Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25759 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25759 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2884-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2125/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 04/12/2018;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 29.1.2008 RAGIONE_SOCIALE evocava in giudizio NOME COGNOME innanzi il Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, invocando l’accertamento della risoluzione del contratto preliminare di compravendita del 22.1.2002, avente ad oggetto un immobile sito in territorio del Comune di Scalea, in tesi giusta la manifestazione di volontà della promittente venditrice di avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta nel citato preliminare, ovvero, in subordine, a fronte dell’inadempimento della promissaria acquirente. Chiedeva altresì la condanna di quest’ultima al rilascio del bene compromesso in vendita e al risarcimento del danno, con diritto della società promittente venditrice a trattenere le somme percepite a fronte della compravendita progettata, ma non eseguita, in forza della clausola penale prevista nell’accordo raggiunto tra le parti.
Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda ed invocando, in via riconvenzionale, l’accertamento della natura simulata del preliminare di compravendita, in quanto inserito in una più ampia vicenda negoziale finalizzata ad ottenere da terzi un finanziamento destinato a ripianare l’esposizione debitoria facente capo a RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, società amministrate e possedute da familiari della COGNOME. La caparra di € 278.886,73 (pari a lire 540.000.000 che, secondo il preliminare oggetto di causa, la COGNOME avrebbe versato alla RAGIONE_SOCIALE, non sarebbe mai stata effettivamente pagata, così come non sarebbe mai stato effettivamente pagata la corrispondente somma che, per effetto degli altri contratti inseriti nella vicenda negoziale di cui anzidetto, RAGIONE_SOCIALE figurava aver versato ai familiari della COGNOME. Quest’ultima eccepiva, inoltre, l’incompetenza
territoriale del Tribunale di Paola, a favore di quello di Cosenza, e la società attrice aderiva a detta eccezione.
A seguito di ordinanza del Tribunale di Paola, declinatoria della competenza giusta l’accordo endoprocessuale intervenuto tra le parti, la causa veniva riassunta dinanzi il Tribunale di Cosenza, il quale, su istanza della COGNOME, estendeva il contraddittorio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, la quale non si costituiva.
Con sentenza n. 1904/2014 il Tribunale accoglieva la domanda di RAGIONE_SOCIALE, dichiarando il contratto preliminare di cui è causa risolto per inadempimento della convenuta, condannando quest’ultima al rilascio del bene oggetto del preliminare stesso ed al risarcimento del danno, quantificato in € 485.000, e condannando al contempo l’attrice a restituire alla convenuta la somma di € 621.391,30 percepita quale acconto sul prezzo della progettata compravendita. Ordinava altresì la compensazione tra le due rispettive poste, a credito e a debito, rigettava le restanti domande riconvenzionali e regolava le spese del primo grado.
Con la sentenza impugnata, n. 2125/2018, la Corte di Appello di Catanzaro rigettava tanto l’appello principale, proposto da RAGIONE_SOCIALE, che quello incidentale, proposto dalla COGNOME, avverso la decisione di prime cure, confermandola e compensando per intero le spese del gravame.
Propone ricorso per la cassazione di tale pronuncia RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso NOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto provato il
pagamento, da parte della COGNOME, della somma di lire 540.000.000, in assenza di indicazione di uno strumento tracciabile e, dunque, di prova. Tale somma, in realtà, non sarebbe mai stata materialmente corrisposta.
Con il secondo motivo, invece, si contesta l’ omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe deciso la causa sulla scorta di motivazione apparente.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili. Prima di tutto, in relazione alla seconda di esse, va rilevato che la deduzione del vizio di omesso esame, ai sensi di quanto previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., è preclusa, in presenza di una ipotesi di cd. doppia conforme.
In ogni caso, la Corte di Appello ha ritenuto, sulla scorta di una interpretazione non implausibile del contenuto letterale del contratto preliminare oggetto di causa, che la caparra, fissata convenzionalmente in € 278.886,73 non avesse natura confirmatori a, mancando la specificazione di tale natura nel contratto predetto; che la convenzione prevedeva espressamente la quietanza per il pagamento di detto importo; che RAGIONE_SOCIALE non avesse fornito alcun elemento, ancorché indiziario, idoneo a porre in dubbio la validità ed effettività di quanto dichiarato dalle parti nel predetto preliminare (cfr. pagg. 14 e 15 della sentenza impugnata).
A tale interpretazione la parte ricorrente contrappone una differente lettura del dato negoziale, senza tuttavia indicare quale criterio ermeneutico sarebbe stato, in ipotesi, violato dal giudice di merito, ma dolendosi in sostanza del risultato interpretativo, e dunque non confrontandosi con il principio secondo cui ‘La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio
di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrat tamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585).
Né si configura, nel caso di specie, una ipotesi di apparenza della motivazione, giacché quest’ultima non è apparente, né manifestamente illogica, ma è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati. Dispone la distrazione di detti importi in favore dell’AVV_NOTAIO.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda