Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4628 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4628 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 29922-2018 r.g. proposto da:
NOME COGNOME (cod. fisc. CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’ AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio del difensore.
-ricorrente -contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore Commissario Liquidatore AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, con i quali elettivamente domicilia in Roma, a INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME.
-controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Reggio Emilia, depositato in data 12.9.2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8/02/2024 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE
1.Con ricorso ex artt. 98 e 99 l. fall. l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME proponeva opposizione avverso lo stato passivo della RAGIONE_SOCIALE coatta amministrativa di RAGIONE_SOCIALE, con il quale il commissario liquidatore aveva escluso il suo credito per euro 485.316, chiedendone l’ammissi one in via privilegiata ex art. 2751 bis n. 2 c.c. ed esponendo: (i) di essere stato nominato ctp dal RAGIONE_SOCIALE, mandataria dell’ATI costituit a assieme alla RAGIONE_SOCIALE e a RAGIONE_SOCIALE, nel giudizio rg n. 9226/2010, promosso contro RAGIONE_SOCIALE innanzi al Tribunale di Roma; (ii) che il predetto giudizio era stato definito con sentenza di condanna della convenuta RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di COGNOME, quale mandataria dell’ATI, della somma di euro 12.793.289,54, oltre interessi e rivalutazione; (iii) che la determinazione del proprio compenso era regolata dal ‘disciplinar e di incarichi’ del 30 maggio 2011, sottoscritto da RAGIONE_SOCIALE anche nell’interesse di CCC e CMC; (iv) di aver matu rato, in base al predetto accordo, un credito di euro 382.500, oltre accessori di legge, per complessivi euro 457.639,15; (v) di aver ottenuto dal Tribunale di Reggio Emilia, con decreto reso in data 18.12.2015, ingiunzione di pagamento nei confronti di CCC e di CMC per complessivi euro 485.316, somma poi corretta nel minor importo di euro 457.639.15; (vi) che tale ingiunzione di pagamento non era stata invece decretata nei riguardi di RAGIONE_SOCIALE, medio tempore posta in liquidazione coatta amministrativa con decreto del 30.10.2015 dal RAGIONE_SOCIALE.
Costituitasi nel giudizio di opposizione allo stato passivo anche la RAGIONE_SOCIALE coatta amministrativa della predetta cooperativa, il Tribunale di Reggio Emilia, con il decreto qui oggetto di ricorso per cassazione, ha ammesso al passivo l’COGNOME. COGNOME per euro 270.874,34, con il richiesto privilegio mobiliare.
3. Il Tribunale ha rilevato che: (a) il pagamento della coobbligata in solido CMC in forza del decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo ed oggetto di opposizione, non aveva determinato l’estinzione dell’obbligazione solidale, ma allo stato aveva solo reso inesigibile il credito nei confronti degli ulteriori obbligati, tra i quali anche l’opposta, posto che, in tema di obbligazioni solidali, l’effetto liberatorio non si verifica se il versamento da parte di uno dei coobbligati sia stato fatto con riserva di ripetizione e non implichi pertanto riconoscimento del debito e rinuncia alla contestazione di esso; (b) il quantum della pretesa creditoria doveva essere fissato sulla base di quanto convenzionalmente concordato tra le parti nel disciplinare di incarico del 30.5.2011; (c) in tale documento il corrispettivo dovuto al professionista era stato distinto in una quota fissa e in una variabile, quest’ultima da determinar si in misura percentuale rispetto alla somma eventualmente riconosciuta all’ATI a titolo risarcitorio; (d) l’art. 4, lett. b, prevedeva che il compenso in misura variabile fosse calcolato ‘in percentuale alla somma riconosciuta al Committente’, da determinare secondo l’allegata tabella ove la misura percentuale era indicata in relazione all’importo ‘effettivamente liquidato al committente’; (e) nonostante l’atto contrattuale riferisse , nell’intestazione, il termine ‘committente’ alla sola Coopesette e sul rilievo che nell’interpretazione del contratto occorre sse indagare la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole usate, ai sensi dell’art. 1362 cod. civ., doveva ritenersi che l’art. 4 e la relativa tabella si riferissero alla somma liquidata in sentenza in favore di RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria ATI a cui partecipava RAGIONE_SOCIALE, oltre interessi e rivalutazione; (f) la parte opposta peraltro nulla aveva eccepito in ordine al profilo della quantificazione del credito insinuato, limitandosi ad una generica contestazione sul punto; (g) quanto al ‘montante’ sul quale calcolare il compenso, l’art. 4 prevedeva che ‘per il calcolo del compenso di cui alla tabella sopra si considera la somma riconosciuta dalla CTU, comprensiva di interessi e rivalutazione’; (h) occorreva pertanto considerare l’importo risultante dalla Ctu, oltre agli interessi e rivalutazione su detta somma dal momento della domanda sino al deposito della relazione peritale e non già, come erroneamente ritenuto dall’oppone nte, sino all’effettivo pagamento, in
quanto la misura del compenso non poteva dipendere da una circostanza che nulla aveva a che vedere con l’attività svolta; (i) tuttavia, in difetto di tale indicazione da parte della difesa del COGNOME, in tal senso gravata secondo il riparto dell’onere dell a prova, il calcolo del compenso doveva essere effettuato tenuto conto del solo importo liquidato dal Ctu (euro 12.793.289,54); (l) applicando il meccanismo dell ‘ interpolazione lineare, come previsto nel disciplinare di incarico, l’importo dovuto risultava pari ad euro 270.874,34, credito da ammettere al passivo della procedura in via privilegiata ex art. 2751 bis, n. 2, c.c..
Il decreto, pubblicato il 12.9.2018, è stato impugnato da NOME COGNOME con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui la RAGIONE_SOCIALE coatta amministrativa della cooperativa ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo ed unico motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui al combinato disposto degli artt. 1362, 1363 e 1366 cod. civ., al fine della rideterminazione, nel caso di accoglimento del ricorso con rinvio, dell’importo da ammettere al passivo in suo favore.
1.2 Il motivo per come articolato è inammissibile.
1.2.1 Il ricorrente lamenta, infatti, l’errata interpretazione da parte del Tribunale di Reggio Emilia dell’art. 4 del contratto di incarico, c.d. ‘Disciplinare di incarico’, che stabili va il criterio per il calcolo della componente percentuale aggiuntiva del suo compenso come Ctp. Afferma, cioè, che il Tribunale di Reggio Emilia, contrariamente alla comune intenzione delle parti, avrebbe interpretato la predetta norma contrattuale, ritenendo che il ‘ montante ‘ su cui calcolare il compenso percentuale fosse l’importo risultante dalla CTU e non l’importo effettivamente liquidato al Committente (RAGIONE_SOCIALE) ovvero quello liquidato in sentenza.
1.2.2 Ritiene, pertanto, il ricorrente che da tale errata decisione del Tribunale sarebbe conseguita anche l’errata individuazione del dies ad quem per il
calcolo degli interessi e della rivalutazione monetaria, che dal Tribunale erano stati calcolati a decorrere dal deposito della perizia, ma che, sempre secondo il ricorrente, dovrebbero essere invece calcolati con riferimento ‘alla data di percepimento delle somme o tutt’al più alla data di deposito della sentenza’. 1.3 Sul punto giova ricordare in termini ancora generali e ricostruttivi che, come ancora ribadito, nelle rispettive motivazioni, da Cass. n. 14938 del 2018, Cass. n. 25470 del 2019 e Cass. n. 25909 del 2021, il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione).
1.4 In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr., ex aliis, Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016). La censura, poi, neppure può essere formulata mediante l’astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest’ultima non
deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (cfr. Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 25728 del 2013).
1.5 Ciò posto, risulta evidente che l ‘impugnazione del ricorrente deduce solo apparentemente la violazione o falsa applicazione di norme di diritto da parte del Tribunale, ma, in verità, è esclusivamente fondata su motivi di merito e chiede a questa Suprema Corte una nuova valutazione in fatto e non una valutazione in diritto, scrutinio che in questa sede non è ammissibile.
Per quanto già sopra osservato, il giudice di legittimità ha la sola facoltà di controllo della decisione di merito sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale della motivazione non potendo, invece, procedere a un’interpretazione delle risultanze processuali e a un riesame dell’intera vicenda sottoposta al suo vaglio diversa da quella operata dal giudice di merito.
Nel caso in esame, il motivo di impugnazione qui in esame non richiede al giudice di legittimità il riesame del provvedimento impugnato sotto il profilo della correttezza giuridica né della coerenza logico-formale, ma richiede una revisione dell’accertamento di merito in ordine al contenuto della clausola contrattuale, ovvero la ricostruzione della effettiva volontà delle parti manifestata nel contratto. Con la conseguenza che il motivo di ricorso costituisce una censura fattuale, riservata istituzionalmente ed esclusivamente al giudice di merito e, in quanto tale, al di fuori del perimetro vincolato dell’art. 360 c.p.c. (Cass. sez. 3, 26.5.2016 n. 10891).
Il sindacato di legittimità non può e non deve investire il risultato interpretativo di una clausola contrattuale, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, costituisce, per quanto già sopra affermato e ricordato, un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (v. anche: Cass., sez. II, n. 25681 del 15.10.2018 e Cass., sez. III, n. 2718 del 2.2.2017: principio anche recentemente confermato con ordinanza n. 16684/2023, secondo cui espressamente: “l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti (e ‘del significato letterale delle parole in relazione al contenuto del negozio’, v. cfr. Cass. n. 25681/2018 e Cass. n. 18509/2008), si risolve in un’indagine
di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per vizio della motivazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5′.
Ma, nel caso in esame il ricorrente non ha impugnato il provvedimento del Tribunale di Reggio Emilia per vizio di motivazione, ai sensi del sopra richiamato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
A ciò va aggiunto che, con particolare riferimento al vizio di violazione delle regole ermeneutiche di cui agli articoli 1362 c.c. e segg., è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola contrattuale siano possibili, e plausibili, due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (cfr. tra le molte: Cass. sez. 1, 27/06/2018 n. 16987; Cass. sez. 2, 15/10/2018 n. 25681; Cass. sez. 3, 28/11/2017 n. 28319; Cass. n. 8909/2013; Cass. n. 8909/2013; Cass. sez. 3, 20/11/2009 n. 24539; Cass, sez. 1, 22/02/2007 n. 4178; Cass. n. 17248/2003).
Ritornando alla fattispecie in esame, il ricorrente ha chiesto alla Suprema Corte una nuova valutazione in fatto e non una valutazione in diritto, oltrepassando i tassativi confini elencati nell’art. 360 c.p.c. e incorrendo nella inevitabile inammissibilità delle doglianze proposte.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis RAGIONE_SOCIALE stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida
in euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 8.02.2024