Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8528 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8528 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8901/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, incorporante per fusione la RAGIONE_SOCIALE, procuratrice speciale di RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, (già Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE Spa, quest’ultima già incorporante per fusione la Banca RAGIONE_SOCIALE Spa), rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, società soggetta a direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-intimati-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 7821/2019 depositata il 16/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/01/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME conveniva in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME per ottenere l’accertamento della autenticità delle firme apposte dai convenuti sul contratto stipulato tra le parti.
A fondamento della domanda deduceva di aver concluso un contratto di compravendita immobiliare tramite scrittura privata, non autenticata, ed avente ad oggetto un appartamento sito in Roma per un prezzo stabilito in Lire 365.000.000, di cui 245.000.000 versati mediante compensazione con il credito derivante da una precedente transazione e il rimanente corrisposto mediante accollo del mutuo ipotecario gravante sul bene. Aveva, quindi, chiesto di accertare la veridicità delle sottoscrizioni al fine di trascrivere l’atto di cessione.
Avevano spiegato intervento volontario gli istituti bancari, Banca Popolare di Roma s.p.a., Banca RAGIONE_SOCIALE s.p.a. e Banca MPS, le ultime due a mezza della procuratrice RAGIONE_SOCIALE Banca RAGIONE_SOCIALEp.a., sostenendo di essere creditori del COGNOME e della COGNOME a seguito di fideiussioni prestate a garanzia delle obbligazioni contratte dalla RAGIONE_SOCIALE e che l’atto di cessione era stato dolosamente preordinato in loro danno, con conseguente richiesta di dichiararlo inefficace ai sensi dell’art. 2901 c.c.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 24647/2011, accoglieva la domanda proposta dal COGNOME nei confronti di COGNOME e COGNOME e accertava come autentiche le sottoscrizioni dei convenuti apposte in calce alla scrittura privata di vendita con la quale trasferivano all’attore la proprietà dell’appartamento in Roma.
Ha, altresì, ritenuto fondata l’azione revocatoria proposta dalle parti intervenute, rilevando che sussisteva: a) la prova dei crediti dedotti dagli istituti bancari; b) il presupposto dell’eventus damni considerando che l’atto oggetto della domanda revocatoria costituiva l’unico bene di proprietà dei convenuti e che il prezzo di vendita non era stato, di fatto, mai effettivamente versato; c) il consilium fraudis perchè l’atto, privo di data certa, era da considerarsi posteriore al sorgere del credito; d) in punto di scientia fraudis doveva ritenersi sussistente il necessario elemento soggettivo in capo ai venditori e che, quanto alla posizione del compratore, lo stesso poteva essere desunto dal rapporto di affinità con il COGNOME (cognato di COGNOME) e dai ripetuti rapporti patrimoniali intercorsi tra gli stessi, avendo lo stesso COGNOME corrisposto somme di denaro al medesimo venditore; risultava altresì, quale ulteriore elemento indiziario, che i cedenti risultavano tuttora residenti nell’immobile suddetto.
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 7821 del 16 dicembre 2019, ha confermato la sentenza impugnata.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME, con tre motivi illustrati da memoria.
3.1. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE (già Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima già incorporante per fusione Banca RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE) rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, soggetta a direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
3.2. Resiste con separato controricorso RAGIONE_SOCIALE
3.3. Con istanza dell’8 gennaio 2024 NOME COGNOME rilevando che il ricorso introduttivo del presente grado di giudizio non risulta notificato a NOME COGNOME e NOME COGNOME quali litisconsorti necessari chiede di essere autorizzato a disporre l’integrazione del contraddittorio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 268 cpc, in relazione all’art. 360, co 1, n. 3 c.p.c.
Lamenta che gli interventi litisconsortili non potevano essere proposti perché erano spirati, per le parti originarie della causa, i termini per la proposizione di nuove domande’.
Si duole che le Banche creditrici siano intervenute successivamente alla prima udienza di comparizione ex art. 180 cpc, nella relativa formulazione ante novella del 2005 ed hanno avanzato domande revocatorie, ex art. 2901 c.c., dell’atto di alienazione oggetto del giudizio tra le parti originarie’.
Il ricorrente lamenta, inoltre, l’inammissibilità degli interventi proposti in giudizio dai terzi, da qualificarsi come interventi di tipo litisconsortile (o altrimenti detti ‘principali’ o ‘ad excludendum’), ex art. 105, co. 1, cpc, e come tali inammissibili ai sensi dell’art. 268, comma 2, cpc, in un momento in cui nella causa principale, pendente inter alios, era già definito il thema decidendum’.
4.1.1. Il motivo è infondato.
La formulazione della domanda costituisce l’essenza stessa dell’intervento principale e litisconsortile, sicché la preclusione sancita dall’art. 268 c.p.c. non si estende all’attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti non opera il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento “fino all’udienza di precisazione delle conclusioni”, configurandosi solo l’obbligo, per l’interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie (Cass. n. 25798/2015; Cass. n. 1859/RAGIONE_SOCIALE).
4.2. Con secondo motivo il ricorrente denuncia la questione di legittimità costituzionale dell’art. 268 cpc, per contrasto con i principi posti dagli artt. 24 e 111 Costituzione.
Afferma l’incostituzionalità della norma nella parte in cui consentirebbe al terzo di proporre intervento litisconsortile o adesivo autonomo in un momento in cui alle altre parti della causa originaria è preclusa la facoltà di proporre nuove domande in giudizio.
4.2.1. Il motivo è infondato perché le questioni denunciate dal ricorrente o sono nuove o non sono decisive.
Manifestamente infondata è la dedotta questione di legittimità costituzionale dell’art. 268, comma 2, c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., (cfr. Cass. 24529/RAGIONE_SOCIALE).
Il sistema delle preclusioni processuali, introdotto dalla riforma della legge n. 353/1990, si struttura attraverso la scansione del processo per fasi distinte: esame delle questioni preliminari; trattazione e deduzioni istruttorie; ammissione ed assunzione dei mezzi di prova; eventuale discussione e decisione- collocate in sequenza progressiva e dirette a coordinare le attività compiute dalle parti e dal giudice verso il naturale sbocco cui tende il processo -una decisione sul merito della controversia- in un tempo ragionevole, rimanendo relegate eventuali interruzioni o regressioni
delle fasi processuali in questione a quelle sole ipotesi di vizi inemendabili afferenti l’attività di svolgimento del giudizio che investono la stessa integrità della costituzione del rapporto processuale e che appaiono, pertanto, di tale gravità da compromettere lo stesso scopo cui tende il processo. Una regressione delle fasi processuali, ovvero anche del grado di giudizio, può trovare, pertanto, giustificazione soltanto in presenza di vizi di nullità insanabile degli atti del processo o nel caso in cui la parte non sia stata posta in grado di esercitare il proprio di dritto difesa, incorrendo in decadenza per “causa ad essa non imputabile” (già art. 184 bis c.p.c., ora art. 153 co 2 c.p.c.., nel testo riformato dalla legge n. 69/2009), e non può invece mai dipendere dall’esercizio di attività processuali rimesse a “scelte di opportunità” ovvero a “facoltà” attribuite alle parti (es. artt. 103 co. 1, 104 co. 1, 105, 106 c.p.c.) od ancora all’esercizio di “poteri discrezionali” attribuiti al Giudice (es. artt. 103 co. 2 ,104 co. 2, 107, 274 c.p.c.). Ne segue che la facoltà concessa al terzo di intervenire come parte in un processo già iniziato rende del tutto ragionevole la previsione legislativa che impone all’intervenuto di partecipare al giudizio “rebus sic stantibus”, senza incidere sullo sviluppo delle fasi processuali, ma potendo invece avanzare la (nuova) pretesa -nei confronti di una sola o di tutte le partiampliando in tal modo l’oggetto del giudizio, in quanto l’ “attività di allegazione” dei fatti costitutivi della domanda inerisce alla stessa ragione d’essere dell’istituto dell’intervento: al terzo non è pertanto concesso “riaprire” le fasi del processo già concluse, determinando un rinnovo delle attività già svolte dalle altre parti. Tale “modus procedendi” imposto all’interventore non costituisce ostacolo alla effettiva tutela del diritto (connesso per l’oggetto o per il titolo) del terzo interveniente -al quale l’ordinamento consente, comunque, di far valere le proprie ragioni, in perfetta situazione di eguaglianza con le altre controparti, mediante la proposizione di un autonomo
giudizio o la proposizione della opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c.- ma soddisfa invece alla esigenza di bilanciamento delle ragioni di opportunità che stanno alla base del “simultaneus processus” tra cause oggettivamente connesse (evitare la , formazione di giudicati anche soltanto logicamente contrastai; realizzare la concentrazione di cause analoghe e dunque la economia dei mezzi processuali in funzione del principio di efficienza che deve caratterizzare anche l’esercizio della funzione giurisdizionale in quanto strumentale alla effettività della tutela dei diritti), con i principi, entrambi di rango costituzionale ex art. 111 Cost., del “regolare e spedito svolgimento del processo” in funzione della pronuncia di merito regolativa del rapporto controverso, e del “processo equo” tale per cui le regole che disciplinano lo svolgimento del giudizio, non soltanto non debbono risolversi in un impedimento dell’esercizio del diritto di difesa ma, specularmente, non debbono neppure tradursi in ingiustificate asimmetrie, squilibrando i poteri processuali a vantaggio o detrimento di una soltanto delle parti.
Si tratta quindi di ambito riservato prettamente alle scelte discrezionali del Legislatore, il quale può scegliere le soluzioni ritenute più confacenti alla realizzazione del predetto equilibrio, atteso che il precetto dell’art. 24 Cost. “non impone che il cittadino possa conseguire tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti”, rimanendo sottratto qualsiasi sindacato sulla maggiore o minore coerenza logica della soluzione adottata, fatto salvo il limite previsto dalla corrispondenza del mezzo allo scopo, risultando incompatibile con i precetti costituzionali indicati la imposizione di oneri o modalità tali “da rendere impossibile od estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento della attività processuale” (cfr. Corte cost. ord. n. 386/2004; vedi Corte cost. sentenze: n. 50/2012; nn. 157 e 159/2014; n. 44/2016).
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 268 c.p.c., in relazione a tutti i profili indicati, appare dunque manifestamente infondata ed il ricorrente non ha nemmeno dedotto questioni nuove per cui cambiare orientamento.
4.3. Con il terzo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art.112 cod. proc. civ. per omessa o apparente motivazione in ordine alla questione decisiva, oggetto di specifico motivo di appello, concernente l’insussistenza di ragioni creditorie dei terzi intervenienti in revocatoria anteriori rispetto all’atto di alienazione.
Lamenta che la sentenza di appello è errata nella parte in cui ha riconosciuto l’anteriorità del rapporto di credito instaurato con la garanzia dei venditori, risalente all’anno 2002, a fronte della mancanza di data certa della scrittura privata di compravendita, non munita di sottoscrizione autenticata e, quindi, da riferirsi temporalmente, ai sensi dell’art. 2704 cod.civ., al momento di avvio della domanda attrice, trascritta solo il 4 aprile 2003.
In particolare, denuncia un presunto difetto di prova, da parte dei creditori intervenienti, dell’anteriorità del proprio credito, anche in considerazione del fatto che tutti i documenti prodotti erano privi di data certa e che tale requisito era pur necessario nei confronti dell’appellante, soggetto terzo, ex art. 2704 c.c..
4.3.1. Il motivo è inammissibile perché il ricorrente con le censure sollevate mira esclusivamente ad accreditare una ricostruzione ed una interpretazione della vicenda e, soprattutto, un apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito. Nel giudizio di legittimità non sono proponibili censure dirette a provocare una nuova valutazione delle risultanze processuali, diversa da quella espressa dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della
motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti. Non essendo questa Corte giudice sul fatto, il ricorrente non può pertanto limitarsi a prospettare una lettura delle prove ed una ricostruzione dei fatti diversa da quella compiuta dal giudice di merito, svalutando taluni elementi o valorizzando altri ovvero dando ad essi un diverso significato, senza dedurre specifiche violazioni di legge ovvero incongruenze di motivazione tali da rivelare una difformità evidente della valutazione compiuta dal giudice rispetto al corrispondente modello normativo.
Questa Corte ha invero già avuto modo, anche di recente, di osservare che il vizio di motivazione può essere dedotto in sede di legittimità e sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulti dalla sentenza, sia riscontrabile il deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento in senso difforme da quello preteso dalla parte.
Il rigetto del ricorso preclude la necessità di integrazione del contraddittorio.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone infatti al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie
infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (v. Cass. Sez. U. 22/03/2010, n. 6826; Cass. 21/05/RAGIONE_SOCIALE, n. 12515; 10/05/RAGIONE_SOCIALE, n. 11287; 17/06/2013, n. 15106; Cass. n. 800/2020).
6. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo a favore di ciascuna delle controricorrenti, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 9.200,00, di cui euro 9.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore di ciascuna delle controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza