Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6908 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso 19440/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione in persona del liquidatore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e domiciliata ex lege in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, INDIRIZZO
pec:
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME ed RAGIONE_SOCIALE, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del terzo in Roma, INDIRIZZO
Pec:
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6908 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2024
avverso la sentenza n. 26/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 07/01/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/10/2023 dal Cons. NOME COGNOME
Rilevato che:
la società RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) esercente un impianto di distribuzione carburanti in attuazione di un contratto di comodato e somministrazione stipulato con la società RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE), intimò alla stessa il pagamento di una somma di € 19.825,00 a saldo di una fattura emessa ma non pagata a titolo di rimborso spese di piccola manutenzione dell’impianto del secondo semestre 2014, invocando la clausola di una transazione del 12/3/2015 con cui le parti avevano definito tutti i loro reciproci rapporti di dare ed avere, conseguenti alla risoluzione del contratto;
la RAGIONE_SOCIALE propose opposizione rappresentando che la RAGIONE_SOCIALE aveva indebitamente emesso una doppia fatturazione relativa alla medesima causale, e che il credito non sussisteva avendo essa già versato l’importo richiesto a saldo di una precedente fattura; chiese di accertare il proprio diritto di credito di € 797,33 e di effettuare la compensazione per l’ipotesi in cui il credito di RAGIONE_SOCIALE avesse trovato conferma;
il Tribunale di Milano, ritenendo non provato l’errore materiale e contabile nella fatturazione dedotto da RAGIONE_SOCIALE, accertò il diritto di credito di RAGIONE_SOCIALE, accolse l ‘eccezione di compensazione e condannò RAGIONE_SOCIALE a pagare ad RAGIONE_SOCIALE la somma di € 19.027,67, oltre interessi legali;
a seguito di appello di NOME e di costituzione in giudizio di RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’Appello di Milano con sentenza del 7/1/2021, ha accolto il gravame, ha dichiarato non dovuto l’importo corrispondente alle spese di piccola manutenzione e condannato RAGIONE_SOCIALE a restituire a NOME quanto da quest’ultima versato in esecuzione della sentenza di primo grado, confermando nel resto, e ponendo a carico dell’appellat a le spese del doppio grado del giudizio;
avverso la sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi;
ha resistito RAGIONE_SOCIALE con controricorso;
il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
entrambe le parti hanno depositato memoria;
Considerato che:
con il primo motivo di ricorso -violazione e falsa applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale in relazione agli artt. 1362 e ss. e 1965 c.c. ai sensi dell’art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c. la ricorrente lamenta che l ‘impugnata sentenza ha violato il criterio dell’interpretazione letterale che, in base al principio in claris non fit interpretatio e nella gerarchia dei canoni ermeneutici, è il principale criterio cui l’interprete deve far riferimento essendogli precluso ricorrere ad altri canoni interpretativi quando la comune volontà delle parti emerga in maniera certa ed immediata dalle espressioni adoperate dalle parti;
in secondo luogo la ricorrente deduce che la Corte del merito ha omesso di considerare la ragione pratica del contratto e gli interessi che le parti intendevano soddisfare mediante l’attuazione del programma negoziale prescelto e che, in relazione alla causa concreta del contratto di transazione, essa doveva attribuire il necessario rilievo all’accordo che le parti avevano raggiunto circa l’emissione di una
nuova fattura e, quindi, circa la fondatezza delle pretese creditorie del gestore; inoltre la Corte d’Appello ha errato nel valutare il contratto di manutenzione stipulato tra le parti, estraneo alla transazione, ed ha errato nell’interpretare il contenuto dell’accordo anche in relazione alla condotta tenuta successivamente alla stipulazione del contratto di transazione;
con il secondo motivo di ricorso -omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione alla valenza tombale dell’accordo transattivo e d all’art. 1362 c.c. ai sensi dell’art. 360, co. 1 n. 5 c.p.c. -la ricorrente si duole che, mentre il giudice di primo grado aveva esaminato la questione dell” efficacia tombale ‘ della transazione, la corte del merito ha evitato di confrontarsi con il dato testuale dell’art. 2 dell ‘accordo , secondo cui la transazione definiva tutti i rapporti tra le parti anche al fine di evitare il sorgere di futuri contenziosi ; tale ‘fatto’ era pacifico tra le parti e richiamato da RAGIONE_SOCIALE, con valenza confessoria, in tutti gli atti processuali del primo e del secondo grado del giudizio;
i motivi possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione e sono entrambi inammissibili;
occorre preliminarmente rilevare che la ricorrente fa riferimento al principio in claris non fit interpretatio e al gradualismo tra i criteri di interpretazione cd. ‘soggettiva’ del contratto e quelli di cd. ‘interpretazione oggettiva’ sulla base di una prospettiva che questa Corte ha già da tempo superato. Infatti già con Cass., 3, n. 25840 del 9/12/2014 si è affermato ‘ A norma dell’art. 1362 cod. civ., l’interpretazione del contratto richiede, ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, che il giudice, anche quando il significato letterale del contratto sia apparentemente chiaro, dopo aver compiuto l’esegesi del testo, verifichi se quest’ultimo sia coerente con la causa del
contratto, con le dichiarate intenzioni delle parti e con la condotta delle stesse. ‘; con Cass., 1, n. 5102 del 13/3/2015 si è ribadito ‘ In tema di interpretazione dei contratti, la comune volontà dei contraenti deve essere ricostruita sulla base di due elementi principali, ovvero il senso letterale delle espressioni usate e la ” ratio ” del precetto contrattuale, e tra questi criteri interpretativi non esiste un preciso ordine di priorità, essendo essi destinati ad integrarsi a vicenda ‘ ; secondo Cass., 3, n. 21840 del 30/8/2019 che richiama Cass. S.U. n. 6882 del 2019 il gradualismo dei criteri ermeneutici va superato in quanto il criterio letterale va invero riguardato alla stregua degli ulteriori criteri legali d’interpretazione;
ciò precisato in via preliminare, occorre rilevare che i motivi sono inammissibili in quanto prospettano una diversa interpretazione della volontà contrattuale, demandata all’apprezzamento del giudice del merito; secondo il consolidato indirizzo di questa Corte l’accertamento della volontà contrattuale in relazione al contenuto di un negozio si traduce in un a indagine di fatto, demandata all’apprezzamento del giudice di merito, che non è sindacabile in sede di legittimità se condotta secondo le norme di ermeneutica dettate dalla legge e se l’interpretazione adottata sia giustificata da motivazione adeguata e immune da vizi (Cass., n. 2945 dell’8/2/2021);
quanto al vizio motivazionale relativo alla ‘valenza tombale’ della transazione si rileva che tale profilo non costituisce un fatto storico ma una mera valutazione operata dalla ricorrente sugli effetti attribuiti all’accordo; dunque il motivo sfugge alla logica dell’art. 360, co. 1 n. 5 c.p.c. ed è, in quanto tale, anch’esso inammissibile;
con il terzo motivo di ricorso -violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1218 c.c. in ordine ai criteri di riparto dell’onere probatorio in relazione al denunciato errore materiale ai sensi dell’art.
360 co. 1 n. 3 c.p.c. la ricorrente assume che l’impugnata sentenza ha violato i principi relativi al riparto dell’onere della prova nella responsabilità contrattuale perché ha attribuito all’appellante l’onere di provare che la seconda fattura emessa non era frutto di una mera duplicazione materiale in relazione alla ordinaria manutenzione dell’impianto ma era dovuta ad altro titolo quale corrispettivo dello smaltimento del materiale e dello sgombero dell’area;
il motivo è infondato;
non prevedendo la transazione alcun rimborso per l’attività corrispondente allo smaltimento del materiale, l a Corte d’Appello ha correttamente rilevato che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto fornire prova del l’avvenuto svolgimento di tale attività , ulteriore rispetto a quella di cui agli originari accordi, quale fatto costitutivo della propria pretesa;
questa statuizione è conforme all’art. 2697 c.c., come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui il riparto degli oneri probatori deve seguire le regole della scomposizione della fattispecie e della distinzione tra fatti costitutivi, il cui onere grava sull’attore, e fatti impeditivi la cui prova spetta al convenuto (Cass., Sez. Un., n. 16598 del 5/8/2016, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, ed, ex multis , Cass. n. 26769 del 2018 secondo cui);
con il quarto motivo di ricorso -violazione e falsa applicazione degli artt. 1430 e 1362 c.c. ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – la ricorrente censura la sentenza anche nella parte in cui ha fatto riferimento ad un mero errore materiale nella duplicazione delle fatture e non anche ad un errore vizio;
il motivo è infondato.
la sentenza (pp. 9-10) ha ritenuto che l’appellante non avesse mai allegato l’errore che avrebbe inficiato il procedimento formativo
della volontà, non ponendo in discussione il contenuto della transazione ma limitandosi ad indicare un mero errore materiale risolubile applicando le regole di ermeneutica contrattuale; la sentenza ha correttamente escluso che, nel caso di specie, potesse prospettarsi un vizio del consenso, cioè della formazione della volontà delle parti, ma ha solo affermato che, nel testo contrattuale, per un mero errore materiale, si era dato come ancora da fatturare un credito per il quale la fattura era già stata emessa; l’interpretazione è conforme al consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui ‘ Qualora il contenuto del contratto, come appare stipulato, non corrisponda alla comune, reale volontà delle parti, sia che l’erronea formulazione o trascrizione debba ascriversi alle parti medesime o ad un terzo da loro incaricato ed ancorché tale discordanza non emerga a prima vista, ma debba costituire oggetto di accertamento, la situazione non integra alcuna delle fattispecie dell’errore ostativo e, di conseguenza, non trova applicazione la normativa dell’annullamento del contratto per tale vizio. Nella suddetta ipotesi, sulla lettera del contratto deve prevalere la reale, comune volontà dei contraenti, desumibile dal giudice di merito sulla scorta delle trattative e di tutto il materiale probatorio acquisito ‘ (Cass., 3, n. 8745 del 15/4/2011; Cass., 2, n. 24208 del 4/10/2018);
alle suesposte considerazioni consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente a pagare le spese del giudizio di cassazione in favore della parte controricorrente, liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare, in favore della parte controricorrente, le spese del giudizio di cassazione che liquida in € 2.800 (di cui € 200 per esborsi), oltre accessori di legge e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza