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Interruzione del processo: da quando decorre il termine?

Una parte acquirente avviava una causa per ottenere il trasferimento di un immobile, ma il processo veniva interrotto a seguito del fallimento della società venditrice. Il Tribunale dichiarava estinto il giudizio per tardiva riassunzione, calcolando il termine dalla conoscenza legale del fallimento. La Corte d’Appello ha riformato la decisione, stabilendo che, in caso di interruzione del processo, il termine per la riassunzione decorre dalla dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa e non dalla mera conoscenza dell’evento interruttivo. La causa è stata quindi rimessa al giudice di primo grado.

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Interruzione del processo: il termine decorre dalla dichiarazione in giudizio

Una recente sentenza della Corte di Appello di Firenze chiarisce un punto fondamentale in tema di interruzione del processo: da quale momento esatto inizia a decorrere il termine perentorio per la riassunzione quando una delle parti fallisce? La Corte, allineandosi a un orientamento consolidato della Cassazione a Sezioni Unite, stabilisce che il dies a quo non è la data in cui si ha ‘conoscenza legale’ del fallimento, ma quella della dichiarazione formale di interruzione resa dal giudice.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un contratto preliminare di compravendita immobiliare. La parte promissaria acquirente citava in giudizio la società costruttrice lamentando l’inadempimento contrattuale, poiché l’immobile non era stato completato nei termini, presentava vizi e non erano state cancellate le ipoteche esistenti. Si chiedeva quindi al Tribunale di emettere una sentenza che trasferisse coattivamente la proprietà dell’immobile, ai sensi dell’art. 2932 c.c.

Durante il corso del giudizio di primo grado, la società costruttrice veniva dichiarata fallita. Conseguentemente, il Tribunale, in udienza, dichiarava l’interruzione del processo.

La Decisione di Primo Grado e l’Errore sul Dies a Quo

La parte attrice procedeva alla riassunzione del giudizio nei confronti della Curatela fallimentare. Tuttavia, il Tribunale di Pisa dichiarava l’estinzione del processo con un’ordinanza. La motivazione si basava sulla presunta tardività della riassunzione. Secondo il primo giudice, il termine per riassumere non decorreva dalla data dell’udienza in cui l’interruzione era stata formalmente dichiarata, ma da un momento precedente, ovvero da quando la parte aveva acquisito ‘conoscenza legale’ del fallimento tramite il deposito telematico della sentenza di fallimento nel fascicolo di causa.

L’Appello e la questione sull’interruzione del processo

Contro tale ordinanza, la parte soccombente proponeva appello, sostenendo l’erroneità della decisione. L’appellante argomentava che l’interpretazione del Tribunale era contraria ai principi consolidati in materia di interruzione del processo. La questione centrale era, dunque, l’individuazione del corretto dies a quo per il computo del termine di riassunzione in caso di fallimento di una delle parti.

Le Motivazioni della Corte d’Appello

La Corte di Appello di Firenze ha accolto integralmente l’appello, riformando la decisione di primo grado. I giudici di secondo grado hanno fondato la loro decisione su un principio di diritto ormai consolidato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 12154/2021).

La Corte ha chiarito che, sebbene l’interruzione del processo a seguito di fallimento sia un effetto automatico per legge (art. 43 Legge Fallimentare), il termine per la riassunzione inizia a decorrere solo dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa viene portata a conoscenza di ciascuna parte. Questa conoscenza si realizza con la pronuncia in udienza o con la successiva comunicazione o notificazione del provvedimento. Non è sufficiente una mera ‘conoscenza di fatto’ o ‘legale’ dell’evento interruttivo (il fallimento) acquisita in altro modo, ad esempio tramite la consultazione del fascicolo telematico.

Nel caso di specie, l’interruzione era stata dichiarata in udienza il 25 febbraio 2020. Il ricorso in riassunzione era stato depositato il 22 maggio 2020, quindi pienamente entro il termine trimestrale previsto dall’art. 305 c.p.c. Di conseguenza, l’eccezione di tardività era infondata e il processo non doveva essere dichiarato estinto.

Infine, la Corte ha specificato che, essendo stata annullata la pronuncia di estinzione, la causa doveva essere rimessa al giudice di primo grado per la prosecuzione e la decisione nel merito, in applicazione dell’art. 354 c.p.c. nella sua formulazione ratione temporis applicabile.

Le Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio di certezza del diritto fondamentale per gli operatori legali. Il termine per la riassunzione di un processo interrotto decorre da un atto formale e certo, quale la dichiarazione del giudice, e non da un momento incerto come la ‘conoscenza legale’ dell’evento. Questa decisione non solo riforma un provvedimento errato, ma garantisce la corretta applicazione delle norme procedurali, tutelando il diritto di difesa delle parti. La Corte ha quindi annullato l’estinzione e disposto la prosecuzione del giudizio dinanzi al Tribunale, che dovrà ora pronunciarsi sulle domande originarie relative al contratto di compravendita immobiliare.

Da quale momento decorre il termine per riassumere un processo interrotto a causa del fallimento di una parte?
Il termine trimestrale per la riassunzione del processo decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione viene portata a conoscenza di ciascuna parte (ad esempio, con la pronuncia in udienza), e non dal momento in cui la parte acquisisce aliunde la conoscenza legale del fallimento.

Un’ordinanza che dichiara l’estinzione di un processo può essere impugnata come una sentenza?
Sì. Un provvedimento che, pur avendo la forma di ordinanza, definisce il giudizio decidendo su una questione pregiudiziale di rito (come l’estinzione), ha natura sostanziale di sentenza e deve essere impugnato con l’appello.

Cosa accade se la Corte d’Appello accoglie l’appello contro un’ordinanza che ha dichiarato l’estinzione del processo in primo grado?
La Corte d’Appello, accogliendo l’appello e riformando il provvedimento, deve rimettere la causa al giudice di primo grado affinché il processo prosegua e venga deciso nel merito, secondo quanto previsto dall’art. 354, secondo comma, c.p.c. (nella formulazione applicabile al caso di specie).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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