice principio di prova per iscritto’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18554 del 02/08/2013, Rv. 627602; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11327 del 15/11/1997, Rv. 509940).
D’altra parte, la Corte distrettuale ha correttamente ritenuto operante la presunzione ex art. 219, secondo comma, c.c. soltanto laddove non sia possibile accertare la proprietà del cespite in capo all’uno o all’altro dei coniugi, e ne ha quindi escluso l’applicazione nel caso di specie risultando invece la piena proprietà in capo alla COGNOME a fronte delle risultanze del contratto di compravendita del 2003.
Ric. 2023 n. 1238 sez. S2 – ad. 20/11/2024
Il ricorso è rigettato.
Nulla sulle spese non essendosi costituita la parte intimata.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., va applicata -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. -il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore d ella cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda