Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27330 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27330 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14442 R.G. anno 2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME difesi dall’avvocato NOME COGNOME dall’avvocato NOME COGNOME ;
, rappresentati e , presso cui sono domiciliati, e controricorrente
avverso la sentenza n. 1942/2021 del 16 marzo 2021 della Corte di appello di Roma.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2 ottobre 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. ─ Con citazione notificata il 27 gennaio 2015, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE hanno convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE: gli attori hanno domandato che anzitutto venisse dichiarata l’invalidità del bilancio relativo all’esercizio 2013 e della relativa deliberazione di approvazione assunta dall’assemblea dei soci della convenuta; hanno inoltre richiesto che la medesima fosse condannata al pagamento in favore di COGNOME della somma di euro 653.270,00 a titolo di restituzione di finanziamenti ricevuti.
Hanno dedotto che con atto del 19 marzo 2008 si era attuata una scissione parziale di RAGIONE_SOCIALE, di cui erano soci NOME e NOME COGNOME: da tale scissione era nata la società RAGIONE_SOCIALE e con atto del 28 giugno 2013 i predetti NOME e NOME COGNOME avevano permutato le rispettive quote in modo da divenire il primo socio unico di RAGIONE_SOCIALE e la seconda socio unico di RAGIONE_SOCIALE. Gli attori hanno altresì precisato che nel patrimonio di quest’ultima era ricompreso un importo corrispondente a finanziamenti effettuati dai soci, come risultava dal bilancio dell’esercizio chiuso al 31 dicembre 2010, recante documentazione della cessione del credito vantato da COGNOME nei confronti della società ai predetti COGNOME: NOME COGNOME era dunque creditore di RAGIONE_SOCIALE, a titolo di rimborso per finanziamento soci, dell’importo complessivo di euro 1.153.270,00, pari al 50% dell’ammontare di finanziamenti indicati nel detto bilancio. Nella citazione è stato poi esposto che NOME COGNOME aveva ceduto parte del proprio credito, pari a euro 500.000,00, a RAGIONE_SOCIALE e che la cessione era stata comunicata alla società debitrice in data 1 maggio 2014; è stato inoltre dedotto che NOME COGNOME, in qualità di socio unico di RAGIONE_SOCIALE, aveva approvato il bilancio dell’esercizio 2013 cancellando il debito verso i soci che risultava riportato in tutti i bilanci precedenti; tale deliberazione, ad avviso degli
attori, doveva considerarsi nulla per illiceità dell’oggetto, essendo inveritiero il bilancio approvato, stante l’o messa indicazione del debito avente ad oggetto il rimborso degli attuali finanziamenti.
RAGIONE_SOCIALE si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attrici e domandando, in subordine, che si accertasse come dovuto un importo inferiore rispetto a quello preteso; in via riconvenzionale ha chiesto la condanna di NOME COGNOME al pagamento della somma di euro 407.755,67, salvo altra, anche previa compensazione del credito vantato dall’attore, in considerazione dei plurimi illegittimi prelevamenti posti in essere da quest’ultimo nel periodo in cui rivestiva la qualità di amministratore della società convenuta.
Il Tribunale di Roma ha respinto la domanda degli attori diretta all’accertamento della nullità del bilancio del 2013 e della relativa delibera di approvazione; ha tuttavia condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di NOME COGNOME, della somma di euro 653.270,00, oltre interessi; ha infine respinto la domanda riconvenzionale della convenuta.
2 . ─ La sentenza del Tribunale è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE.
La Corte gli appello di Roma, nella resistenza di RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME, ha rigettato, con sentenza del 16 marzo 2021, il proposto gravame.
Vi è ricorso per cassazione di RAGIONE_SOCIALE. L’impugnazione consta di tre motivi. La stessa è resistita con controricorso da RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME.
Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo di ricorso sono denunciate la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 2709 c.c., oltre che dell’art. 116 c.p.c. «per vizio nell’interpretazione delle scritture contabili e vizio nella
scelta e valutazione degli elementi probatori in atti». La Corte di appello non avrebbe tenuto in adeguata considerazione la consulenza tecnica d’ufficio svolta in altro giudizio avanti al Tribunale di Roma: consulenza che era pervenuta a risultati incompatibili con la decisione impugnata. Si rileva, inoltre, che NOME COGNOME era socio al 50% di RAGIONE_SOCIALE «della quale determinava le politiche di bilancio e curava in esclusiva la gestione contabile, anche in forza della sua qualifica di dottore commercialista»: si lamenta, così, che la Corte di merito non abbia considerato che il predetto «aveva tutto l’interesse a far risultare in tale società il credito per finanziamento soci».
Col secondo mezzo si oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. «per errata interpretazione della lettera del 15 marzo 2012». Il motivo verte sul significato attribuito dalla Corte di appello alla comunicazione predetta, la quale, ad avviso della ricorrente, non documentava affatto un trasferimento del credito da COGNOME in favore di NOME e NOME COGNOME. Il Giudice distrettuale, secondo la società istante, avrebbe impropriamente valorizzato la qualificazione data dalle parti all’oggetto della comunicazione: l’errore della Corte di appello sarebbe consistito nel «ritenere che tale comunicazione potesse assumere valenza di cessione di credito; al contrario si trattava di una lettera meramente ricognitiva di eventi asseritamente già verificatisi».
Col terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. « per errata interpretazione della scrittura privata del 24 dicembre 2010». Si deduce che con l’accordo documentato dalla ditta scrittura le parti avevano riconosciuto la congruità delle somme oggetto dei finanziamenti eseguiti da RAGIONE_SOCIALE COGNOME nelle società RAGIONE_SOCIALE, concordando che tali somme sarebbero rimaste nell’esclusiva disponibilità delle relative società e che non avrebbero potuto essere richieste da alcuna delle parti o dai loro eredi. La Corte
di appello avrebbe impropriamente trascurato il significato letterale da attribuire all’accordo; la stessa – è esposto aveva infatti rilevato che solo nel caso in cui la comune intenzione delle parti non risulti in modo certo e immediato dal testo contrattuale si configura il potere e dovere del giudice di ricercare quali siano le finalità ritualmente perseguite dalle parti mediante il ricorso alla valutazione del loro comportamento complessivo e agli altri criteri ermeneutici sussidiari.
2. – E’ utile riassumere, di seguito, quanto si legge nella sentenza impugnata a proposito del credito relativo al rimborso vantato da COGNOME. La Corte di appello ha osservato: che il Tribunale non aveva attribuito portata confessoria al bilancio del 2010 di RAGIONE_SOCIALE, limitandosi a valutarne le risultanze alla luce degli altri elementi di prova ed evidenziando che difettavano emergenze probatorie di segno contrario; che la valutazione operata dal Giudice di primae curae era conforme al principio per cui il bilancio di una società di capitali regolarmente approvato, al pari dei libri e delle scritture contabili dell’impresa soggetta a registrazione, fa prova, ai sensi dell’art. 2709 c.c., in ordine ai debiti della società medesima, il cui apprezzamento è affidato alla libera valutazione del giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento acquisito agli atti di causa; che, in ogni caso, il valore probatorio del bilancio regolarmente approvato quanto a debiti e crediti ivi chiaramente indicati è da ritenersi piena; che la comunicazione del 15 marzo 2012, a firma di COGNOME, aveva ad oggetto una «surroga nel finanziamento soci effettuato» oltre che una «quietanza liberatoria»; che nella stessa vi era espresso richiamo agli ultimi due assegni del complessivo importo di euro 300.000 consegnati a titolo di saldo del prezzo; che nella comunicazione in questione si chiedeva inoltre alla società destinataria di annotare nella contabilità il trasferimento del predetto importo ponendolo a credito, in egual misura, dei «predetti signori» (cioè, si intende, NOME e NOME COGNOME); che il contenuto della scrittura del 24
dicembre 2010 e il contesto fattuale che l’aveva preceduta, ossia l’assetto delle società di famiglia che si era inteso realizzare mediante le permute tra i quattro fratelli, giungendo ad attribuire a due di essi l’intero capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE e ad altri due, nelle persone di NOME e NOME COGNOME quello di RAGIONE_SOCIALE, portava a ritenere che i fratelli avessero inteso rinunciare esclusivamente ai crediti derivanti dai finanziamenti effettuati in favore delle società di cui non erano più soci, per effetto di una precedente permuta (intercorsa tra i quattro fratelli COGNOME nel 2006), «ciò in quanto tale lettera è l’unica compatibile con il comportamento successivamente tenuto da NOME e NOME COGNOME che, in quanto soci al 50% e, NOME anche amministratore di RAGIONE_SOCIALE, hanno approvato negli anni successivi i relativi bilanci nei quali, fino al 2013, il debito per finanziamento soci risultava inserito e, in parte, ridotto a seguito di parziali rimborsi intervenuti»; che l’aver mantenuto in bilancio il conto finanziamento soci, appostandosi gli importi risultanti dai bilanci precedenti e le riduzioni derivanti dai rimborsi effettuati successivamente alla conclusione dell’accordo del 24 dicembre 2010, induceva ad escludere che con tale atto NOME e NOME COGNOME avessero inteso rinunciare al credito da loro vantato quali soci nei confronti di RAGIONE_SOCIALE; che la tesi sostenuta dalla società appellante circa il carattere meramente fittizio della posta « finanziamento soci» non trovava adeguato riscontro e non si esprimeva «in termini ultimativi sulla circostanza» neppure il consulente tecnico d’ufficio nominato nel giudizio R.G. n. 344/2015 relativo alla determinazione dei conguagli relativi all’operazione di scissione; che, infine, per la giurisprudenza di questa S.C., all’elemento letterale non può attribuirsi carattere prioritario in senso assoluto.
– Ciò posto, il primo motivo è inammissibile per più ragioni. Anzitutto la ricorrente si duole della mancata considerazione delle risultanze di una consulenza tecnica svolta in altro giudizio (R.G. n.
29882/2014), ma non chiarisce se tale argomento fosse stato fatto valere in sede di merito, né spiega se l’elaborato in questione venne acquisito dal Tribunale o dalla Corte di appello nella precedente fase del giudizio; tantomeno fornisce precisi ragguagli quanto al preciso contenuto dell’elaborato : anche a ritenere che la questione veicolata dalla censura non abbia carattere di novità e anche a credere che la consulenza in questione fosse stata prodotta, la società istante era infatti onerata, per il principio di autosufficienza, di operarne in questa sede il riassunto o la trascrizione dei passaggi essenziali (Cass. 19 aprile 2022, n. 12481).
La censura circa la violazione dell’art. 1362 c.c. deve ritenersi proposta in modo irrituale. Infatti, l ‘accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c.. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 9 aprile 2021, n. 9461; Cass. 16 gennaio 2019, n. 873; Cass. 15 novembre 2017, n. 27136; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass. 31 maggio 2010, n. 13242; Cass. 9 agosto 2004, n. 15381).
Con riferimento alla denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 2709 c.c., il motivo mostra poi di non confrontarsi con la sentenza impugnata, la quale risulta essersi conformata al principio di
diritto, enunciato da questa Corte, per cui il bilancio di una società di capitali regolarmente approvato, al pari dei libri e delle scritture contabili dell’impresa soggetta a registrazione, fa prova, ai sensi dell’art. 2709 c.c., in ordine ai debiti della società medesima, il cui apprezzamento è affidato alla libera valutazione del giudice del merito (Cass. 18 febbraio 2016, n. 3190, citata dalla Corte di appello; Cass. 14 marzo 2013, n. 6547): e sul punto il Giudice distrettuale ha conferito correttamente rilievo, come si è visto, alla circostanza per cui nei bilanci relativi agli esercizi fino al 2013 il debito per finanziamento soci e i rimborsi parziali eseguiti risultavano regolarmente contabilizzati. Né la ricorrente può dolersi delle valutazioni di fatto che la Corte territoriale ha tratto da quelle risultanze, che sono state apprezzate unitamente agli altri elementi acquisiti al giudizio: la valutazione del materiale probatorio, in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante, costituisce infatti espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (Cass. 21 dicembre 2022, n. 37382; nel senso che l’esame e la valutazione dei documenti di causa, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, cfr. pure, ad es.: Cass. 31 luglio 2017, n. 19011; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056).
È inammissibile, da ultimo, la censura concernente l’applicazione dell’art. 116 c.p.c.: e ciò in quanto la ricorrente intende con essa contestare siano condivisibili le conclusioni che la Corte di appello ha tratto dalle risultanze probatorie portate al suo esame: laddove la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa
indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass.9 giugno 2021, n. 16016).
4 . -Il secondo motivo è pure inammissibile.
In primo luogo, non è operata la trascrizione o il riassunto della lettera del 15 marzo 2012: sul punto viene dunque in essere un difetto di autosufficienza. Il mezzo di censura mostra inoltre di non cogliere il preciso portato della decisione assunta dalla Corte territoriale con riguardo all’interpretazione della dichiarazione contenuta nella predetta missiva: trascura infatti di considerare che il senso di detta dichiarazione non è stato desunto, in via esclusiva, da ciò che nella sentenza impugnata è indicato come oggetto della dichiarazione stessa (in termini di «surrogazione» e «quietanza»), ma, altresì, dalla richiesta a RAGIONE_SOCIALE «di annotare nella contabilità il trasferimento del predetto importo» (quello, si intende, erogato da COGNOME, da cui si originava il credito per il rimborso del finanziamento dalla stessa eseguito verso la società) in favore di NOME e NOME COGNOME. Nel ribadire, in questa sede, ciò che aveva dedotto con l’appello – e cioè che la comunicazione in parola avrebbe il significato di una «lettera meramente ricognitiva di eventi asseritamente già verificatesi» e non, quindi il diverso valore di un atto traslativo del credito (in favore dei nominati COGNOME) – la ricorrente omette di considerare che il sindacato di legittimità non può investire il
risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito (Cass. 9 aprile 2021, n. 9461; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465): sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che era stata privilegiata l’altra (Cass. 27 giugno 2018, n. 16987; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319).
5. Il terzo motivo è invece infondato, in quanto con esso si pretenderebbe di neutralizzare , in nome dell’asserita chiarezza del dato testuale, il percorso interpretativo seguito dalla Corte, segnato dalla valorizzazione della condotta complessiva dei contraenti.
Viene in questione la disciplina pattizia contenuta nella scrittura dl 24 dicembre 2010, intercorsa tra le società e i rispettivi soci, ove era stato previsto «che le somme oggetto di finanziamento conto soci determinate e corrisposte dalla Sig.ra COGNOME NOME sono state, a tutt’oggi, tra tutti i fratelli COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, riconosciute congrue e corrette e rimanendo tali somme per il proprio importo di esclusiva responsabilità delle relative società, che mai potranno essere richieste da alcuno, familiari ed eredi compresi, a nessun titolo di compensazione». Come si è visto, la Corte di merito ha ricostruito il senso di tale pattuizione spiegando che l’opzione interpretativa in base al la quale i fratelli avevano «inteso rinunciare esclusivamente ai crediti derivanti dai finanziamenti effettuati in favore delle società di cui non erano più soci» si spiegava tenendo conto sia dei nuovi assetti proprietari relativi alle quote sociali, sia del comportamento successivamente tenuto da NOME e NOME COGNOME (comportamento consistente nella ripetuta annotazione del credito per finanziamenti nei bilanci della società, ove erano stati registrati pure i rimborsi volta per volta intervenuti).
Sul punto la sentenza impugnata si sottrae a censura. A norma dell’art. 1362 c.c., il dato testuale del contratto, pur importante, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare, atteso che un’espressione prima facie chiara può non risultare più tale se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti; ne consegue che l’interpretazione del contratto, da un punto di vista logico, è un percorso circolare che impone all’interprete, dopo aver compiuto l’esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l’intenzione delle parti e quindi di verificare se quest’ultima sia coerente con le restanti disposizioni del contratto e con la condotta delle parti medesime (Cass. 8 novembre 2022, n. 32786; Cass. 10 maggio 2016, n. 9380): nell’interpretazione del contratto, il carattere prioritario dell’elemento letterale non deve essere cioè inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici, anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti; pertanto assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all’art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti (Cass. 2 luglio 2020, n. 13595; Cass. 26 luglio 2019, n. 20294).
– In conclusione, il ricorso è respinto.
– Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 14.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell a ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione