Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22032 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 22032 Anno 2024
AVV_NOTAIO: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
SENTENZA
sul ricorso 4819/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, in proprio e nella qualità di genitori legali rappresentanti del figlio COGNOME NOME, domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME giusta procura in atti;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrenti – avverso la sentenza n. 8493/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata in data 24/12/2021;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Udito l’AVV_NOTAIO per i ricorrenti.
Fatti di causa
Il Tribunale di Velletri, con sentenza n. 195/2015 accertò il diritto di servitù, acquisito per usucapione dal convenuto NOME COGNOME a favore dell’edificio da costui realizzato a distanza inferiore rispetto a quella legale e a danno dell’immobile degli attori NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché del figlio incapace di agire NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Roma rigettò l’impugnazione proposta dagli attori COGNOME e COGNOME.
2.1. Questi, in sintesi, per quel che qui rileva, i passaggi salienti della sentenza di secondo grado:
-gli appellanti avevano sostenuto l’effetto interruttivo del tempo utile all’usucapione rappresentato dal ricorso da costoro proposto davanti al giudice amministrativo, esitato nella condanna alla demolizione dell’edificio della controparte, nonché dei provvedimenti resi in sede d’ottemperanza della decisione giudiziale, e che solo la sospensione dell’esecuzione in ottemperanza, a cagione del reiterarsi delle domande di sanatoria, li aveva spinti ad agire in sede civile, evidenziando che, in ogni caso, il possesso era da intendersi violento e clandestino;
premesso che il Tribunale aveva affermato che una sola delle due costruzioni era stata collocata a distanza non regolare, corretta doveva ritenersi l’affermazione del Giudice di primo grado, il quale aveva reputato irrilevanti, al fine d’interrompere il tempo necessario ad usucapire, le domande proposte innanzi al giudice amministrativo, in quanto gli atti interruttivi sono tassativi e non ammettono equipollenti e possono considerarsi tali solo quelli diretti a privare l’usucapiente del possesso;
nel caso in esame, il ricorso al TAR, depositato 17 anni dopo la costruzione, al fine di ottenere condanna alla demolizione di costruzione abusiva, in violazione delle norme tecniche integrative e delle distanze legali, <>;
non era risolutivo il riferimento alla prospettazione di una giurisdizione esclusiva, ex art. 7, l. 205/2000, in relazione all’art. 34, d.lgs. n. 80/1998, che era stato solo successivamente dichiarato incostituzionale, poiché le sentenze della Corte costituzionale dichiarative d’illegittimità costituzionale eliminano la norma affetta dal vizio ‘erga omnes’ e con effetto ‘ex tunc’.
NOME COGNOME e NOME COGNOME, anche nella qualità, hanno presentato ricorso avverso la sentenza d’appello sulla base di sei motivi.
Hanno resistito con controricorso NOME, NOME e NOME COGNOME.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il Primo AVV_NOTAIO, con provvedimento del 30/5/2022 ha rigettato l’istanza con la quale i ricorrenti avevano chiesto la rimessione alle Sezioni unite, escludendo sussistere profilo attinente alla giurisdizione.
All’esito dell’adunanza camerale del 6 febbraio 2024 il Collegio ha disposto rimettersi il processo alla pubblica udienza, per il rilievo nomofilattico del ricorso.
Fissata trattazione per l’udienza pubblica del 18 giugno 2024, i ricorrenti hanno depositato memorie e il Procuratore Generale, in persona della AVV_NOTAIO NOME COGNOME, conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo e il secondo motivo si denunzia la violazione dell’art. 949 cc per omessa considerazione di avvenuta interruzione del termine di usucapione ventennale (art. 1158 cc) attraverso il ricorso giurisdizionale notificato al proprietario del manufatto lesivo COGNOME NOME in data 9.12.2000 rispetto a costruzione risalente approssimativamente agli anni 1982/1983 come da CTU. Violazione dell’art. 7 della legge n. 205/2000.
I ricorrenti denunciano altresì violazione dell’artt. 2697 cod. civ. assumendo, per un verso, che la Corte territoriale aveva invertito la regola dell’onere probatorio, il quale avrebbe dovuto essere assolto dalla parte che affermava di avere usucapito il diritto reale, in particolare in relazione al decorso del ventennio e, per altro verso, di avere errato a non tener conto -quale atto avente efficacia interruttiva del tempo utile ad usucapire – del ricorso depositato innanzi al competente TAR, nel dicembre del 2000, con il quale, fra l’altro, era stato chiesto condannarsi i COGNOME a demolire i manufatti collocati in violazione delle distanze legali. La giurisdizione esclusiva, al tempo introdotta in materia dall’art. 7 della l. n. 205/2000, modificando l’art. 34 del d. lgs. n. 80/1998, successivamente dichiarata incostituzionale, ben giustificava l’effetto interruttivo invocato, considerato anche che era stata dedotta la violazione delle distanze legali.
I motivi sono fondati per quanto di ragione.
6.1. Va sgombrato il campo dalla denunciata violazione dell’art. 2697 cod. civ.
L’evocazione della regola sull’onere probatorio non è pertinente. Essa, in se, non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata presupponendo che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito manifesti la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal
ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talché, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile. La critica, in sostanza, presuppone che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito sia tale da integrare il rivendicato inquadramento normativo, e che, quindi, ancora una volta, l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, risulti tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., fra le tante, Cass. nn. 11775/2019, 6806/019).
6.2. La doglianza, oltre alle norme evocate in rubrica, specie nel corpo del submotivo ‘1 -bis’, invoca l’efficacia interruttiva della domanda di negatoria servitutis (art. 949 cod. civ.) avanzata al giudice, al tempo munito di giurisdizione esclusiva, in quanto l’art. 7 della l. n. 205, 31/7/2000 devolveva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, fra l’altro, la materia urbanistica ed edilizia.
Sotto questo profilo la censura è fondata.
Come ormai ben noto la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 204/2004, dichiarò non conforme a Costituzione il riparto per materia, invece che sulla base della pretesa fatta valere, ai sensi dell’art. 103 Cost., così demolendo in gran parte il contenuto del citato art. 7.
In particolare, per qual che qui riguarda, nella parte in cui la norma prevedeva la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto <> anziché <> delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti alle stesse equiparati, in materia urbanistica ed edilizia.
Successivamente la disposizione verrà abrogata dal D. lgs. n. 104, 2/7/2010.
Le vicende che hanno riguardato l’art. 7 menzionato, seppure richiamate dai ricorrenti, non incidono sulla soluzione della questione qui posta, influendo, tuttavia, di riflesso.
Invero, la giurisdizione esclusiva all’epoca introdotta dal legislatore riguardava, e diversamente non avrebbe potuto essere, le condotte della pubblica amministrazione e soggetti ad essa equiparati, non solo laddove si fossero manifestate con atti amministrativi, ma anche, nel caso in cui, in pienezza del diritto soggettivo del privato, fossero consistite in comportamenti lesivi di un tal diritto.
6.3. È specificamente rilevante osservare quanto segue.
Costituisce principio fermo quello secondo il quale è ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso “ad usucapionem” (Sez. 2, n. 25843, 05/09/2023, Rv. 668969 -01; ma già, fra le tante, Cass. nn. 1395/2017, 3979/2013).
In materia di atti idonei a interrompere il tempo utile all’usucapione è altrettanto fermo il principio secondo il quale, in tema di possesso “ad usucapionem”, con il rinvio fatto dall’art. 1165 c.c. all’art. 2943 c.c. la legge elenca tassativamente gli atti interruttivi, sicché non è consentito attribuire tale efficacia ad atti diversi da quelli stabiliti dalla norma, per quanto con essi si sia inteso manifestare la volontà di conservare il diritto, giacché la tipicità dei modi di interruzione della prescrizione non ammette equipollenti (Sez. 2, n. 6029, 28/02/2019, Rv. 652773 -01; ma
già, fra le tante, Cass. n. 14659/2012 e success., Cass. n. 30079/2019).
Pertanto, solo con l’esercizio d’una azione giudiziaria che abbia anche (ma non necessariamente il solo) scopo di ricuperare la pienezza del diritto reale mediante il ripristino ‘ex ante’ o la cessazione della situazione possessoria sfavorevole, si ha l’effetto interruttivo.
Per questa ragione, ad es., si è spiegato che l’introduzione di un giudizio di riduzione per lesione di legittima ha efficacia di atto interruttivo dell’usucapione solo se contiene una chiara manifestazione della volontà di riacquistare all’asse ereditario il bene sul quale il possesso viene esercitato (Cass. n. 30079/2019 cit.). Così come si è affermato che la domanda giudiziale proposta dal proprietario, contenente la richiesta di rilascio dell’immobile nei confronti del possessore, pur se dichiarata inammissibile (nella specie atto di appello contenente una domanda nuova), costituisce atto idoneo a produrre effetti interruttivi del termine per usucapire, ex artt. 1165 e 2943 c.c. (Sez. 2, n. 27989, 04/10/2023, Rv. 668995 -01).
6.4. A questo punto, è utile precisare che affermare la tipicità dei modi d’interruzione del possesso ‘ad usucapionem’ altro non significa che il titolare del diritto reale offeso dall’esercizio del possesso altrui, per procurarsi l’effetto interruttivo, deve esercitare un’azione giudiziaria, pur frammista ad altre, diretta a far cessare il dominio di fatto esercitato dal terzo. Ciò è necessario e ciò solo serve.
Deve, di conseguenza, escludersi che il riferimento alla tipicità rivesta di attitudine all’effetto interruttivo una specifica domanda, piuttosto che un’altra, sulla base di un ‘numerus clausus’.
Come si è detto, quel che assume rilievo è solamente l’esercizio d’un’azione diretta allo scopo di far cessare l’altrui possesso, sia
pure quale conseguenza del fondamento d’un’altra e collegata domanda giudiziale.
Nel caso al vaglio, siccome si ricava dalla sentenza impugnata (v. pag. 3), i ricorrenti, agendo davanti al giudice amministrativo perché accertasse l’illegittimità della costruzione, avevano, altresì domandato la demolizione del manufatto abusivo, deducendo, tra l’altro, proprio la violazione delle distanze legali e, ottenuta la sentenza del TAR, avevano agito per l’ottemperanza all’ordine di demolizione (con un primo provvedimento del 2006 il TAR aveva imposto al Comune di dare esecuzione e con un secondo del 2007 aveva nominato un commissario ‘ad acta’ per procedere alla demolizione; il procedimento esecutivo si era poi arenato per il sopraggiungere di leggi di sanatoria). Il giudizio amministrativo, fatto pacifico, si era svolto, in contraddittorio col COGNOME.
Alla luce di quanto fin ora esposto non può che concludersi nel senso che i ricorrenti hanno rimosso, in tal modo, efficacemente e validamente la loro situazione d’inerzia, procurando, quindi, l’interruzione del possesso ‘ad usucapionem’.
La pretesa che per ottenere un tale effetto, peraltro utile a interrompere una situazione di fatto solitamente ‘contra legem’, il titolare del diritto debba domandare la cessazione del possesso solo al giudice civile non può essere condivisa, non solo perché contraria alla ratio dell’istituto, ma, anche nel quadro di una interpretazione costituzionalmente orientata, nel rispetto degli artt. 24 e 42 Cost.
Domandata al giudice amministrativo la demolizione dell’opera abusiva costruita in violazione delle distanze, l’attore ha rimosso efficacemente la propria inerzia e, sperando di ricuperare la pienezza del diritto reale mediante il ripristino ‘ex ante’ o la cessazione della situazione possessoria sfavorevole nutre la legittima aspettativa di aver fatto quanto di necessario per interrompere la situazione ‘contra ius’.
Sarebbe irragionevole sostenere che per ottenere l’effetto interruttivo l’attore sarebbe tenuto ad agire esclusivamente con azione possessoria o con azione petitoria recuperatoria davanti al giudice civile, nonostante la pendenza del giudizio amministrativo, nel quale abbia avanzato esattamente quella pretesa ripristinatoria che la legge richiede per rendere inutile il protrarsi dell’altrui possesso.
In esatta sintonia con quanto esposto si colloca quanto evidenziato dalle Sezioni unite in punto d’interruzione della prescrizione del diritto al risarcimento del danno vantato nei confronti della pubblica amministrazione.
Si è, invero, chiarito che la possibilità di agire per il risarcimento del danno ingiusto causato da atto amministrativo illegittimo senza la necessaria pregiudiziale impugnazione dell’atto lesivo, sussistente già prima che l’art. 35 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, concentrasse nella cognizione del giudice amministrativo la tutela demolitoria e quella risarcitoria, comporta che il termine di prescrizione dell’azione di risarcimento decorre dalla data dell’illecito e non da quella del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento da parte del giudice amministrativo, non costituendo l’esistenza dell’atto amministrativo un impedimento all’esercizio dell’azione. Peraltro, la domanda di annullamento dell’atto proposta al giudice amministrativo prima della concentrazione davanti allo stesso anche della tutela risarcitoria, pur non costituendo il prodromo necessario per conseguire il risarcimento dei danni, dimostra la volontà della parte di reagire all’azione amministrativa reputata illegittima ed è idonea ad interrompere per tutta la durata di quel processo il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria proposta dinanzi al giudice ordinario, dovendosi al riguardo fare applicazione del principio, affermato da Corte cost. n. 77 del 2007, per cui la pluralità dei
giudici ha la funzione di assicurare una più adeguata risposta alla domanda di giustizia e non può risolversi in una minore effettività o addirittura in una vanificazione della tutela giurisdizionale (Sez. U, Sentenza n. 9040 del 08/04/2008 Rv. 602751 – 01).
Successivamente, ancora le Sezioni unite hanno affermato che, in tema di risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo, la domanda di annullamento dell’atto proposta al giudice amministrativo – nell’assetto normativo anteriore alla legge 21 luglio 2000, n. 205, che ha concentrato presso tale giudice la tutela risarcitoria con la demolitoria – esprime la volontà del danneggiato di reagire all’azione autoritativa illegittima e, quindi, interrompe per tutta la durata del processo amministrativo il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria, successivamente esercitata dinanzi al giudice ordinario (sent. n. 25572, 03/12/2014, Rv. 633354 -01; conf., Sez. L. n. 6343, 05/03/2019, Rv. 653186 01).
6.5. In conclusione deve enunciarsi il seguente principio di diritto: <>.
Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione degli artt. 949 cod. civ. e 112 cod. proc. civ., assumendo, in sintesi, che la Corte d’appello aveva erroneamente giudicata assorbita la
doglianza riguardante l’omessa tutela a riguardo della turbativa denunciata davanti al primo Giudice.
Con il quarto motivo i ricorrenti prospettano violazione degli artt. 99, 115 e 116, nonché 113 cod. proc. civ., assumendo che il Giudice d’appello era venuto meno all’obbligo di verificare, sulla scorta delle emergenze di causa e, in primo luogo, della c.t.u., se fossero state rispettate o meno le distanze legali, accertamento che, dopo la sentenza della Corte costituzionale, competeva al giudice ordinario.
In ragione dell’accoglimento dei primi due motivi i successivi restano assorbiti in senso proprio.
In conclusione, accolto il ricorso nei termini di cui sopra, la sentenza deve essere cassata con rinvio. Il Giudice del rinvio (che si individua nella medesima Corte d’Appello in diversa composizione) si adeguerà all’enunciato principio di diritto, regolando, inoltre, il capo delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i primi due motivi del ricorso nei termini di cui in motivazione e dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione agli accolti motivi e rinvia alla Corte d’appello di Roma, altra composizione, anche per il regolamento