Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27789 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27789 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24588/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in INDIRIZZO, è elettivamente domiciliata.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dal AVV_NOTAIO, presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO, è elettivamente domiciliata.
-controricorrente –
COMUNE DI CATANIA, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria di questa Corte.
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 329/2021 del 15/2/2021 resa dalla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/9/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME;
Rilevato che:
1. Con atto di citazione del 18/09/2013, notificato il 2425/09/2013, la società RAGIONE_SOCIALE propose domanda di accertamento della proprietà di alcuni terreni siti in Aci Catena (CT), c.da INDIRIZZO (catastalmente identificati al Fg. 5, part. 516, 517, 518, 519, 520, 525, 526 e 527, tutte provenienti dalla particella 153), occupati dalla società RAGIONE_SOCIALE, avente causa dell’RAGIONE_SOCIALE, affermando di esserne divenuta proprietaria in forza di atto pubblico del 04/02/2000.
Con sentenza n. 5235/2017, pubblicata il 22/12/2017, il Tribunale adito rigettò la suddetta domanda e quella di risarcimento del danno lamentato a causa della demolizione della cisterna e del gazebo circostante, dello sradicamento di piante con annessa perdita della loro produzione e delle spese per il reimpianto.
Il giudizio di gravame, instaurato dalla medesima società RAGIONE_SOCIALE, si concluse, nella resistenza di RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 329/2021, pubblicata il 15/02/2021, con la quale la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE accolse parzialmente l’appello, dichiarando la società appellante proprietaria dei soli terreni catastalmente individuati al foglio 5, particelle 525, 526 e 527, con esclusione delle altre particelle rivendicate, e condannando, per l’effetto, le appellate al rilascio del fondo censito
in catasto al foglio 5, particella 526, e al pagamento di tre quarti delle spese di entrambi i gradi del giudizio
Contro la predetta sentenza, RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE si difendono con distinti controricorsi.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., la ricorrente e il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memorie.
Considerato che :
Occorre, preliminarmente, evidenziare che, come affermato di recente dalle Sezioni unite di questa Corte, nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte -ed eventualmente essere nominato relatore del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380bis .1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, primo comma, n. 4, e 52 cod. proc. civ., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e
finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (Cass., Sez. U, 10/4/2024, n. 9611), sicché non rileva, nella specie, che il collegio sia composto da un consigliere che ha anche redatto la proposta di definizione anticipata.
2.1 Venendo al merito, con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 51, primo comma, n. 6), legge n. 89 del 1913 e la nullità della sentenza in parte qua, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello rigettato la domanda della ricorrente di accertamento della proprietà anche delle particelle 516, 517, 518, 519 e 520, senza considerare che l’identificazione dell’immobile compravenduto deve avvenire anche con l’indicazione dei confini, considerati all’uopo prevalenti rispetto agli altri elementi identificativi, che l’atto pubblico del 4/2/2000 indicava come confini a est la proprietà dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che questo vantava la proprietà della sola particella 377, poi frazionata nelle particelle 521, 522, 523 e 524, e che, pertanto, al di là delle particelle espressamente indicate, la proprietà ceduta nel 2000 comprendeva anche le particelle 516 e 520, altrimenti l’atto si sarebbe dovuto leggere nel senso che l’appezzamento confinava con la restante proprietà venditrice.
2.2 Il primo motivo è infondato.
Diversamente da quanto suggerito nella censura, la planimetria allegata al contratto di vendita di un lotto di terreno sottoscritta dalle parti con l’espressa indicazione di far parte del contenuto del contratto, ha, infatti, funzione descrittiva del relativo oggetto (Cass., Sez. 2, 16/06/1989, n. 2900) e può essere provata solo con la sua produzione in giudizio in quanto facente parte integrante di un contratto per il quale la legge richiede la forma scritta ad substantiam (Cass., Sez. 2, 06/04/1995, n. 4016).
Solo quando la delimitazione dell’immobile alienato indicata nell’atto di compravendita non coincide con la rappresentazione grafica della pianta planimetrica ad esso allegata, si profila una comune quaestio voluntatis , che può essere risolta a favore o meno dei segni geometrici o delle colorazioni indicate nella pianta a seconda della sua maggiore o minore corrispondenza all’intenzione delle parti ricavata dall’esame complessivo della volontà negoziale (Cass., Sez. 2, 09/05/1978, n. 2248).
In ragione di ciò, tale documento, facendo parte integrante della dichiarazione di volontà contrattuale quando ad essa i contraenti si siano riferiti per descrivere il bene, costituisce strumento fondamentale per l’interpretazione del contratto di compravendita immobiliare, dal momento che a quel documento le parti hanno fatto espresso riferimento (Cass., Sez. 2, 19/10/1999, n. 11744; Cass., Sez. 2, 28/11/2012, n. 21127).
Spetta, peraltro, al giudice di merito la valutazione dell’incidenza di tale documento sull’intento negoziale delle parti ricavato dall’esame complessivo del contratto (in questi termini Cass., Sez. 2, 28/11/2012, n. 21127, cit.; Cass., Cass., Sez. 2, 12/5/2011, n. 10457; Cass., Sez. 2, 5/5/2003, n. 6764), così come spetta ad esso, in caso di non coincidenza tra la descrizione dell’immobile fatta in contratto e la sua rappresentazione grafica contenuta nelle dette planimetrie, il compito di risolvere la quaestio voluntatis della maggiore o minore corrispondenza di tali documenti all’intento negoziale ricavato dall’esame complessivo del contratto (Cass., Sez. 2, 5/5/2003, n. 6764, cit.; Cass., Sez. 2, 07/06/1993 , n. 6356).
Nella specie, i giudici di merito hanno individuato l’oggetto del contratto di compravendita del 2000, sottoposto al loro esame, tenendo conto non solo degli identificativi catastali dei beni nello stesso indicati, ma anche della planimetria sottoscritta e allegata
all’atto, dalla quale risultavano circoscritti col colore rosa i beni compravenduti, ritenuti incontestabilmente coincidenti con l’elencazione numerica delle particelle.
In tal modo, la Corte d’Appello si è senz’altro uniformata ai suddetti principi, avendo ritenuto coincidente la descrizione del bene alla stregua del numero delle particelle in esso indicate con la riproduzione grafica delle stesse riprodotta nella planimetria sottoscritta dalle parti e allegata al contratto, con la conseguenza che non è affatto configurabile la lamentata violazione di legge.
3.1 Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dei criteri legali di interpretazione di cui all’art. 1362 cod. civ. e la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito errato nell’applicare i criteri interpretativi previsti dall’art. 1362 cod. civ., avendo dato preferenza agli elaborati grafici allegati al contratto, anziché al contenuto letterale dell’atto, e non avendo correttamente valutato il comportamento complessivamente tenuto dalle parti. Ad avviso della ricorrente, i giudici avrebbero dovuto tener conto dei seguenti elementi: l’intenzione della promittente alienante, la COGNOME, di trasferire col preliminare del 29/10/1990 l’intera sua proprietà, non essendo opportuno il rilievo, contenuto in sentenza, secondo cui detto atto era stato stipulato tra soggetti differenti e non era, perciò, utile alla ricostruzione della volontà delle parti, posto che il promissario acquirente, COGNOME NOME, era il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, che la prima istanza presentata in Tribunale, onde conseguire la necessaria autorizzazione al trasferimento di bene dotale, era stata inoltrata nel 31/12/1991 proprio in vista delle scadenze contenute nel preliminare e che lo sfasamento temporale tra preliminare e definitivo era dovuto al subentro della procedura espropriativa; la descrizione dei confini contenuta nell’atto di vendita del 4/2/2000
che non faceva riferimento alla restante proprietà della venditrice; il tenore dell’autorizzazione del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE del 23 -28/1/1992, che indicava l’intera particella 153; l’inserimento della particella 153 nella doppia trascrizione operata dal notaio; la mancata menzione delle particelle 516, 517 e 519 nella dichiarazione della COGNOME del 6/5/1995 e nella deliberazione della Commissione amministratrice dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 23/6/1995; l’irrilevanza della planimetria allegata all’atto rispetto ai confini in esso indicati e alla descrizione contenuta nel preliminare, nell’autorizzazione del Tribunale e nelle risultanze della doppia trascrizione; il comportamento tenuto dalla venditrice prima, durante e dopo l’atto.
3.2 Il secondo motivo è parimenti infondato.
Come più volte sostenuto da questa Corte (tra le tante Cass., Sez. 2, 5/5/2003, n. 6764), infatti, l’accertamento della volontà dei contraenti si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice del merito e censurabile in sede di legittimità solo per il caso di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e segg. cod. civ., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione), sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26/10/2007, n. 22536).
Per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve, peraltro, essere l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12/7/2007, n. 15604; Cass. 22/2/2007, n. 4178), non potendo trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., Sez. 2, 15/5/2018, n. 11823; Cass. 7500/2007; 24539/2009).
Del resto, anche l’individuazione delle fonti del convincimento, l’assunzione e valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, sono attività riservate in via esclusiva al giudice di merito, il quale vi provvede secondo il suo prudente apprezzamento, senza dover esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (in questi termini, Cass., Sez. L, 13/6/2014, n. 13485).
Con specifico riguardo poi all’aspetto prettamente valutativo delle prove acquisite, le conclusioni cui il giudice di merito perviene in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili con il ricorso per cassazione (Cass., Sez. 1, 3/7/2023, n. 18857; Cass. 19/07/2021, n. 20553; Cass. 29/10/2018, n. 27415), così
come non lo è il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali ad esso riservato, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 n. 4, cod. proc. civ., – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. 1, 26/9/2018, n. 23153; Cass., Sez. 3, 10/6/2016, n. 11892), sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come si è detto, sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie concreta operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità ( ex plurimis Cass., Sez. 1, 6/11/2023, n. 30844; Cass., Sez. 5, 15/5/2018, n. 11863, Cass., Sez. 6-5, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. 1, 2/8/2016, n. 16056).
La censura proposta nella specie, invece, non fa altro che suggerire quali altri elementi i giudici di merito avrebbero dovuto prendere in considerazione al fine del decidere, così non soltanto mostrando di non tenere conto della motivazione della sentenza, nella quale si dà conto delle ragioni per le quali non è stato considerato dirimente il contenuto del contratto preliminare stipulato nel 1990, ma altresì discostandosi dai suddetti principi, oltre a non considerare che, nell’interpretazione del contratto, il primo strumento da utilizzare è
il senso letterale delle parole e delle espressioni adoperate, mentre soltanto se esso risulti ambiguo può farsi ricorso ai canoni strettamente interpretativi contemplati dall’art. 1362 all’art. 1365 cod. civ. e, in caso di loro insufficienza, a quelli interpretativi integrativi previsti dall’art. 1366 cod. civ. all’art. 1371 cod. civ. (Cass., Sez. 3, 11/3/2025, n. 6444).
In sostanza, la doglianza cela, sotto la veste formale dell’asserita violazione di legge, il sostanziale sollecito ad una rivisitazione nel merito del compendio probatorio acquisito, la quale, come noto, è preclusa a questa Corte di legittimità.
4.1 Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta l’omessa e/o apparente motivazione la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111, sesto comma, Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello valorizzato il documento grafico allegato all’atto al fine di ricostruire la volontà delle parti, senza motivare sulla prevalenza data a questo documento rispetto ad altri elementi, benché non immediatamente percepibile dalle parti, e senza tener conto, ai medesimi fini, del contenuto dell’istanza presentata al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE il 31/12/1991, richiamata nell’atto pubblico del 4/2/2000, della doppia trascrizione, del preliminare del 29/10/1990, del comportamento complessivo delle parti, che intendevano riferirsi all’intera proprietà della RAGIONE_SOCIALE, e del disinteresse di quest’ultima per le rivendicazioni del RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE.
4.2 Il terzo motivo è infondato.
Quanto alla dedotta nullità della sentenza per motivazione apparente, si osserva che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12
delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (tra le varie, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830). Scendendo più nel dettaglio sull’analisi del vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. da ultimo, Cass., Sez. U, 30/1/2023, n. 2767; vedi anche, tra le tante, Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016 Rv. 641526; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022 Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019 Rv. 654145).
Tali aspetti non sono affatto sussistenti nella specie, avendo la Corte di merito ampiamente argomentato sulle ragioni per le quali ha ritenuto che la ricorrente avesse acquistato soltanto alcune delle particelle rivendicate, valorizzando all’uopo sia il contenuto del contratto, interpretato secondo il criterio letterale, sia la
rappresentazione grafica del suo oggetto indicata nella planimetria ad esso allegata.
Quanto all’omessa valutazione degli elementi di prova asseritamente pretermessi, oltre a doversi richiamare i medesimi principi ricordati nel precedente punto 2.2, va altresì ribadito che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., così come riformulato nel 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), ‘… dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (Cass., Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, 05/02/2011, n. 2805, Rv. 616733). Ne deriva che il fatto storico prospettato, inteso come un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, deve essere decisivo, ovvero per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza conduca, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, ad una diversa decisione, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data, vale a dire un fatto che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., Sez. 5, 8/10/2014, n. 21152, e Cass., Sez. L. 14/11/2013, n. 25608), e che il vizio dedotto non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando
soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (cfr. Cass., Sez. 5, 3/10/2018, n. 24035 e Cass., Sez. 5, 8/10/2014, n. 21152) né la Corte di cassazione può procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass., Sez. 1, 12/5/2023, n. 13063; Cass., Sez. 6-5, 7/1/2014, n. 91; Sez.U, 25/10/2013, n. 24148).
Pertanto, peccando l’istanza di autorizzazione alla vendita avanzata dall’alienante del carattere della decisività, deve concludersi per l’infondatezza della censura.
5.1 Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame di documenti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti e la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., perché i giudici d’appello, nonostante avessero escluso la proprietà delle particelle rivendicate in capo alla RAGIONE_SOCIALE e al RAGIONE_SOCIALE, non essendo intervenuta alcuna legittima espropriazione, né l’usucapione delle stesse, avevano ritenuto che le medesime particelle non fossero state acquistate dalla ricorrente, lasciando intendere che fossero rimaste, dunque, nella proprietà della venditrice, senza tener conto, al fine i ricostruire la volontà delle parti, del tenore dell’istanza presentata dalla medesima al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE il 31/12/1991 e senza motivare sulle ragioni dell’omessa valutazione della stessa.
5.2 Il quarto motivo è infondato, dovendosi ribadire anche in questo caso quanto osservato nel precedente punto 3.2.
6.1 Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta, infine, la violazione dell’art. 92 secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la nullità della sentenza
per omessa motivazione e la violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111, sesto comma, Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché la Corte d’Appello, senza adeguata motivazione, aveva condannato la ricorrente alla refusione dei ¾ delle spese del giudizio, limitandosi ad evidenziare la parziale soccombenza, senza tener conto del fatto che le difese del RAGIONE_SOCIALE erano state integralmente rigettate e che tre delle eccezioni sollevate dalla NOME erano state formalmente rigettate, mentre la quarta era stata formalmente accolta, ma non aveva prodotto effetti.
6.2 Il quinto motivo è infondato.
Infatti, questa Corte ha costantemente affermato che, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e che, con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è conseguentemente limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass., Sez. 1, 4/8/2017, n. 19613).
Peraltro, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una
pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.
Alla stregua di questo principio, correttamente i giudici di merito hanno disposto la compensazione parziale delle spese di lite, avendo tenuto conto dell’accoglimento solo parziale dei motivi d’appello.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza di tutti i motivi, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono esser poste a carico della ricorrente.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì la ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 6.000,00, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18/9/2025.
Il Presidente NOME COGNOME