Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5920 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 5920 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Oggetto
Dott. NOME COGNOME
Presidente
PROPRIETÀ
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Rel. Consigliere
Ud. 13/02/2025
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
R.G.N. 23678/2020
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23678/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO NOME COGNOMEINDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-controricorrenti e ricorrenti incidentali –
COGNOME NOME
-intimato –
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA n. 5600/2019 depositata il 13/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Sostituto Procuratore generale in persona del dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’ accoglimento del primo motivo del ricorso principale e per l’accoglimento del ricorso incidentale ; uditi gli avvocati NOME COGNOME in delega dell’avvocato NOME COGNOME per la ricorrente e l’avv.to NOME COGNOME per la controricorrente;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME al fine di far dichiarare la natura simulata dell’atto di compravendita del 31 dicembre 1990 in quanto dissimulante una donazione nulla per difetto di forma, perché posta in essere in assenza dei due testimoni, domandando che si procedesse alla divisione di tutti i beni oggetto del simulato contratto di compravendita. Qualora invece la donazione fosse stata ritenuta valida o l’atto fosse stato qualificato come un negotium mixtum cum donatione , l’attrice ne chiedeva la riduzione al fine di reintegrare la quota a lei riservata quale legittimaria.
Si costituivano in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo il rigetto delle domande attoree di simulazione del suddetto contratto di compravendita e di riduzione e reintegrazione
della quota di legittima, instando per l’accertamento della piena validità ed efficacia della compravendita.
Per converso, con specifico riguardo alla donazione dell’appezzamento di terreno fatta il 20 agosto 1997 dalla madre, NOME COGNOME a favore della figlia NOME e del di lei marito, NOME COGNOME, NOME COGNOME sosteneva che il valore del bene era superiore a quello indicato nell’atto e ne chiedeva la riduzione al fine di reintegrare la quota a lui riservata quale legittimario.
NOME COGNOME chiamato in giudizio in quanto donatario nei cui confronti era stata esperita l’azione di riduzione, assumeva una posizione analoga a quella della moglie quanto alla simulazione ed inoltre eccepiva che l’azione di riduzione non poteva essere esperita nei suoi confronti, non essendo egli coerede e non avendo NOME NOME accettato l’eredità materna con beneficio d’inventario, come stabilito dall’art. 564 c.c. ovvero non avendo questi agito per la riduzione delle disposizioni testamentarie.
Con sentenza non definitiva n. 989/2015 il Tribunale di Padova dichiarava la natura simulata del contratto di compravendita del 31 dicembre 1990 in quanto dissimulante una donazione, da ritenersi nulla per difetto della forma prescritta dall’art. 782 c.c. in assenza dei testimoni, con conseguente accertamento che i beni oggetto del contratto non erano mai usciti dal patrimonio ereditario e che su di essi si doveva aprire la successione legittima, non avendo la de cuius , in merito ai medesimi, formulato dichiarazioni di ultima volontà.
4.1 Il Tribunale rigettava altresì entrambe le domande di riduzione per lesione di legittima avanzate da NOME e NOME
4.2 Infine, da un lato stabiliva di doversi procedere alla divisione del bene oggetto della compravendita simulata, dall’altro riconosceva un diritto di credito dei convenuti verso l’attrice, rappresentato dalle spese sostenute nell’interesse dell’immobile.
4.3 Il giudizio, quindi, proseguiva al fine del compimento delle operazioni divisionali e della determinazione delle reciproche ragioni di credito fatte valere dalle parti.
Con provvedimento dell’11 ottobre 2016, veniva disposta la riunione al giudizio di divisione della causa promossa da NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME per sentire dichiarare l’intervenuta usucapione della proprietà dell’immobile al primo piano, con garage pertinenziale, oggetto della donazione dichiarata nulla.
5.1 Con sentenza non definitiva n. 2477/2017 il Tribunale di Padova rigettava la domanda di usucapione dei coniugi COGNOME e dichiarava il compendio comodamente divisibile, approvando il terzo progetto divisionale predisposto dal CTU.
NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano appello avverso le sentenze non definitive.
NOME COGNOME e NOME COGNOME si costituivano chiedendo il rigetto dell’appello. Quest’ultimo , inoltre, proponeva appello incidentale.
La Corte d’Appello in parziale accoglimento dell’appello proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME e dell’appello incidentale di COGNOME NOME e in parziale riforma delle sentenze non definitive n. 989/2015 e n. 2477/2017 del Tribunale di Padova dichiarava inammissibile la domanda di riduzione avanzata da COGNOME NOME nei confronti di COGNOME NOME, accertava e
dichiarava l’intervenuta usucapione in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME della proprietà, in ragione della quota del 50% ciascuno, dell’immobile sito in Padova, INDIRIZZO primo piano, nonché del garage di pertinenza posto al piano terreno e dell’area scoperta adibita a giardino, catastalmente censiti al NCEU del Comune di Padova, partita 68485, Sez. A, Foglio 4, mappale 851/3 e mappale 851/4, il tutto eretto sull’area censita al Catasto Terreni del Comune di Padova, Foglio 4, mappale 407, Ente Urbano; rigettava la domanda di divisione del suddetto immobile avanzata da NOME COGNOME
La Corte, in primo luogo, riteneva doversi applicare le preclusioni tipiche stabilite dalla legge per il normale giudizio contenzioso anche al giudizio di divisione ereditaria e, dunque, successivamente alla costituzione dei convenuti non poteva più essere chiesta una formazione delle quote diversa da quella cui il giudice doveva attenersi in relazione al patrimonio del “de cuius” individuato dalle parti nei loro scritti difensivi iniziali.
Nel caso di specie, infatti, da un lato NOME aveva avanzato la domanda di divisione, senza però indicare come bene facente parte dell’asse ereditario da ricostruire l’immobile che le era stato donato dalla madre, dall’altro NOME NOME aveva chiesto la riduzione della donazione effettuata a favore della sorella al fine di reintegrare la quota a lui riservata quale legittimario.
Il giudice del gravame, sul presupposto della differenza tra la collazione e la riduzione, riteneva che l’azione di riduzione proposta da NOME COGNOME al fine di ottenere la reintegrazione della quota a lui riservata, non comportava che dovesse farsi luogo automaticamente alla collazione del bene donato alla figlia
NOME non avendo, da un lato, egli esperito cumulativamente l’azione di divisione ereditaria, chiedendo di ristabilire l’equilibrio e la parità di trattamento tra i coeredi, assicurata dall’istituto della collazione, ma solamente di accertare se vi fosse stata lesione del suo diritto di legittimario ed operare quindi la riduzione della donazione nei limiti in cui aveva leso la sua quota di riserva, e dall’altro non avendo l’altra coerede, nel promuovere l’azione di divisione ereditaria, indicato il bene donato come facente parte dell’asse ereditario.
8.1 La Corte rigettava anche il motivo di appello con il quale si chiedeva di interpretare il testamento integrato dal codicillo olografo come avente ad oggetto un’istituzione ex re certa .
Nel testamento pubblico ricevuto dal Notaio NOME COGNOME in data 20.8.1990 si leggeva: « tenuto conto di quanto già disposto a favore di mio figlio NOME e di sua moglie con atto 31.12.1990 e di quanto disposto oggi per atto Notaio NOME COGNOME a favore di mia figlia NOME e di suo marito, lascio il residuo mio terreno in Padova sempre in zona di INDIRIZZO ai miei figli NOME e NOME in parti eguali tra loro ». Successivamente, con il codicillo del 22.08.1997 allegato al testamento de quo, COGNOME NOME -mantenendo ferma la disposizione testamentaria precedente -modificava le quote del bene relitto assegnate ai figli: « a mia figlia NOME per ¼, e cioè mq 590, e a mio figlio NOME per ¾ e cioè mq 1810 ».
C on l’atto di gravame, l’appellante aveva chiesto che si procedesse alla divisione dell’intero patrimonio ereditario in proporzione alle quote volute dalla de cuius , pari a ¾ in favore di NOME COGNOME ed ¼ a favore di NOME COGNOME tenuto conto della
forza espansiva della disposizione testamentaria a titolo universale, per i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti.
Secondo la Corte d’Appello, n el caso di specie non si era in presenza dell’assegnazione di un bene determinato considerato come una frazione rappresentativa dell’intero patrimonio ereditario come previsto per il caso dell’ istituzione ex re certa , ma dell’attribuzione di distinte quote del bene ai due figli.
In ogni caso, l’ institutio ex re certa , non comprendente la totalità dei beni, non importava attribuzione anche dei beni che non avevano formato oggetto di disposizione, i quali seguivano le norme della successione legittima, destinata ad aprirsi ai sensi dell’art. 457, comma 2, c.c. ogni qual volta le disposizioni a titolo universale, sia ai sensi del comma 1, sia ai sensi del comma 2 dell’art. 588 c.c., non ricostituivano l’unità.
La forza espansiva della vocazione a titolo universale invocata dall’appellante non p oteva operare nella fattispecie, perché non vi erano elementi patrimoniali facenti parte dell’asse ereditario da dividere di cui la de cuius non avesse disposto con testamento, in quanto da lei ignorati o sopravvenuti.
8.2 Quanto alla domanda di usucapione secondo la Corte era corretta la decisione di primo grado che aveva ritenuto che l’atto simulato di compravendita del 31 dicembre 1990, nel quale i coniugi COGNOME avevano riconosciuto che COGNOME NOME era proprietaria del bene immobile sito in Padova, INDIRIZZO aveva determinato l’interruzione del termine per usucapire in forza del riconoscimento da parte del possessore mentre era errata la decisione circa l’ efficacia interruttiva della notifica dell’atto di citazione.
Infatti, in virtù del rinvio fatto dall’art. 1165 c.c. all’art 2943 c.c., e stante la tipicità degli atti interruttivi non poteva attribuirsi detta efficacia ad atti diversi da quelli stabiliti da tale norma.
Il giudizio instaurato da NOME non era, infatti, diretto ad ottenere, ope iudicis , la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapiente. Infatti, tanto l’azione di simulazione e la conseguente domanda di nullità della donazione dissimulata, quanto l’atto introduttivo del giudizio di divisione ereditaria non erano rivolti alla contestazione diretta ed immediata del possesso “ad usucapionem”, ma intendevano solamente far accertare che l’immobile oggetto dell’atto dispositivo del 31 dicembre 1990 non era mai uscito dal patrimonio ereditario e definire i rapporti successori, e pertanto non avevano interrotto il decorso del tempo utile all’usucapione da parte dei convenuti. Anche la domanda di riduzione non mirava a recuperare i beni usciti dal patrimonio del de cuius in quanto tali, e non contestava il diritto di proprietà dei beneficiari, né la legittimità del titolo del loro diritto, che anzi presupponeva, ma mirava a far valere sul valore del bene le ragioni successorie spettanti al legittimario.
In definitiva, non essendo mai stato interrotto l’esercizio ultraventennale del possesso a partire dalla stipulazione della donazione nulla, anda va dichiarata l’intervenuta usucapione in favore di NOME e COGNOME NOME dell’immobile oggetto dell’atto dispositivo del 31.12.1990. Di conseguenza doveva rigettarsi la domanda di divisione avente ad oggetto tale bene, avanzata da NOME.
8.4 Infine, la Corte accoglieva il motivo di appello incidentale di NOME COGNOME perché, non essendo egli erede o legittimario
bensì semplice donatario, e non essendoci stata accettazione con beneficio di inventario ai sensi dell’art. 564 c.c. , mancava la condizione dell’azione di riduzione verso le donazioni.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso e hanno proposto ricorso incidentale fondato su cinque motivi di ricorso.
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.
12 . Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale e per l’accoglimento del ricorso incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve rigettarsi l’eccezione sollevata dalla ricorrente principale circa l’inammissibilità di tre motivi del ricorso incidentale per il venir meno dell’interesse all’impugnazione della sentenza non definitiva dato che il giudizio è proseguito e la sentenza definitiva non è stata oggetto di impugnazione.
In proposito il Collegio intenda dare continuità al seguente principio di diritto: Il passaggio in giudicato della sentenza sul quantum debeatur non determina la sopravvenuta carenza di interesse a coltivare l’impugnazione contro la sentenza non definitiva sull’ an , alla cui permanenza è condizionata la decisione sul quantum (Sez. 3, Ord. n. 34664 del 2024; in senso conforme Sez. 1, Sent. n. 13915 del 2014 e Sez. U. Sent. N. 2204 del 2005).
1.1 Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 1165, 2943 c.c. e dell’art. 713 c.c.
La censura riguarda la statuizione circa la inefficacia dell’atto di citazione notificato dai ricorrenti in data 23 dicembre 2010 ai fini dell’interruzione dell’usucapione stante la tipicità degli atti interruttivi dell’usucapione .
I ricorrenti richiamano l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui tutte le azioni che hanno come fine ultimo di ottenere il recupero del bene sono interruttive della prescrizione dell’usucapione. I ricorrenti richiamano anche il principio giurisprudenziale secondo cui l’effetto interruttivo va riconosciuto nei confronti degli atti che tendono a far valere una pretesa incompatibile con il possesso e con gli effetti che derivano dal trascorrere del termine come l’azione giudiziale mirante ad ottenere il riconoscimento della proprietà del bene in esito al giudizio di divisione. In altri termini, l’esercizio dell’azione di simulazione volta a rivendicare la proprietà del bene è incompatibile con gli effetti derivanti dal trascorrere del termine di cui all’articolo 1158 c.c. così come l’azione di riduzione formulata in subordine. In particolare, l’introduzione di un giudizio di riduzione per lesione di legittima ha efficacia di atto interruttivo dell’usucapione nel caso contenga una chiara manifest azione di volontà di riacquistare all’asse ereditario il bene sul quale il possesso viene esercitato.
Nella specie unitamente all’azione di riduzione è stata proposta dall’attrice domanda volta a far dichiarare la simulazione della compravendita in quanto dissimulante una donazione nulla per
difetto di forma, domanda il cui fine è recuperare il bene alla massa e la suddetta domanda è stata accolta dal Tribunale di Padova. In ogni caso la domanda di riduzione aveva un effetto recuperatorio in virtù dell’attribuzione pro quota in esito al giudizio di divisione .
1.2 Il primo motivo di ricorso è fondato.
La ricorrente aveva agito per far dichiarare la natura simulata dell’atto di compravendita del 31 dicembre 1990 in quanto dissimulante una donazione nulla, domandando che si procedesse alla divisione di tutti i beni oggetto del simulato contratto di compravendita. In subordine nel caso la donazione fosse stata ritenuta valida o l’atto fosse stato qualificato come un negotium mixtum cum donatione , l’attrice ne aveva chiesto la riduzione al fine di reintegrare la quota a lei riservata quale legittimaria.
L a Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto che la domanda dell’attrice NOME COGNOME non abbia interrotto il termine per l’usucapione e ha erroneamente applicato il principio secondo cui gli atti interruttivi del possesso risultano tassativamente elencati dal combinato disposto degli artt. 1165 e 2943 c.c. e tale tipicità non ammette equipollenti.
Nella specie, infatti, la domanda di simulazione e di divisione ereditaria, prima ancora di quella subordinata di riduzione, era i donea ad interrompere l’usucapione rientrando nel novero degli atti che ai sensi degli artt. 1165 e 2943 c.c. possono produrre il suddetto effetto.
Preliminarmente deve osservarsi come colui che agisce per la dichiarazione di simulazione di una compravendita deducendo inoltre la nullità della donazione dissimulata per mancanza di un requisito di forma ad substantiam integra, di fatto, l’allegazione che
il bene in questione non sia, in realtà, mai uscito dall’asse ereditario, e quindi l’azione può qualificarsi quale petitio hereditatis (o di rivendicazione di bene ereditario), da parte di soggetto il quale deve qualificarsi come erede legittimo con riferimento al cespite non contemplato nel testamento del de cuius.
In tal caso, dunque, emerge indiscutibilmente la funzione recuperatoria del bene e, quindi, l’azione è riconducibile alla petizione ereditaria idonea ad interrompere il possesso utile all’usucapione .
In ogni caso la ricorrente una volta accertata la simulazione della compravendita aveva chiesto anche la divisione ereditaria. In proposito il Collegio intende dare continuità al principio di diritto richiamato dal P.G. le cui conclusioni sono da condividere: La domanda giudiziale di divisione è idonea ad interrompere il termine per l’usucapione nei confronti del comunista che abbia il possesso esclusivo di uno dei beni comuni, poiché l’azione ha quale finalità ultima la trasformazione di un diritto ad una quota ideale su uno o più beni comuni in un diritto di proprietà esclusiva su singoli beni ed è, quindi, potenzialmente estesa a ottenere la proprietà esclusiva (e quindi il conseguente rilascio) di uno dei beni oggetto di comunione, compresi quelli che eventualmente si trovino nel possesso esclusivo di uno o più comunisti (Sez. 2, Sentenza n. 24730 del 17/08/2023, Rv. 668872 – 01).
Quanto detto è sufficiente per l’accoglimento del motivo in ogni caso deve osservarsi come sia da condividere anche il secondo rilievo del P.G. secondo cui la Corte d’Appello non ha svolto alcuna indagine sulla finalità della domanda subordinata di riduzione alla luce del principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui :
In tema di possesso ” ad usucapionem ” l’introduzione di un giudizio di riduzione per lesione di legittima ha efficacia di atto interruttivo dell’usucapione solo se contiene una chiara manifestazione della volontà di riacquistare all’asse ereditario il bene sul quale il possesso viene esercitato, atteso che dal combinato disposto degli artt. 1165 e 2943 c.c. risultano tassativamente elencati gli atti interruttivi del possesso e tale tipicità non ammette equipollenti (Sez. 2, Sentenza n. 30079 del 19/11/2019, Rv. 656200).
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti, per non avere la C orte d’appello di Venezia preso in considerazione il fatto che l’area scoperta adibita a giardino è comune ai due appartamenti facenti parte dell’unico fabbricato e che l’appartamento al piano terra è stato pacificamente posseduto da NOME COGNOME sino al 19 agosto 2006. Violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c. p.c.
2.1 Il secondo motivo è assorbito dall’accoglimento del primo.
Il primo motivo del ricorso incidentale è così rubricato: Violazione dell’art. 1158, 1165 e 2944 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., con riguardo alla presunta incompatibilità dell’atto di compravendita del 31.12.1990 con l’ animus possidendi a fondamento del potere di fatto esercitato sul bene, ai fini dell’acquisto per usucapione.
Secondo i ricorrenti il negozio di donazione, ancorché simulato, non costituirebbe un riconoscimento dell’altrui diritto di proprietà.
Sarebbe erronea in diritto – per violazione dei principi delineati dalla giurisprudenza di legittimità (per cui “il compimento di attività
negoziali … non esclude che il possesso sia utile ai fini dell’usucapione”) -l’ approdo di Tribunale e Corte d’appello, per cui la stipula della compravendita sul bene usucapendo risulterebbe incompatibile con l’ animus possidendi essendo invece necessaria un’ulteriore indagine sulla concreta ed inequivoca “volontà attributiva” della proprietà dei beni in capo ai Sig.ri COGNOME per effetto della compravendita del 31.12.1990.
3.1 Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato.
L a Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione dei principi che governano l’interruzione dell’usucapione ritenendo che nel momento della stipula della vendita simulante la donazione i ricorrenti incidentali hanno compiuto un pieno riconoscimento dell’altrui diritto idoneo ad interrompere l’usucapione.
Sul punto il Collegio intende dare continuità ai seguenti principi di diritto: a) Per escludere la sussistenza del possesso utile all’usucapione non è sufficiente il riconoscimento o la consapevolezza del possessore circa l’altrui proprietà del bene, occorrendo, invece, che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per i fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, atteso che l’ animus possidendi non consiste nella convinzione di essere titolare del diritto reale, bensì nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facoltà (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 13153 del 14/05/2021, Rv. 661313 – 01); b) In tema di usucapione, ai sensi del’art.1165 cod. civ. in relazione all’art. 2944 cod. civ., il riconoscimento del diritto altrui da parte del possessore, quale atto incompatibile con la volontà di godere il bene uti dominus , interrompe il termine utile per l’usucapione
(Nella specie è stata confermata la sentenza impugnata che, nell’escludere l’ animus possidendi da parte del possessore, aveva rilevato che il medesimo aveva trattato l’acquisto della proprietà del bene, così manifestando non solo di essere a conoscenza dell’appartenenza del bene ad altri, ma anche di riconoscere l’altrui proprietà) (Sez. 2, Sentenza n. 25250 del 29/11/2006, Rv. 593763 – 01).
Nella specie l’aver stipulato una vendita simulante una donazione costituisce indubbiamente il riconoscimento dell’altrui diritto e l’espressione inequivoca della volontà di attribuire il bene al simulato alienante, sicché il possesso può decorrere solo da un momento successivo a tale data.
Il secondo motivo del ricorso incidentale è così rubricato: Violazione degli artt. 737 ss. c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per aver la Corte d’Appello manifestamente disatteso il principio di automaticità ed obbligatorietà della collazione, indipendentemente da qualsivoglia istanza di parte, in presenza di domanda di divisione ereditaria proposta da una delle parti del giudizio, e della risultanza in atti di donazioni posti in essere dal de cuius .
Secondo i ricorrenti, il tema del l’ esistenza di una donazione formale diretta a vantaggio del l’ attrice NOME COGNOME non sarebbe frutto del tentativo di una delle parti di operare una diversa perimetrazione dell’asse ereditario “a preclusioni già maturate”, come erroneamente frainteso dal Collegio lagunare.
L’esistenza di siffatta donazione – collazionabile trattandosi di divisione tra discendenti- risultava ab initio quale tema di causa ai fini della decisione sulla domanda divisione dell’asse ereditario
avanzata da parte attrice che stava cercando di “recuperare” i beni oggetto della donazione asseritamente nulla e che, al contempo aveva inequivocamente e trasparentemente dato atto della liberalità posta in essere in vita dalla de cuius a proprio favore.
In un siffatto contesto, se si muove dal principio che la collazione è un’operazione che il Giudice della divisione deve compiere anche d’ufficio a prescindere dalle esplicite domande di parte (v. da ult. Cass., 23.7.2019, n. 19833), ovviamente nei soli limiti dei cespiti e degli atti negoziali portati alla sua attenzione, è chiaro che l’unica conclusione necessitata sia quella del doveroso preliminare accertamento da parte del Giudice della reale consistenza dell’asse mediante l’operazione di collazione ex art. 737 ss. c.c. estesa anche alla donazione diretta di cui ha dato conto NOME COGNOME nel suo atto introduttivo. Secondo i ricorrenti opererebbe il principio secondo cui «l’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione (salva l’espressa dispensa da parte del de cuius , nei limiti in cui sia valida) e i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda dei condividenti, essendo sufficiente a tal fine la domanda di divisione e la menzione in essa dell’esistenza di determinati beni, facenti parte del l’ asse ereditario da ricostruire, quali oggetto di pregressa donazione .
4.1 Il secondo motivo del ricorso incidentale è fondato.
La Corte ha fatto erronea applicazione del regime delle preclusioni escludendo dalla divisione ereditaria la donazione che NOME COGNOME aveva ricevuto in vita dalla madre. In particolare, la Corte territoriale ha fatto erronea applicazione del principio espresso da questa Corte a sezioni unite secondo cui: In tema di
giudizio di divisione ereditaria, successivamente alla costituzione dei convenuti non può più essere chiesta una formazione delle quote diversa da quella cui il giudice debba attenersi in relazione al patrimonio del de cuius individuato dalle parti nei loro scritti difensivi iniziali. Ne consegue che la deduzione del fatto che un condividente sia tenuto alla collazione di un bene donato, costituendo eccezione in senso proprio, in quanto diretta a paralizzare la pretesa di tale condividente a partecipare alla divisione secondo quanto gli spetterebbe ove tale donazione non avesse avuto luogo, è soggetta alle preclusioni di cui all’art. 167, secondo comma, cod. proc. civ. (Sez. U, Sent. n. 14109 del 2006).
In proposito deve preliminarmente ribadirsi che la collazione è l’atto con il quale i discendenti e il coniuge che accettano l’eredità conferiscono nell’asse ereditario quanto hanno ricevuto dal de cuius in donazione. La collazione può essere veicolata da una vera e propria domanda, ovvero configurarsi quale questione preliminare di merito (veicolata da una specifica deduzione di una delle parti); ovvero ancora quale questione incidentale conosciuta dal giudice nell’ iter decisorio inaugurato da una domanda di divisione, sulla scorta del materiale probatorio acquisito agli atti del processo.
La collazione, dunque, non è un’azione ma un istituto di diritto sostanziale. Ne consegue che, dal punto di vista processuale, non deve tradursi necessariamente in una domanda giudiziale, ‘essendo sufficiente a tal fine la domanda di divisione e la menzione in essa dell’esistenza di determinati beni, facenti parte dell’asse ereditario da ricostruire, quali oggetto di pregressa donazione’ (Cass., n. 15131/05) – anche dissimulata – per ricostituire il patrimonio ereditario e ristabilire l’uguaglianza tra coeredi.
Nella specie dagli scritti difensivi emergeva chiaramente l’esistenza di un bene donato ad un condividente di cui tener conto e dunque la censura proposta con il motivo in esame è fondata.
5. Il terzo motivo del ricorso incidentale è così rubricato: Vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e di motivazione apparente nella parte in cui la Corte d’appello parrebbe aver ritenuto di qualificare la vocatio testamentaria della Sig.ra COGNOME in termini di disposizione a titolo particolare.
Il Collegio lagunare sarebbe anzitutto incorso in un manifesto vizio di contraddittorietà della motivazione per quanto riguarda la qualificazione del contenuto della disposizione testamentaria in oggetto. Infatti, a parere dei ricorrenti, il richiamo all ‘ attribuzione pro quota del l’ unico bene residuo a vantaggio dei figli varrebbe proprio ad integrare quella «intenzione del testatore di assegnare beni determinati come quota del patrimonio» (per tutte, da ult., Cass., 3.7.2019, n. 17868) che integra l’essenza stessa de ll’ institutio ex re certa, mentre la Corte d’Appello lo avrebbe del tutto contraddittoriamente negato. La motivazione sarebbe dunque a tal punto perplessa e contraddittoria da risultare del tutto apparente.
6. Il quarto motivo del ricorso incidentale è così rubricato: Violazione degli artt. 457, 588. co. 2 e 734 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., con riguardo al principio della vis expansiva della quota espressamente prevista dal testatore rispetto ai beni non specificamente contemplati nel testamento.
In presenza di quote istitutive di erede “totali”, ossia ricostituenti l’intero patrimonio che il testatore aveva in mente in quel momento – siano esse aritmeticamente determinate dal de
cuius oppure ex post (istituzione ex re certa ) -, andrebbe escluso in toto il concorso della successione legittima con quella testamentaria (Cass., n. 17868/2019, cit.). Risulterebbe evidente l’errore in cui sarebbe incorso il Collegio lagunare nella applicazione di detto principio generale in virtù del quale tutti i beni ereditari, compresi i beni sopravvenuti debbono essere ripartiti tra i co-eredi Tisato secondo le quote espressamente volute e previste dalla testatrice.
6. Il terzo e il quarto motivo del ricorso incidentale sono fondati.
Preliminarmente deve richiamarsi l’orientamento del tutto consolidato secondo il quale: In tema di delazione dell’eredità, non vi è luogo alla successione legittima agli effetti dell’art. 457, comma 2, c.c., in presenza di disposizione testamentaria a titolo universale, sia pur in forma di istituzione “ex re certa”, tenuto conto della forza espansiva della stessa per i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti (Sez. U, Ord. n. 17122 del 2018, Rv. 649495, conf. Sez. 2, Sent. n. 12158 del 2015, Rv. 635621), se invece l’ institutio ex re certa non comprende la totalità dei beni, non importa attribuzione anche dei beni che non formarono oggetto di disposizione, i quali si devolvono secondo le norme della successione legittima, ex art. 457, comma 2, c.c..
Nella specie, il bene oggetto del testamento era l’unico di cui la testatrice fosse a conoscenza e di cui aveva consapevolezza di poter disporre, dunque la sua volontà, che teneva conto delle precedenti donazioni, di attribuirne la quota di tre quarto al figlio e quella di un quarto alla figlia costituiva una volontà universale.
Pertanto, in presenza di una disposizione testamentaria come quella oggetto del presente giudizio che comprende l’universalità dei beni del testatore (ovvero l’unico bene rimasto nel patrimonio della de cuius) e che, comunque, pur indicando un bene determinato è indice di una disposizione a titolo universale come assegnazione dei beni come quota del patrimonio trova applicazione il principio secondo cui la forza espansiva della vocazione a titolo universale opera anche in favore dell’ istitutio ex re certa , da intendersi nel senso che l’acquisto di costui non è limitato in ogni caso alla singola cosa attribuita come quota, ma si estende proporzionalmente ai beni ignorati dal testatore o sopravvenuti (Sez. 2, Sentenza n. 17868 del 03/07/2019, Rv. 654464 – 02).
In sostanza, nel momento in cui è venuta meno per nullità la donazione del 1990 al figlio, il bene oggetto di tale donazione deve essere considerato come sopravvenuto nel patrimonio della testatrice e di cui ella ignorava l’esistenza nel suo patrimonio, avendolo donato. In tal caso trova applicazione il citato principio della forza espansiva anche dell’istituito “ex re certa” come della vocazione a titolo universale inteso nel senso sopra indicato della sua estensione proporzionale ai beni ignorati dal testatore o sopravvenuti.
7. Il quinto motivo di ricorso incidentale è così rubricato: Vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., se non di motivazione apparente in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. nella parte in cui la Corte d’appello pare aver ritenuto la carenza di interesse del Sig. NOME COGNOME nell’invocare la vis expansiva delle quote di cui alla
istituzione ex re certa , dimenticando però in toto di considerarequale “bene sopravvenuto” all’asse ereditario – i beni oggetto della donazione dissimulata nulla per difetto di forma, “rientrati” ex post nel patrimonio della de cuius COGNOME proprio per effetto della conferma in appello della declaratoria di nullità, nonché l’accertando credito restitutorio in capo al co-erede Sig. COGNOME
Secondo parte ricorrente vi sono “elementi patrimoniali facenti parte dell’asse ereditario da dividere”, peraltro di non ininfluente consistenza economica, ed altresì che questi “elementi patrimoniali” sono pacificamente “sopravvenuti” al patrimonio ereditario della de cuius COGNOME.
7 .1 Il quinto motivo di ricorso è assorbito dall’accoglimento del terzo e quarto motivo.
In conclusione la Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e il secondo, terzo e quarto del ricorso incidentale, rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbiti il secondo del ricorso principale e il quinto del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione che, oltre a fare applicazione dei principi di diritto indicati in motivazione, provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e il secondo, terzo e quarto del ricorso incidentale, rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbiti il secondo del ricorso principale e il quinto del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d ‘ Appello di Venezia in
diversa composizione anche in relazione alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione