Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7096 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 7096  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2155/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale  rappresentante pro  tempore , RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale  rappresentante pro tempore ,  RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale rappresentante pro tempore ,  rappresentate e difese dall’avvocato NOME  COGNOME  e  dall’avvocato  NOME  COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore ,  rappresentata  e  difesa  dall’avvocato  NOME  COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso  la  sentenza  n.  2783/2018  della  CORTE  D’APPELLO  di ANCONA, depositata il 03/12/2018;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 04/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
Il Tribunale adito, riuniti più processi, rigettò le domande avanzate da RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, le quali, lamentando la ritardata messa a disposizione degli immobili acquistati da RAGIONE_SOCIALE, avevano chiesto che la convenuta fosse condannata alla consegna delle unità immobiliari entro la pattuita data del 31/1/2003, nonché a risarcire il danno, quantificato per la prima in € 350.000,00 (di cui € 300.000,00 a titolo di penale e il residuo per il nocumento procurato dall’impossibilità di locare a terzi l’immobile), per la seconda in € 78.450,00, oltre IVA sull’ammontare di € 3.450,00 (di cui € 75.000,00 a titolo di penale ed € 3.450,00 per il nocumento procurato dall’impossibilità di locare a terzi l’immobile), per la terza in € 300.00,00 (a titolo di penale).
 La  Corte  d’appello  di  Ancona  rigettò  l’impugnazione  de lle soccombenti attrici.
Davanti  alla  Corte  locale  le  appellanti,  attraverso  le  svolte censure, avevano, nella sostanza, sostenuto che il Tribunale aveva confuso  l’onere  delle  esponenti  di  attivare  le  forniture  di  acqua, energia elettrica e gas, con l’obbligo della convenuta di completare le opere d’urbanizzazione necessarie agli allacci.
In particolare, le esponenti avevano lamentato l’erroneo apprezzamento  delle scritture del 27/12/2002,  intervenute lo stesso  giorno  degli  atti  pubblici,  con  le  quali  la  venditrice  si  era impegnata a consegnare gli immobili entro il 31/1/2003. Si erano, inoltre, doluti del vaglio istruttorio.
La Corte di Ancona escluse che fosse rimasto dimostrato ritardo nelle consegne, affermando, inoltre, che gli immobili erano accessibili  e  fruibili,  nonostante  la  presenza  del  cantiere  e  che, infine, non era rimasta dimostrata l’impossibilità di locare le unità immobiliari.
 Le  soccombenti  appellanti  propongono  ricorso  sulla  base  di tre motivi.
L’intimata resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
 Con  il  primo  motivo  viene  denunciata  violazione  o  falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1367 e 1414 cod. civ.
Si  assume  che  la  Corte  locale,  acriticamente  confermando  la pronuncia di primo grado, non aveva rilevato che la dichiarazione di consegna degli immobili nei rogiti di compravendita del 27/12/2002 era simulata, stante che essa consegna, posticipata al 31/1/2003, con  le  scritture  private  del  27/12/2002  (che  sul  punto  avevano modificato  i  precedenti  contratti  preliminari  del  18/2/2002,  con  i quali era stata stabilita per il 31/12/2002), non era intervenuta.
Il Giudice aveva errato, secondo l’opinione delle impugnanti, a giudicare prevalente il contenuto dei contratti definitivi e ad affermare che le coeve scritture del 27/12/2002 non ostavano alla volontà espressa con i contratti definitivi, dovendosi reputare avvenuta la consegna, salvo talune rifiniture migliorative. Così, proseguono le ricorrenti, aveva finito per violare le norme evocate e, in particolare, il principio di conservazione degli atti giuridici e quello di assicurazione del contenuto testuale delle anzidette scritture. Tanto più che quest’ultime erano state firmate <>, siccome ammesso dal legale rappresentante della società convenuta.
4.1.  La  doglianza  non  è  scrutinabile  per  difetto  di  specificità sotto  il  profilo  della  necessaria  autosufficienza,  non  avendo  le ricorrenti  proceduto  a  compiutamente  riportare  gli  atti  giuridici  di cui sopra si discorre.
In disparte, va soggiunto che la Corte di Ancona ha fatto luogo ad  approfondito  apprezzamento  di  merito,  precisando  che  <>.
In punto di violazione o falsa applicazione delle norme sull’ermeneutica negoziale la vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito; in quanto, <> (ex pluribus, Cass. nn. 15381/2004, 13839/2004, 13579/2004, 5359/2004, 753/2004, 18587/2012; si veda inoltre, per la ricchezza di richiami, Cass. n. 2988/2013; da ultimo, Cass. n. 2050/2024).
Quanto  da  ultimo  preclude  in  radice  l’astratta  verifica  di  una volontà  contraria  rispetto  ai  contratti  definitivi  traslativi  di  diritti reali immobiliari, riscontrabile nelle  evocate scritture (ipotesi, questa percorribile nei ristretti limiti, da ultimo, enunciati da questa Corte con l’ordinanza n. 12090/2024).
 Con il  secondo  motivo viene  denunciato  l’omesso  esame  di un fatto controverso e decisivo, nonché violazione o falsa applicazione  dell’art.  116  cod.  proc.  civ.,  per  avere  il  Giudice  di secondo grado escluso l’inadempimento della controparte in relazione alla fruibilità delle necessarie utenze (gas, energia elettrica, linea telefonica).
Con il terzo motivo vengono denunciati i medesimi vizi di cui al  precedente  motivo,  per  non  avere  la  sentenza  impugnata giudicato  incompatibile  con  il  godimento  delle  unità  acquistate
l’asserita interdizione all’accesso di esse almeno fino al 28/3/2003, per la presenza del cantiere.
Entrambi i motivi, fra loro correlati, sono inammissibili.
7.1. In presenza di ‘doppia conforme’, sulla base dell’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n. 5528, 10/03/2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.
7.2. La doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova
legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).
In conclusione il ricorso merita rigetto.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo.
 Ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1-quater  D.P.R.  n.  115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento,  da  parte  delle  ricorrenti  (cfr.  Cass.  nn.  1343/2019, 18348/2017), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il  ricorso  e  condanna le ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento  delle  spese  del  giudizio  di  legittimità  in  favore  della controricorrente, che liquida in euro 14.000,00, per compensi, oltre alle  spese  forfettarie  nella  misura  del  15  per  cento,  agli  esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il  versamento  da  parte  delle ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a  quello  previsto  per  il  ricorso,  a  norma  del  comma  1-bis  dello stesso art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma  nella  camera  di  consiglio  del  4  dicembre