Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14421 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14421 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10289/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati agli indirizzi PEC dei difensori iscritti nel REGINDE, l’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che li rappresentano e difendono congiuntamente;
-controricorrenti-
COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME e COGNOME; -intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 212/2022 depositata il 09/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La presente controversia riguarda la successione ereditaria di COGNOME NOME NOME, cui sono succeduti per legge il fratello COGNOME NOME e i discendenti dei fratelli premorti COGNOME NOME (COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME) e di COGNOME NOME (COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME).
Il Tribunale di Lucera, dopo avere dichiarato con sentenza non definitiva la nullità di un atto di trasferimento immobiliare, posto in essere da COGNOME NOME, quale procuratore del de cuius , disponeva con sentenza definitiva la divisione dei beni ereditari, determinando i relativi conguagli, e condannava gli acquirenti al pagamento delle rendite del bene oggetto dell’atto dichiarato nullo. La Corte d’appello di Bari, adita da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali avevano censurato la decisione relativamente alla composizione dell’asse e alla loro condanna al pagamento delle rendite dell’immobile, oggetto dell’atto dichiarato nullo, riformava in parte la decisione. Essa, dopo avere disposto la convocazione del consulente tecnico, statuiva nel senso che era compreso nella massa da dividere il solo vano INDIRIZZO di INDIRIZZO e non anche il vano avente accesso dal civico INDIRIZZO di INDIRIZZO come pretendevano gli appellanti. A tale conclusione la corte di merito perveniva in base all’interpretazione del testamento di COGNOME
NOME, proprietario originario dei vani aventi accesso da INDIRIZZO e INDIRIZZO, il quale ne aveva disposto, ripartendolo in un certo modo, fra i figli COGNOME NOME e il de cuius COGNOME NOME. In particolare, la corte di merito ha ritenuto che la porzione, avente accesso da INDIRIZZO, fosse stata attribuita a NOME, mentre identificava la porzione attribuita a COGNOME NOME in quella avente accesso dall’ingresso di nuova realizzazione dal civico 33/A.
Inoltre, la stessa corte di merito ha confermato la decisione del primo giudice nella parte relativa al pagamento delle rendite del bene oggetto dell’acquisto dichiarato nullo. Al riguardo, a confutazione del rilievo con il quale che gli appellanti avevano evidenziano l’inscindibile connessione fra restituzione del prezzo, non avvenuta, e diritto ai frutti, osservava che gli appellanti non avevano formulato la relativa domanda restitutoria, né opposto in compensazione il credito per la restituzione del prezzo.
Contro la decisione COGNOME NOME COGNOME ha proposto ricorso, sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria.
COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
Hanno resistito con controricorso anche COGNOME NOME e COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME.
Restano intimati COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, già appellanti insieme all’attuale ricorrente.
Proposta la definizione accelerata del ricorso, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., in ragione della manifesta infondatezza dell’impugnazione per cassazione, la causa, su tempestiva istanza del ricorrente, è stata, quindi, fissata, per la decisione in camera di consiglio.
COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, rileva la Corte che nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024). Sulla scorta di tale pronuncia, il cons. NOME COGNOME autore della proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c. e componente dell’odierno Collegio , non versa in situazione di incompatibilità.
Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 279 c.p.c. e 327 c.p.c.
In appello la decisione di primo grado fu censurata perché il primo giudice aveva omesso di considerare che il consulente tecnico, nell’identificare i beni compresi nell’asse di COGNOME Vittorio, aveva fatto riferimento alla denunzia di successione, invece che al testamento del comune dante causa. In considerazione di ciò, la Corte d’appello ha disposto sul punto il richiamo del consulente al fine di stabilire la corrispondenza fra il bene, considerato dal primo giudice come compreso nell’eredità di COGNOME NOME, e quello a lui attribuito con il testamento del genitore. Il ricorrente sostiene che il provvedimento di convocazione del consulente, benché assunto in
forma di ordinanza, aveva valore di sentenza non definitiva in ordine alla composizione della massa da dividere, nel senso di includere in essa, in aggiunta al vano di INDIRIZZO, anche il vano di INDIRIZZO
Il secondo motivo denunzia, con riferimento al testamento di COGNOME NOME, violazione delle regole di ermeneutica negoziale. La interpretazione di tale testamento da parte della corte di merito costituiva palese travisamento della disposizione testamentaria, che ripartiva il vano terraneo fra NOME e NOME, attribuendo a NOME una superficie minore di quella attribuita a NOME, comprendente anche una parte del vano avente accesso da INDIRIZZO.
Il terzo motivo denunzia omesso esame di un fatto decisivo. La ripartizione testamentaria attribuiva a NOME una porzione pari a 2/3 del terraneo. Nella consulenza tecnica espletata in appello, in rinnovazione di quella fatta in primo grado, il consulente tecnico aveva indicato quale avrebbe dovuto essere la posizione del tramezzo divisorio affinché fossero rispettate le proporzioni stabilite nel testamento, laddove la collocazione attuale del muro attribuiva a NOME una porzione maggiore.
Il quarto motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1425 e 535 c.c. La Corte d’appello ha confermato la decisione lasciando decorrere la decorrenza delle rendite, relative al bene oggetto dell’atto dichiarato nullo, dall’apertura della successione, mentre la decorrenza andava stabilita dal passaggio in giudicato della pronunzia di primo grado che ha statuito in quel senso. Inoltre, la corte di merito non avrebbe considerato che l’obbligo di restituzione delle rendite non poteva essere considerato separatamente dal diritto al rimborso del prezzo pagato per l’acquisto, non essendo quindi configurabile inadempimento fino a
quanto non fosse stata offerta la restituzione. Essi, in altre parole, hanno conseguito il possesso del bene in forza della compravendita annullata e hanno continuato a detenerlo in forza del medesimo titolo, rimanendo la detenzione legittima fino a quando il prezzo non fosse stato restituito (ciò che ancora non era avvenuto).
3. Il primo motivo è inondato, per le ragioni esattamente indicate nella proposta di definizione accelerata, nella quale il Consigliere delegato – dopo avere richiamato il principio secondo il quale, al fine di stabilire se un provvedimento costituisca sentenza o ordinanza endoprocessuale è necessario avere riguardo non alla sua forma esteriore o all’intestazione adottata, bensì al suo contenuto e, conseguentemente, all’effetto giuridico che esso è destinato a produrre, sicché hanno natura di sentenze – soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato – i provvedimenti che, ai sensi dell’art. 279 c.p.c., contengono una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito), anche quando non definiscono il giudizio (Cass. n. 3945 del 19/02/2018) – aggiunge che, nel caso in esame «come si evince dalla lettura dell’ordinanza collegiale del 27/3/2018, la Corte d’Appello, pur facendo riferimento alla necessità di individuare il bene sulla base dele previsioni testamentarie, ha inteso però richiamare il CTU al fine di verificare se il progetto redatto contemplasse il bene oggetto di causa proprio secondo la consistenza assegnatagli per testamento, ma senza che tale indicazione, in assenza anche di una precisa interpretazione del testamento, possa far ritenere decisa la controversia in senso antitetico rispetto a quanto poi statuito con la sentenza oggetto di causa, palesandosi piuttosto come un’ordinanza finalizzata esclusivamente a dare le indicazioni per lo
sviluppo del processo al punto di vista istruttorio, ma senza alcun intento di definire lo stesso, sia pure solo in parte».
Il secondo motivo è infondato. Il giudizio relativo all’ interpretazione di una disposizione testamentaria, riguardando una questione di fatto, è riservato alla competenza esclusiva del giudice di merito; in quanto tale è soggetto, in sede di cassazione, a controllo, e quindi a censura, non per la sua sostanziale esattezza o erroneità, da verificarsi in base a rinnovata interpretazione della dichiarazione considerata, bensì soltanto per ciò che attiene alla sua legittimità, e cioè alla conformità a legge dei criteri ai quali è adeguato e alla compiutezza, coerenza e conformità a legge della giustificazione datavi (Cass. n. 7422/2005; Cass. n. 5604/2001; Cass. n. 7634/1986; Cass. n. 6190/1984).
In altre parole, quando il giudice di merito ha compiuto la ricerca dell’intento negoziale con il rispetto dei canoni di ermeneutica, l’interpretazione del negozio, scaturita dall’indagine compiuta, si sottrae al sindacato di legittimità, ove sia sorretta da motivazione esauriente ed immune da vizi logici, la quale consenta di individuare la ragione del decidere (Cass. n. 1291/1970; Cass. n. 17817/2005; Cass. n. 701/2021).
I ricorrenti trascrivono il testamento e rimproverano alla Corte di merito di non avere considerato che l’espressione da ‘porta e porta’, usata nel testamento, non identificava la porzione attribuita a NOME, ma era stata usata dal testatore secondo un diverso significato. Secondo il ricorrente, l’espressione usata dal testatore, tenuto conto della indicazione della superfice attribuita all’uno o all’altro (2/3 a NOME e 1/3 a NOME), deponeva nel senso che l’ingresso di INDIRIZZO rappresentasse il punto iniziale della parte lasciata a NOME e non il punto finale della porzione lasciata a NOME.
A queste considerazioni è facile replicare che l’interpretazione proposta con la decisione impugnata, secondo la quale « la ‘locuzione da porta a porta (di porte ve ne erano all’epoca solo due, una da INDIRIZZO, l’altra da INDIRIZZO), significa che la quota di terraneo attribuita a NOME ‘deve arrivare fino dove adesso vi è il tramezzo’. Al di là della precisa determinazione delle quote di 1/3 e 2/3, è evidente che l’intenzione del testatore era quella di attribuire a COGNOME Raffaele la porzione di immobile che comprendesse i due ingressi (INDIRIZZO e INDIRIZZO) e la restante parte a Celozzi Vittorio, per il quale fu quindi realizzato il secondo ingresso dal civico INDIRIZZO » – non è incompatibile né con il tenore letterale della scrittura, né rileva di per sé la violazione di altre regole interpretative. Ecco allora che il motivo di ricorso ora in esame, sotto la veste della denuncia dei canoni di ermeneutica, si esaurisce, inammissibilmente, nel proporre una interpretazione negoziale alternativa rispetto a quella accolta nella sentenza impugnata, che non «deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni», come giustamente ricorda il Consigliere delegato nella proposta di definizione anticipata.
È parimenti infondato il terzo motivo, che – sotto l’egida del vizio di omesso esame e della carenza di motivazione -censura in effetti la decisione impugnata, con riguardo alla valutazione delle risultanze istruttorie. In particolare, la corte d’appello non avrebbe tenuto conto della planimetria allegata alla relazione del consulente tecnico nominato nel grado, che aveva prefigurato la ripartizione del vano quale avrebbe dovuto essere per rispettare le proporzioni stabilite nel testamento. Tuttavia, non sussiste al riguardo nessun omesso esame, al contrario avendo la corte territoriale argomentato ampiamente le proprie conclusioni in ordine al fatto
che la ‘locuzione da porta a porta’, nella ricostruzione della volontà testamentaria, dovesse prevalere sulla ripartizione aritmetica del vano stabilita nel testamento. Si legge testualmente nella sentenza impugnata «al di là della precisa determinazione delle quote di 1/3 e 2/3 è evidente che l’intenzione del testatore era quella ». La dettagliata motivazione della corte territoriale, che in linea teorica propone una interpretazione della volontà testamentaria non implausibile, rende evidente l’inesistenza del vizio di omesso esame di fatto decisivo, tanto da palesare l’intento del ricorrente di riproporre alla Corte inammissibilmente il giudizio sul fatto. Il giudizio di fatto è, invero, riservato al giudice del merito, laddove il motivo mira a negare la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice rispetto agli elementi istruttori acquisiti, prospettando una migliore valutazione di quegli stessi elementi. Onde tali aspetti del giudizio restano interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, di pertinenza esclusiva del giudice del merito, ma preclusi in sede di legittimità, trattandosi di una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione
Il quarto motivo è infondato. Qualora venga acclarata la mancanza di una causa adquirendi in ragione della dichiarazione di nullità, dell’annullamento, della risoluzione o della rescissione di un contratto o del venire, comunque, meno del vincolo originariamente esistente, l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo (Cass. n. 515/2018; n. 9052/2010). L’art. 2033 c.c. infatti, pur essendo formulato con riferimento all’ipotesi del pagamento ab origine indebito, è applicabile per analogia anche alle ipotesi di indebito
oggettivo sopravvenuto per essere venuta meno, in dipendenza di qualsiasi ragione, in un momento successivo al pagamento, la causa debendi (Cass. n. 5624/2009; Cass. n. 14585/2007).
Se la prestazione non dovuta ha per oggetto una cosa determinata, la disciplina delle obbligazioni derivanti a carico dell’ accipiens va ricavata dall’art 2037 c.c. (Cass. n. 685/1973). Si deve riconoscere che anche nell’ipotesi consegna di cosa determinata, per quanto riguarda la restituzione di frutti e interessi, trovano applicazione, a seconda delle ipotesi, l’art. 2033 c.c. o l’equivalente disposizione dell’art. 2036, comma 2, c.c.
Va da sé che l’accertamento giudiziale della nullità di un contratto di compravendita comporta l’obbligo del venditore di restituire al compratore il prezzo pagato, in quanto l’effettuato pagamento risulta privo di causa e perciò non dovuto: l’azione proposta dal compratore a tal fine è l’azione di ripetizione di indebito ex art 2033 c.c. (Cass. n. 9719/2020; Cass. n. 1182/1974).
In rapporto a tali principi discende che l’affermazione – sulla quale è fondato il motivo di ricorso in esame, secondo cui gli effetti restitutori, derivanti dalla nullità o dall’annullamento del contratto, insorgerebbero solo dopo il passaggio in giudicato della relativa sentenza -è errata. È altrettanto infondata la tesi che la permanenza dell’ accipiens nella disponibilità della cosa determinata, ricevuta in esecuzione del contratto dichiarato nullo o annullato, farebbe insorgere i conseguenti obblighi restitutori solo in concomitanza con la restituzione de prezzo da parte del venditore. Gli obblighi restitutori insorgono ex lege e debbono essere fatti valere dalla parte interessata tramite la proposizione di una specifica domanda giudiziale (Cass. n. 5520/2008); il giudice non può emettere di ufficio provvedimenti restitutori che non siano stati richiesti (Cass. n. 3522/1972); lo stesso deve dirsi per la
compensazione: una volta accertata la sopravvenuta inesistenza della causa debendi , i crediti sono certamente suscettibili di compensazione sino alla loro concorrenza, purché le parti interessate abbiano proposto le reciproche domande restitutorie (Cass. n. 6664/2018).
Nel caso in esame la domanda volta alla restituzione del prezzo non è stata proposta. Conseguentemente la sentenza della Corte d’appello, nella parte in cui ha condannato l’ accpiens al pagamento delle rendite, è immune da censure. Quanto alla decorrenza dell’obbligazione di restituzione posta a carico degli attuali ricorrenti, le censure di controparte sono fondate sull’erroneo assunto che l’obbligo insorgerebbe solo al momento del passaggio in giudicato della sentenza, mentre si applica in proposito la disciplina dell’indebito, che stabilisce la decorrenza in base a criteri diversi, che potrebbero persino giustificare una decorrenza precedente rispetto a quella stabilita dal giudice di primo grado (cfr. art. 2033 c.c.), la cui statuizione non fu impugnata in appello sotto questo specifico profilo.
Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta di definizione anticipata, trovano applicazione il terzo ed il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. (art. 380 -bis, comma 3, c.p.c.). L’integrale conformità dell’esito decisorio alla proposta ex art. 380 -bis c.p.c. costituisce, invero, indice della colpa grave della condotta processuale del ricorrente, per lo svolgimento di un giudizio di cassazione rivelatosi del tutto superfluo, con conseguente condanna dello stesso al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controricorrente, nonché di somma in favore della cassa delle ammende, negli importi indicati in dispositivo. Opera, dunque, la valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del
terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. unite n. 27433 e n. 27195 del 2023).
Nulla sulle spese rispetto alle parti intimate.
Sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge; condanna altresì il ricorrente, ai sensi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c., al pagamento in favore degli stessi controricorrenti COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME della ulteriore somma di € 5.000,00; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME (eredi di COGNOME NOME), delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, per compensi per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì il ricorrente, ai sensi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c., al pagamento in favore degli stessi controricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME della ulteriore somma di € 4.000,00; condanna altresì il ricorrente, ai sensi del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. al pagamento in favore della cassa delle ammende della complessiva somma di € 2.000,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda