Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1118 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1118 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32642/2019 R.G. proposto da:
COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME quali eredi di NOME
-intimati-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n.1031/2019 depositata il 24.6.2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9.1.2024 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione notificato il 24.10.2006 i coniugi COGNOME NOME e COGNOME COGNOME convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Crema COGNOME NOME per sentirsi dichiarare proprietari per usucapione degli immobili siti in Crema censiti a foglio 13, mappali 317 sub. 1 e 325, particelle non menzionate negli atti di acquisto, che avevano posseduto ininterrottamente dal 4.7.1979 in quanto facenti parte del complesso da loro comprato da COGNOME NOME, che a sua volta aveva acquistato quei beni con rogiti del 1961 e del 1964 da NOMECOGNOME che per essi non aveva mai avanzato pretese.
Si costituiva nel giudizio di primo grado NOMECOGNOME che eccepiva il difetto di interesse ad agire degli attori e contestava la sussistenza dei requisiti dell’art. 1158 cod. civ., sostenendo che gli attori non potevano sommare il loro possesso a quello della dante causa COGNOME.
Aggiungeva la convenuta che il possesso degli attori era stato interrotto dalla domanda giudiziale di rivendica dei beni proposta il 6.12.1984 contro COGNOME NOME e COGNOME NOME da COGNOME NOME (alla quale erano poi succeduti gli eredi COGNOME NOME, NOME e NOME e COGNOME NOME quali eredi di COGNOME NOME, indicata come comproprietaria con COGNOME NOME delle particelle oggetto di causa (originariamente mappale 603/a del foglio 13) in forza della scrittura privata del 16.7.1960 (proc. n.689/1985 RG del Tribunale di Crema).
In quel giudizio di primo grado erano intervenuti i coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME, limitandosi ad aderire alla domanda delle COGNOME, rimanendo poi contumaci nei gradi successivi, e la causa si era in seguito conclusa con la sentenza della Corte d’Appello di Milano, che in sede di rinvio aveva stabilito, venendo poi definitivamente confermata dalla Corte di Cassazione, che la scrittura privata del 16.7.1960 era priva di qualsiasi funzione costitutiva, o traslativa e non integrava un titolo di acquisto idoneo a dimostrare la proprietà nei confronti dei terzi, avendo un mero carattere ricognitivo per le parti (COGNOME –COGNOME) che l’avevano sottoscritta, addivenendo quindi al rigetto dell’azione di rivendica delle particelle oggetto di causa esercitata dalle COGNOME nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME.
Il Tribunale di Crema con la sentenza n. 174/2010 del 21.4.2010 rigettava la domanda di usucapione avanzata da COGNOME NOME e COGNOME, ritenendo che la prescrizione acquisitiva in loro favore fosse stata utilmente interrotta dall’azione di rivendica esercitata nei loro confronti dalle COGNOME, anche a vantaggio di COGNOME NOME, benché le COGNOME non fossero intestatarie delle particelle oggetto di causa.
Impugnata la sentenza dagli attuali ricorrenti, contrastati dalla COGNOME, essi lamentavano la violazione degli articoli 1165 e 2943 cod. civ., che attribuivano efficacia interruttiva dell’usucapione solo ad azioni volte al recupero del possesso del bene esercitate da parte dell’intestatario e non da parte di terzi, e si dolevano della circostanza che non fosse stato considerato che la Corte d’Appello di Milano aveva rigettato la domanda di rivendica delle particelle di causa originariamente proposta contro di loro dalle COGNOME.
Nel giudizio di secondo grado gli attuali ricorrenti proponevano querela di falso incidentale, sostenendo che era falsa la sottoscrizione apposta, sul mandato alle liti in calce alla comparsa di risposta del giudizio di primo grado, da NOMECOGNOME e la Corte
d’Appello di Brescia, ammessa la querela di falso, sospendeva il giudizio fino al passaggio in giudicato della sentenza relativa.
Riassunto il giudizio relativo alla querela di falso davanti al Tribunale di Crema, la stessa veniva rigettata con la sentenza n.183/2018 del 5.4.2018, che passava in giudicato per mancata impugnazione.
Proseguito quindi il giudizio che era stato sospeso davanti alla Corte d’Appello di Brescia, su iniziativa degli attuali ricorrenti, nei confronti di NOME NOME, NOME e NOME quali eredi di NOME, nelle more deceduta, con la sentenza n. 1031/2019 del 20/24.6.2019 veniva rigettato l’appello, con condanna degli attuali ricorrenti alle spese di secondo grado.
Avverso tale sentenza, notificata il 31.7.2019, hanno proposto ricorso alla Suprema Corte, notificato a NOME NOME, NOME e NOME quali eredi di NOME, il 23.10.2019, affidandosi a tre motivi, ed i COGNOME sono rimasti intimati.
I soli ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.. La causa é stata trattenuta in decisione nell’adunanza camerale del 9.1.2024.
Col primo motivo COGNOME NOME e COGNOME lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e n. 5) c.p.c., la violazione del combinato disposto degli articoli 1165 e 2943 cod. civ..
Si dolgono i ricorrenti che l’impugnata sentenza, male interpretando il significato di tali articoli, il secondo dei quali significativamente si intitola ‘ interruzione da parte del titolare ‘, abbia attribuito efficacia interruttiva ad un’azione di rivendicazione, peraltro respinta con sentenza passata in giudicato, proveniente da soggetti diversi dal titolare del diritto ed estraneo al rapporto, ossia da COGNOME NOME e COGNOME NOME, e non da COGNOME NOME, che nel procedimento n. 689/1985 RG del Tribunale di Crema non aveva avanzato contro COGNOME NOME e COGNOME alcuna propria domanda volta al recupero del possesso delle particelle censite a
foglio 13, mappali 317 sub. 1 e 325, né era stata rappresentata dalle COGNOME nella proposizione di tale domanda, e che nei gradi successivi di quel giudizio era rimasta totalmente inerte.
Il primo motivo é fondato e merita accoglimento, in quanto l’art. 1165 cod. civ. nel prevedere che in materia di usucapione trovino applicazione, in quanto compatibili con la disciplina della materia, le disposizioni generali sulla prescrizione e quelle relative alle cause di sospensione, all’interruzione ed al computo dei termini, rinvia implicitamente anche all’art. 2943 cod. civ., che si intitola ‘ interruzione da parte del titolare ‘ e che attribuisce efficacia interruttiva della prescrizione all’atto col quale il titolare del diritto inizi un giudizio, sia esso di cognizione, conservativo, o esecutivo.
In linea con detta disposizione, la giurisprudenza della Suprema Corte afferma che la domanda giudiziale per essere idonea ad interrompere il possesso ad usucapionem, dev’essere oltre che diretta al recupero del possesso, validamente proposta sotto il profilo della tempestività, della legittimazione, della rappresentanza e ogni altro elemento necessario per un’efficace imploratio iudicis officii (vedi Cass. 19.4.1983 n. 2707), e che l’atto interruttivo dell’usucapione oltre a dover rientrare fra quelli tassativamente previsti dalla legge, deve provenire dal titolare del diritto e non da un terzo estraneo al rapporto relativo (vedi Cass. 23.8.1985 n.4516), a meno che questi non agisca come rappresentante, o mandatario del titolare del diritto (vedi in tal senso Cass. 10.4.1987 n. 3577).
Nel caso in esame, di contro, le sentenze di primo e di secondo grado, male interpretando il combinato disposto degli articoli 1165 e 2943 cod. civ., hanno attribuito efficacia interruttiva della prescrizione acquisitiva invocata da COGNOME NOME e COGNOME NOME nei confronti di COGNOME NOME (e dei suoi eredi rimasti intimati in questo grado di giudizio) all’azione di rivendicazione esercitata non da quest’ultima, ma da COGNOME NOME e COGNOME NOME, alla
quale la COGNOME si era limitata ad aderire in primo grado, senza avanzare domande proprie e senza farsi rappresentare in giudizio dalle COGNOME.
L’azione di rivendicazione delle particelle oggetto di causa delle COGNOME, peraltro, é anche stata respinta con sentenza passata in giudicato, per cui le stesse non sono state neppure riconosciute comproprietarie, quali eredi di COGNOME NOMECOGNOME ed insieme ad NOME, delle particelle oggetto di causa, sulla base della scrittura privata del 16.7.1960.
In ogni caso é errata in diritto anche l’affermazione dell’impugnata sentenza, secondo la quale riguardo ai beni di proprietà comune pro indiviso, gli atti interruttivi del possesso ad usucapionem posti in essere da uno dei comproprietari pro indiviso estendono i loro effetti anche agli altri, non essendo ammissibile un possesso ad usucapionem esercitato in modo diverso su quote ideali indivise dello stesso bene, in quanto la giurisprudenza più recente della Suprema Corte, ormai consolidata, ha evidenziato che per i diritti reali per i quali non vale la solidarietà, i comportamenti dei singoli compossessori o comproprietari giovano solo a coloro che li hanno posti in essere (vedi Cass. 10.9.2014 n. 19107; Cass. 3.4.2012 n. 5338; Cass. 5.7.1999 n. 6942), e quindi non a quelli che siano rimasti inerti.
Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione del combinato disposto degli articoli 1165 e 2943 cod. civ. in relazione agli articoli 1100 e 1105 cod. civ..
Il secondo motivo deve ritenersi assorbito in ragione dell’accoglimento del primo motivo.
Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, individuato nel fatto che la sentenza della Corte d’Appello di Milano con la sentenza
n.442/2005 ha accertato con efficacia di giudicato che COGNOME NOME e COGNOME NOME non sono mai state comproprietarie delle particelle censite nel catasto di Crema a foglio 13, mappali 317 sub. 1 e 32.
Il terzo motivo é inammissibile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. in presenza di una ‘doppia conforme’.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, sezione seconda civile, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo e dichiarato inammissibile il terzo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Brescia, in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9.1.2024