Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 7308 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 7308 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 26421-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO;
– controricorrenti –
Oggetto
RIC. CONTRO DECISIONI DI GIUDICI SPECIALI
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/12/2023
CC
RAGIONE_SOCIALE;
– intimata – avverso la sentenza n. 5863/2022 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 12/07/2022.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione che consta di un unico motivo, nei confronti del Comune di Pavia, della Provincia di Pavia e della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, n. 5863 del 2022, pubblicata il 12 luglio 2022 e non notificata, emessa su ricorso della RAGIONE_SOCIALE
La Provincia di Pavia ed il Comune RAGIONE_SOCIALE Pavia hanno depositato separati controricorsi.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, regolarmente intimata, non ha svolto attività difensive in questa sede.
– In relazione al ricorso è stata depositata proposta di definizione anticipata, in data 28 giugno 2023, con la quale:
premesso che nel giudizio di appello, conclusosi col rigetto del gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale che aveva rigettato il ricorso per l’annullamento della nota del Comune di Pavia recante l’approvazione del progetto di messa in sicurezza delle acque di falda nell’area inquinata dell’ex RAGIONE_SOCIALE Vis cosa, ponendo i relativi costi a carico di tutti i proprietari in via indivisibile, escludendo la possibilità di frazionamento degli obblighi di bonifica in ragione delle quote di proprietà, RAGIONE_SOCIALE era intervenuta ad adiuvandum dell’appellante RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , si evidenziava la
nonchè contro
possibile inammissibilità del ricorso: da un lato, perché proposto da un soggetto privo di autonoma legittimazione ad impugnare, essendo la ‘RAGIONE_SOCIALE‘ solo interventore ad adiuvandum nel giudizio di appello dinanzi al Consiglio di Stato e non avendo la parte adiuvata esercitato il diritto di proporre impugnazione (cfr. Cass. SU n.31266/2019); dall’altro, perché la stessa prospettava, con un motivo, in termini di eccesso di potere giurisdizionale, errores in iudicando incensurabili dinanzi alle Sezioni Unite, in quanto inerenti ai limiti interni della giurisdizione amministrativa, ai sensi dell’art. 111, ottavo comma, Cost.
-La ricorrente ha chiesto la discussione del ricorso, depositando nuova procura speciale, ed esso è stato fissato per la trattazione in adunanza camerale delle Sezioni Unite in data 12.12.2023.
Tutte le parti costituite hanno depositato memoria.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
– Questi i fatti a monte della determina impugnata dinanzi al TAR Lombardia che ha dato origine al presente ricorso, per quanto ancora di rilievo in questa sede:
i proprietari dell’area ex RAGIONE_SOCIALE Viscosa in Comune di Pavia, nella quale era stato attivo in passato uno RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che aveva cessato la sua attività nel 1984, presentarono congiuntamente una proposta preliminare di piano integrato di intervento (PII) e poi, nel 2012, un progetto di messa in sicurezza d’emergenza della falda , bocciato dal Comune che ne richiedeva alcune integrazioni per realizzare pienamente le finalità di messa in sicurezza;
nel 2013, le tre RAGIONE_SOCIALE divenute principali proprietarie dell’area (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, poi divenuta RAGIONE_SOCIALE) ripresentarono
un nuovo ‘ Progetto di messa in sicurezza d’emergenza (MISE) delle acque di falda dell’area ex RAGIONE_SOCIALE Viscosa in INDIRIZZO ;
nel luglio 2013 la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, proprietaria di oltre la metà dell’area sulla quale in precedenza sorgeva lo RAGIONE_SOCIALE, veniva messa in liquidazione, e il liquidatore ritirava la disponibilità della RAGIONE_SOCIALE a farsi carico degli oneri di bonifica. Le altre due RAGIONE_SOCIALE mantenevano l’impegno a sostenere economicamente la realizzazione del MISE ma solo per la parte di relativa spettanza, chiedendo l’attivazione dei poteri sostitutivi comunali per la parte di proprietà dei soggetti inadempienti ai propri obblighi ambientali di bonifica;
-il Comune di Pavia approvava, con determina dell’aprile 2014, il progetto di messa in sicurezza d’emergenza, con oneri a carico delle sole richiedenti RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, senza accettare di sostenere l’onere della realizzazione del progetto per la parte eccedente rispetto alle quote di proprietà dei due soggetti ancora attivi imprenditorialmente;
la Provincia di Pavia avviava il procedimento per individuare il responsabile dell’inquinamento, che veniva individuato nella RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria.
– La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, proprietaria in parte dell’area nella quale era stato presente in passato lo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE Viscosa, impugnava, dinanzi al T.A.R. Lombardia -Milano, la determinazione dirigenziale del Comune di Pavia -prot. n. 21960 del 30 aprile 2014 -recante la ‘ approvazione del documento progetto di messa in sicurezza d’emergenza (MISE) delle acque di falda nell’area ex RAGIONE_SOCIALE Viscosa in INDIRIZZO . Il ricorso veniva rigettato. Parallelamente, l ‘altra socie tà interessata, RAGIONE_SOCIALE impugnava il
medesimo provvedimento, dando vita ad altro autonomo giudizio dinanzi al giudice amministrativo.
6. -La RAGIONE_SOCIALE interveniva poi volontariamente nel giudizio di appello introdotto dalla RAGIONE_SOCIALE, deducendo di essere portatrice di un interesse proprio, perchè la sentenza impugnata la individuava come altro soggetto obbligato alla realizzazione, anche per l’importo eventualmente eccedente il valore del proprio bene, dei lavori di messa in sicurezza in emergenza dell’intera area.
6.1. L’appello della COGNOME era respinto dalla sentenza del Consiglio di Stato qui impugnata, n. 5863 del 2022, con una motivazione (che corre parallela a quella della coeva sentenza n. 5864, impugnata con il ricorso n. 26466/2021 , anch’esso oggetto di esame nel corso della udienza odierna) i cui punti salienti sono i seguenti:
-preliminarmente, il Consiglio di Stato puntualizza, in conformità alla propria recente giurisprudenza (e richiama, tra le altre, Cons. Stato, IV, n. 4588 del 2022; Cons. Stato, n. 3426 del 2022) che nelle materie tecnicoscientifiche si applica il principio per cui le valutazioni delle autorità preposte sono ampiamente discrezionali, e quindi possono essere sindacate in sede di giurisdizione di legittimità solo in caso di risultati abnormi, o evidentemente illogici e contraddittori , non essendo consentito negli altri casi al giudice amministrativo sostituirsi alle valutazioni effettuate dalle amministrazioni (richiama, in materia di valutazioni ambientali, Cons. Stato II, n. 5379 del 2020);
-nei giudizi di impugnazione la legittimità dell’atto impugnato va valutata con riguardo esclusivo alla
situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui fu emanato;
-il fatto che l’inquinamento sia risalente nel tempo non fa venir meno gli obblighi di bonifica in capo all’autore dell’inquinamento, ove il pericolo di aggravamento della situazione sia ancora attuale (ex art. 242, comma 1 cod. ambiente);
-la responsabilità dell’impresa inquinante genera la responsabilità dell’impresa acquirente, avente causa dalla prima;
-le misure di prevenzione e quelle di messa in sicurezza di emergenza, quale quella oggetto di causa, sono imposte dal principio di precauzione, non hanno natura sanzionatoria e non vanno perciò contro al principio, affermato dalla Corte di Giustizia con sentenza 4 marzo 2015, C 534-13, secondo il quale è impossibile imporre opere di bonifica al proprietario di un terreno inquinato non responsabile (al contrario delle misure di messa in sicurezza definitive);
-esse gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire danni all’ambiente solo perché è tale, e quindi a prescindere da qualsiasi suo dolo o colpa.
6.2. – Tutto ciò premesso, il Consiglio di Stato qualificava l’attività richiesta con i provvedimenti impugnati come intervento di messa in sicurezza d’emergenza (nella sua definizione ampia, nella quale rientra ogni intervento immediato atto a contenere la diffusione della contaminazione, elaborata già da Cons. Stato, IV, 18 dicembre 2018, n.7121), aggiungendo che esso era stato attivato dalla iniziativa degli stessi proprietari dei terreni, che il relativo progetto era qualificato proprio in questo
senso, e che lo stesso non poteva essere interrotto nella sua realizzazione, per non vanificarne lo scopo.
6.3. -Aggiungeva che, alla data dell’adozione del provvedimento impugnato, non sussistevano i presupposti per un intervento d’ufficio, in quanto, stante l’avvenuta attivazione da parte dei proprietari delle aree interessate dall’inquinamento, non risultava necessario da parte degli enti competenti procedere all’individuazione del soggetto responsabile, e che a nulla rilevava la sopraggiunta individuazione, da parte della Provincia di Pavia con l’adozione dell’ordinanza n. 8 dell’8 novembre 2016, della RAGIONE_SOCIALE (in amministrazione straordinaria) quale responsabile dell’inquinamento, dovendo sussistere i presupposti per il lamentato mancato intervento d’ufficio al momento dell’adozione del provvedimento impugnato.
6.4. – Riteneva quindi legittimo il rifiuto opposto dal Comune nei confronti della proposta, presentata dalla due proprietarie dei terreni interessati in bonis, di frazionamento dell’intervento da eseguire mediante suddivisione in lotti, volta a limitare gli obblighi di messa in sicurezza alla sola parte di proprietà esclusiva di ciascuna RAGIONE_SOCIALE interessata. Invero, risultava non frazionabile l’operazione di messa in sicurezza delle acque di falda inquinate, trattandosi di un’obbligazione indivisibile, caratterizzata in particolare, dal criterio della ‘indivisibilità materiale’, atteso che, per rendere efficaci gli interventi, si riteneva necessario intervenire in modo unitario su tutta l’area.
6.5. – Infine, osservava che solo nella memoria di replica del 25 maggio 2022 (alle pagine 2 e 3) la RAGIONE_SOCIALE, – già RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE– aveva sollevato la questione di legittimità
costituzionale in relazione all’interpretazione delle norme secondo cui i proprietari di aree inquinate possono essere chiamati a sopportare oneri riferiti a terreni diversi ed ulteriori rispetto ai propri, in quanto contraria al principio secondo cui l’imposizione di obblighi e di oneri finanziari, con un provvedimento unilaterale e imperativo, può essere legittimo solo se adottato in base ad una norma di legge che stabilisca i relativi presupposti e limiti, nel rispetto del principio di legalità, che regola l’attività amministrativa (art. 97 Cost.), e delle riserve di legge che operano a tutela del diritto di proprietà e della libertà d’impresa (artt. 23, 41 e 42 Cost.). La descritta questione di legittimità costituzionale, nei sensi e nei termini in cui era esposta dall’attuale ricorrente, era respinta in quanto manifestamente infondata per essere stata solo genericamente formulata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- La ricorrente RAGIONE_SOCIALE, con l’unico motivo di ricorso, denuncia l’eccesso di potere giurisdizionale, per invasione della sfera riservata al legislatore, con violazione degli artt. 103 e 111 Cost., 110 c.p.a., 362 c.p.c., avendo la sentenza impugnata imposto al proprietario incolpevole di una porzione di un sito inquinato da una pregressa e cessata attività industriale, gli oneri relativi alla messa in sicurezza d’emergenza dell’intera area, esponendolo ad un esborso finanziario anche superiore al valore del terreno, in via solidale con gli altri proprietari di terreni adiacenti al proprio in assenza di una norma di legge che lo preveda. Assume il verificarsi di uno straripamento, dalla giurisdizione amministrativa, verso l’area riservata al legislatore avendo il giudice amministrativo esercitato una
vera e propria attività di produzione normativa, esulante dalla sua competenza.
Critica la sentenza impugnata – che ha rigettato il ricorso di RAGIONE_SOCIALE– là dove ha ritenuto non frazionabile l’operazione di messa in sicurezza delle acque di falda inquinate, trattandosi di obbligazione indivisibile secondo il criterio della indivisibilità materiale, perché l’intervento di messa in sicurezza per essere efficace necessita di essere realizzato unitariamente.
Segnala che la solidarietà tra proprietari incolpevoli di area inquinata non è prevista da alcuna norma del codice dell’ambiente e in particolare non dall’art. 245 del d.lgs. n. 152 del 2006, che prevede gli obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione.
Ripropone gli argomenti addotti in appello a fondamento della questione di legittimità costituzionale per violazione del principio di legalità, delle riserve di legge in materia di proprietà e della libertà di impresa formulate in appello, secondo i quali si richiederebbe al proprietario incolpevole di una parte del fondo inquinato un sacrificio economico irragionevole e sproporzionato nel caso sia chiamato a sostenere l’onere economico dell’intera attività di bonifica, cui peraltro non ha dato causa. Sottolinea che, non esaminando neppure funditus la possibile rilevanza e non manifesta infondatezza della questione, il Consiglio di Stato si sarebbe sottratto all’obbligo di individuare la fonte normativa dell’obbligo economico solidale imposto alla ricorrente, peraltro non coincidente con la necessità di eseguire un intervento tecnicamente unitario, che non osta alla imputazione pro quota dei relativi costi.
-Il Comune RAGIONE_SOCIALE Pavia, nel proprio controricorso, evidenzia che:
la messa in sicurezza d’emergenza dell’area ex RAGIONE_SOCIALE fu avviata su iniziativa degli stessi proprietari, nell’ambito di realizzazione di un piano integrato di intervento che avrebbe visto una rilevante valorizzazione dell’area con nuovi insediamenti residenziali, commerciali e di servizi;
RAGIONE_SOCIALE Uno, interventore ad adiuvandum nel processo amministrativo intrapreso da NOME e solo in grado di appello, aveva dedotto l’erroneità della sentenza di merito in relazione agli obblighi di bonifica di fonte contrattuale e nella parte in cui evidenziava la sussidiarietà dell’intervento dell’amministrazione, e solo in memoria di replica aveva cercato di spostare il baricentro del giudizio verso gli obblighi, a carico del proprietario incolpevole, di farsi carico di un intervento economico relativo alla messa in sicurezza d’emergenza anche superiore al valore del proprio terreno, sollevando la questione di legittimità costituzionale per mancanza di un provvedimento normativo che stabilisca i presupposti e i limiti del potere impositivo di obblighi e oneri finanziari.
Ciò premesso, rileva la carenza di legittimazione attiva in capo a RAGIONE_SOCIALE Uno, semplice interventore ad adiuvandum in appello, priva di autonoma legittimazione ad impugnare in difetto di impugnazione da parte dell’appellante principale NOME (richiama, in tal senso, tra le altre, Cass. n. 31266 del 2019).
Osserva poi che il motivo di ricorso per cassazione ripropone le argomentazioni contenute nella questione di legittimità costituzionale formulata in appello, senza peraltro riproporre la questione in questa sede, perché la
riproposizione risulterebbe contraddittoria con la deduzione di inesistenza della norma applicata posta alla base del motivo, e sostiene che, in realtà, sia stato dedotto dalla ricorrente un error in iudicando , ovvero una censura avverso l’attività interpretativa svolta dal Consiglio di Stato, in relazione al quale il ricorso per cassazione è inammissibile.
Segnala altresì che è stato impugnato solo il capo 16. della sentenza, relativo alla natura solidale dell’obbligazione a carico dei vari proprietari, e non anche l’altro punto della decisione in cui si afferma la sussistenza di tali obblighi di intervento anche in capo ai proprietari incolpevoli: segnala che l’ultimo principio è comunque frutto di una interpretazione sistematica, che si va consolidando nella giurisprudenza amministrativa, degli artt. 240, 242, 245, 250 e 253 del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché dell’interpretazione dell’art. 1316 c.c. sulle obbligazioni indivisibili, cui si applicano le norme sulle obbligazioni solidali.
Sottolinea poi che si tratta non di bonifiche del suolo, ma delle acque di falda, con posa in opera di barriere idrauliche là dove convergono le acque che subiscono una contaminazione dai terreni inquinati, da cui l’indivisibilità materiale della obbligazione. Precisa che si tratta di una obbligazione che ha ad oggetto un facere unitario, con conseguente possibilità per il Comune di chiedere l’adempimento per intero della prestazione di messa in sicurezza di emergenza ad uno dei proprietari, senza che ciò comporti l’imputazione dell’intero onere economico in capo a ciascuno dei coobbligati.
3. – La Provincia di Pavia, nel proprio controricorso, sottolinea che RAGIONE_SOCIALE non è mai stata né ricorrente né appellante autonoma, e quindi che il suo intervento non poteva in alcun modo modificare il thema decidendum , definito solo dalle impugnazioni di NOME.
Rileva anch’essa l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto per carenza di legittimazione attiva in capo alla ricorrente, e ne rileva anche la carenza di interesse a ricorrere, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso condurrebbe a caducare l’affermazione di legittimità dell’obbligo imposto ad altra RAGIONE_SOCIALE (la RAGIONE_SOCIALE, appunto), di provvedere a sua volta alla realizzazione delle misure di messa in sicurezza in emergenza: se il ricorso venisse accolto, RAGIONE_SOCIALE Uno rimarrebbe l’unica gravata dall’obbligo di realizzare le opere e di anticiparne i costi.
rationes decidendi che fonda la decisione è stata censurata, e quindi il ricorso è inammissibile perché la sentenza comunque resiste alla
Rileva inoltre che solo una delle plurime censura, essendo passate in giudicato le altre.
4.- La ricorrente argomenta in memoria in ordine alla insussistenza della propria prospettata carenza di legittimazione attiva, avendo essa autonomamente impugnato, con separato ricorso, il medesimo provvedimento amministrativo impugnato in questa sede, del quale anch’essa è destinataria in quanto emesso nei confronti di tutti i proprietari dei fondi ex RAGIONE_SOCIALE, dando luogo ad un procedimento parallelo, del quale è stata chiesta inutilmente la riunione in appello e che viene alla definizione alla stessa udienza odierna (r.g. 26466 del 2022), essendo a sua volta portatrice di una posizione giuridica autonoma.
5.- La memoria del Comune di Pavia richiama altri precedenti di legittimità sul difetto di legittimazione attiva a proporre ricorso per cassazione dell’interventore dipendente (Cass. n. 29757 e 22972 del 2022). Quanto alla pendenza di un parallelo giudizio, osserva che gli stessi non sono mai stati riuniti perché i motivi di gravame erano diversi. Ribadisce che la solidarietà fatta valere dal Comune ed accertata dal Consiglio di Stato attiene all’obbligazione di facere indivisibile, di realizzazione dell’intervento in emergenza, e non agli oneri economici. 6.- Infine, la Provincia, nella sua memoria, osserva che è privo di legittimazione attiva anche l’interventore nel giudizio d’appello che affermi di essere titolare di una posizione autonoma: infatti, l’interventore che -pur essendo (asseritamente) titolare di un proprio autonomo diritto- lo faccia valere, non in via autonoma, bensì quale interesse che lo legittima a sostenere le ragioni di una delle parti nel giudizio di merito, va sempre qualificato come adesivo dipendente e, in quanto tale, in caso di acquiescenza alla sentenza della parte adiuvata, non può proporre alcuna autonoma impugnazione per cassazione
(Cass., sez. II, 22 luglio 2022, n. 22972).
Tutto ciò premesso, il ricorso è inammissibile.
In questo giudizio, RAGIONE_SOCIALE è intervenuta in appello, dinanzi al Consiglio di Stato, limitandosi ad aderire alle ragioni di NOME, con la conseguenza che, stante la posizione meramente accessoria e dipendente dell’odierna ricorrente rispetto a quella della RAGIONE_SOCIALE che ha agito dinanzi al giudice amministrativo e in mancanza di impugnazione da parte di quest’ultima, il ricorso deve
ritenersi inammissibile, per carenza di legittimazione attiva.
La posizione dell’interventore nel processo amministrativo è definita e prevista dall’art.28 c.p.a., a mente del quale ” chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse, può intervenire accettando lo stato e il grado in cui il giudizio si trova “; il successivo art.102 c.p.a., al secondo comma, preclude l’impugnazione all’interveniente, salvo i casi in cui sia titolare di una posizione giuridica autonoma; la costante giurisprudenza amministrativa interpreta tale ultima norma nel senso che il soggetto interveniente ad adiuvandum nel giudizio di primo grado non è legittimato a proporre appello in via principale e autonoma, salvo che non abbia un proprio interesse direttamente riferibile alla sua posizione processuale, come nel caso in cui sia stata negata la legittimazione all’intervento o sia stata emessa nei suoi confronti la condanna alle spese giudiziali (v. Cons. Stato n. 3409/2018; id. 22 febbraio 2016, n. 724; id. 13 febbraio 2017 n. 614; 6 agosto 2013 n. 4121).
Così delineata la posizione processuale dell’interventore ad adiuvandum nel processo amministrativo, va evidenziato che, egualmente, per la giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. Sez. U. n.5992 del 17/04/2012, seguita da Cass. n.16930 del 08/07/2013, Cass. n.2818 del 06/02/2018, Cass. Sez. U. n. 31266 del 2019, Cass. Sez. U. n. 22972 del 2022 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 32559 del 2023) l’interventore adesivo non ha un’autonoma legittimazione ad impugnare (salvo che l’impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell’intervento o la condanna alle
spese imposte a suo carico), sicché la sua impugnazione è inammissibile, laddove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole; inoltre, esso non vanta neppure un interesse concreto ed attuale all’impugnazione di affermazioni pregiudizievoli contenute nella sentenza favorevole, qualora svolte in via incidentale e sprovviste della forza vincolante del giudicato.
Le affermazioni che precedono non si pongono in contrasto, peraltro, con la soluzione recentemente adottata da Cass. S.U. n. 32559 del 2023, che ha ritenuto ammissibile il ricorso proposto da numerose RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ed enti territoriali, intervenuti in appello a sostegno della posizione dell’originario ricorrente, titolare di una concessione demaniale marittima, il cui intervento era stato ritenuto inammissibile dall’Adunanza Plenaria.
In quel caso, infatti, si è ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione proposto dalle parti il cui intervento era stato ritenuto inammissibile dal Consiglio di Stato, nonostante l’acquiescenza del ricorrente principale alla sentenza impugnata, perché la legittimazione ad impugnare si fondava sull’interesse diretto dell’impugnante a far accertare un diniego di giurisdizione nei propri confronti. Inoltre, essendo intervenute nel giudizio di appello le RAGIONE_SOCIALE nella qualità di enti esponenziali di interessi collettivi, qualificati e istituzionali, la Corte ha ritenuto che esse potevano essere considerate agenti anche a tutela di diritti propri e autonomi, direttamente azionabili, connessi per l’oggetto e il titolo e
finalisticamente convergenti con il diritto individuale della parte adiuvata.
Nel caso in esame, è pacifico che la parte ricorrente innanzi al Consiglio di Stato, ovvero la RAGIONE_SOCIALE, non abbia proposto ricorso per cassazione, e che la RAGIONE_SOCIALE non vanti un suo interesse autonomo, configurabile nei limiti sopra enunciati, ad impugnare (atteso che la finalità ultima dell’impugnazione è quella di ottenere l’annullamento della determina nei confronti della RAGIONE_SOCIALE), con la conseguenza che il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE, con il quale non vengono censurate le statuizioni relative al suo intervento, sulla cui legittimità la sentenza di appello non si pronuncia né la disposta condanna al pagamento delle spese processuali, va dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione attiva, il che assorbe i profili relativi al denunciato difetto di interesse.
7. – Quand’anche poi si ritenesse superabile il profilo della carenza di legittimazione ad impugnare, il ricorso sarebbe comunque inammissibile, non sussistendo il lamentato sconfinamento nella sfera riservata al legislatore, perché il Consiglio di Stato, nel valutare l’obbligazione gravante sui proprietari non responsabili dei fondi inquinati di provvedere alla loro messa in sicurezza di emergenza, e la sua indivisibilità, ha fatto applicazione, ponendole alla base della sua ricostruzione, delle norme del codice dell’ambiente, nella loro interpretazione già espressa da precedenti dell’organo di vertice della giurisdizione amministrativa, oltre che della disciplina codicistica sulle obbligazioni indivisibili: in particolare, dell’art. 240 d.lgs. n. 152 del 2006, desumendone che anche il proprietario non responsabile dell’inquinamento è tenuto a provvedere
non all’integrale bonifica ma alle misure di messa in sicurezza di emergenza, tanto più se vi ha dato avvio spontaneamente, e che le stesse non sono frazionabili tra i diversi proprietari dell’area interessata dall’inquinamento trattandosi di obbligazioni indivisibili, risultando un intervento frazionato irrealizzabile e inidoneo agli scopi di protezione e precauzione a cui sono finalizzate le predette misure, e dell’art . 245, comma 2, del d.lgs. 152 del 2006, secondo il quale ‘la messa in sicurezza di un sito inquinato non ha di per sé natura sanzionatoria, ma costituisce una misura di prevenzione dei danni e rientra, pertanto, nel genus delle precauzioni, in una col principio di precauzione vero e proprio e col principio dell’azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente, e, non avendo finalità ripristinatoria, non presuppone l’accertamento del dolo o della colpa in capo al proprietario » (in questo senso Cons. Stato, sez. V, 12 marzo 2020, n. 1759; negli stessi termini Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2016 n. 1509; sez. VI, 5 ottobre 2016, n. 4119; sez. V, 8 marzo 2017, n. 1089; sez. VI, 3 gennaio 2019 n. 81; Cons. Stato, sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3426). Si tratta quindi di censure che vanno ad impingere sulla interpretazione di norme di legge, che, quand’anche fosse errata, porterebbe alla configurabilità di un error in iudicando , e quindi ad una violazione non sindacabile in questa sede, in quanto esula dagli stretti confini della violazione dei limiti esterni della giurisdizione.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
8.- Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
8.1. – Sussistono, inoltre, non avendo la ricorrente aderito alla proposta di definizione accelerata impegnando il Collegio in una discussione con esito di inammissibilità del ricorso, i presupposti per la condanna della ricorrente, nella presente sede, sia ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., che ai sensi del comma 4, della medesima disposizione, come espressamente previsto dall’art. 380 bis, ultimo comma, c.p.c. m trattandosi, come precisato da Cass. S.U. n. 27195 e n. 27433 del 2023, di una novità normativa immediatamente applicabile ai processi in corso, sottratta ad automatismi non compatibili con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, dovendo l’applicazione, in concreto, delle sanzioni previste dalle predette norme rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie.
La Corte stima pertanto equo fissare in € 4.000,00 (quattromila/00) la sanzione ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. in favore di ciascuno dei due controricorrenti, ed in € 2.500,00 (duemilacinquecento/00) quella ai sensi del comma 4, della medesima disposizione in favore della Cassa delle ammende, atteso il conclamato carattere pacifico dei principi giurisprudenziali applicati ed invece trascurati da parte ricorrente; sulla prima delle due condanne, attesa la natura del suo oggetto, spettano gli interessi legali a far tempo dalla data della pubblicazione della presente ordinanza.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei due controricorrenti, liquidandole in € 4.0 00,00 ciascuno, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge;
-condanna altresì la ricorrente a pagare l’ulteriore importo di € 4.000,00 in favore di ciascuno dei controricorrenti, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente decisione;
condanna, infine, la ricorrente a pagare l’ulteriore importo di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art.
-96, comma 4, c.p.c.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte della ricorren te, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, in data 12 dicembre 2023.
Il Presidente
NOME COGNOME