Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2409 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2409 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13281/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e di fesa dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappres. e dif esa dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la sentenza d ella Corte d’appello di Brescia, n. 1531/22, pubblicata in data 19.12.2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14.01.2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c.la RAGIONE_SOCIALE conveniva innanzi al Tribunale di Brescia la RAGIONE_SOCIALE esponendo che: con scrittura privata del 18.01.2018, la deducente si era obbligata verso la convenuta, divenuta licenziataria del marchio RAGIONE_SOCIALE a rivendere i prodotti rimasti invenduti al costo di acquisto maggiorato del 25% e dei relativi costi doganali; nel mese di giugno 2018 il legale rappresentante della convenuta aveva proposto l’acquisto dell’invenduto come da accordo del 18.01.2018, a determinate condizioni, proposta che veniva accettata dalla RAGIONE_SOCIALE , ma RAGIONE_SOCIALE con lettera del 12 giugno 2018, una volta ricevuta parte della merce, aveva dedotto di rispettare le obbligazioni assunte e manifestato il proposito di acquistare la merce invenduta ad un prezzo ribassato del 40% per via della realizzazione dei prodotti in modo grossolano.
Alla luce di queste premesse, parte ricorrente esponeva che RAGIONE_SOCIALE, nella qualità di parte acquirente, aveva costantemente rifiutato la consegna della merce, e ogni forma di collaborazione in ordine alla corretta preparazione delle merci oggetto di spedizione e consegna, da cui la richiesta di un danno complessivo di euro 149.397,00 oltre iva, e di 121.507,51 oltre I.V.A. per complessivi 280.720 paia di calze RAGIONE_SOCIALE, e per 59.997 paia di calze RAGIONE_SOCIALE (precedente licenziataria del marchio UMBRO), oltre ai costi di importazione e costi degli ologrammi. Parte convenuta eccepiva l’incompetenza per materia del Tribunale ordinario in quanto la causa era connessa con l’esercizio dei diritti di uso di marchi registrati e, nel merito, spiegava domanda riconvenzionale, chiedendo il pagamento delle royalties , ossia il 25% del prezzo pagato ai produttori della merce 50.587,42 oltre interessi moratori.
Il Tribunale emetteva ordinanza con cui rigettava la domanda attorea e accoglieva la riconvenzionale, condannando parte ricorrente al pagamento del minor importo di euro 50.548,75 oltre interessi ex artt. 4, 5 del d.lgs. 231/2002 dalla scadenza della fattura 14.03.2008 n. 761 al saldo.
Proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE a cui resisteva la RAGIONE_SOCIALE La Corte territoriale, nel pronunciarsi sui motivi di gravame proposti dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza ex art. 703 c.p.c. resa dal Tribunale di Brescia, rigettava l’impugnazione, osservando che: anzitutto, la domanda riconvenzionale proposta dalla RAGIONE_SOCIALE non doveva essere decisa dalla Sezione specializzata per le imprese, non sussistendone la relativa competenza, a norma dell’art. 134, d.l. n. 30/2005, in quanto, sebbene il diritto al pagamento delle royalties dipendesse dalla titolarità del marchio RAGIONE_SOCIALE, non vi era contestazione sul marchio e su i diritti contestati; l’accordo concluso nel mese di gennaio 2018, su cui la ricorrente aveva in sostanza fondato le proprie pret ese connesse all’inadempimento dell’impegno assunto con tale contratto di riacquisto da parte della RAGIONE_SOCIALE (nei riguardi della Proctor) della merce rimasta invenduta, non avrebbe avuto la dedotta portata ‘vincolante’, trattandosi di contratto -quadro’; dopo la conclusione di tale contratto non erano state concluse altre intese e/o non si erano verificate le ulteriori condizioni proposte da New Age tali da far ritenere che la resistente fosse per l’appunto obbligata al riacquisto della merce, come tale inadempiente e, quindi, debitrice della RAGIONE_SOCIALE
Sulla scorta di tali considerazioni in fatto e diritto, la Corte distrettuale respingeva la domanda attorea, laddove anche in primo grado era stata rigettava ma su diversi presupposti giuridici, ossia con una diversa motivazione del Tribunale che, in effetti, aveva inizialmente rigettato
la domanda attorea dopo aver qualificato il richiamato accordo come un ‘patto di opzione’ per il quale la società resistente, in quanto licenziataria esclusiva del marchio di abbigliamento RAGIONE_SOCIALE, non avrebbe assunto l’impegno al riacquisto della merce rima sta invenduta, ma si sarebbe semplicemente riservata la semplice facoltà di farlo.
Al riguardo, la Corte d’appello ha affermato che: il credito della RAGIONE_SOCIALE non era stato contestato nel quantum e, comunque, era stato sufficientemente dimostrato dall’appellata, assumendo altresì che il credito trovava la sua fonte nell’accordo stipulato nel mese di gennaio 2018, che prevedeva l’o bbligo della Proctor di versare in favore della RAGIONE_SOCIALE, quale nuova ‘licenziataria esclusiva del brand RAGIONE_SOCIALE per il territorio italiano’ (come specificato al punto 3 della premessa) le ‘ royalties ‘ nella misura pari al 25 % del costo versato ai produttori, convenuta al punto 5) del contratto; il motivo di appello non era stato esplicitato con la necessaria chiarezza; parte appellante non aveva prodotto in questo grado i documenti di cui aveva fatto menzione nel suo atto di impugnazione; in primo grado, la Proctor non si era costituita in via telematica ed aveva allegato un fascicolo cartaceo che in sede d’appello non è stato prodotto; nella scrittura privata del 18.01.2018, intercorsa tra le parti in causa e RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione, esse avevano dichiarato preliminarmente che: dal 18 ottobre 2017, la RAGIONE_SOCIALE era divenuta licenziataria del marchio RAGIONE_SOCIALE, che in precedenza era in capo alla RAGIONE_SOCIALE; in data 2.10.2017, la RAGIONE_SOCIALE aveva perfezionato con la licenziante RAGIONE_SOCIALE, un contratto di fornitura di ben 518.053 paia di calze a marchio RAGIONE_SOCIALE commissionate a fornitori extra UE, ma proprio per effetto della cessione di licenza, RAGIONE_SOCIALE aveva attestato di non poter inviare gli ologrammi chiesti dalla Pressing in assenza di autorizzazione del nuovo licenziatario; RAGIONE_SOCIALE nella qualità di
nuova titolare del contratto di licenza di cui sopra, aveva autorizzato la trasmissione degli ologrammi necessari per completare i processi produttivi, e si era impegnato ad intervenire presso la licenziante per consentire l’evasione della fornitura, e a sua volta , la Proctor si era obbligata a pagare i fornitori della merce in luogo della New Age, a trasmettere a quest’ultima i report, a concludere contratti di vendita all’interno del mercato italiano, a versare alla stessa società il corrispettivo pari al 25% di quello pagato ai produttori, e a rivendere la merce invenduta entro la data del 15 giugno 2018 al costo di acquisto con maggiorazione del 25%; la semplice lettura della scrittura, inquadrabile in una sorta di accordo-quadro, evidenziava già in modo chiaro che la società appellata non aveva assunto lo specifico obbligo di accettare la merce invenduta; dalla documentazione versata in atti da parte appellata emergeva poi che, in data 4.6.2018, essa aveva scritto alla Proctor manifestando l’intenzione d i acquistare ‘ franco-magazzino ‘ presso la sede della sua logistica; in data 12 giugno 2018, la New Age aveva scritto che i prodotti erano stati realizzati in modo grossolano, ivi compreso il logo, e che dunque la facoltà di riacquisto era subordinata ad una riduzione del prezzo del 40% e che, comunque, mancavano ancora la liberatoria da parte dei fornitori, i report periodici e gli ologrammi residui non utilizzati; in pari data la Proctor aveva respinto le accuse comunicando di aver girato il tutto ai legali di fiducia; sulla scorta di tale scritture, non solo non esisteva alcun obbligo contrattuale dell’appellata di acquistare l’invenduto dell’appellante , ma che nessun accordo successivo si era perfezionato tra le parti affinché la stessa RAGIONE_SOCIALE acquistasse le merci invendute al prezzo convenuto nella scrittura del 18.01.2018; nelle successive trattative, quest’ultima aveva imposto determinate condizioni per l’acquisto della merce invenduta , quali obbligazioni
accessorie, mai riscontrate dalla controparte, tra cui la preventiva prova di aver pagato i produttori; non era stato provato che l’appellante avesse adempiuto queste obbligazioni accessorie e dunque, anche sotto questo profilo, era da ritenere che nessun accordo di riacquisto fosse stato perfezionato
La RAGIONE_SOCIALE ricorre in cassazione avverso la suddetta sentenza della Corte d’appello con quattro motivi, illustrati da memoria. La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 134, comma 1, lett. a) del D.lgs. n. 30/2005, 702 bis e 702 ter c.p.c. ai s ensi dell’art. 360 c.p.c. n. 2.
In via preliminare, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello ha escluso che la domanda riconvenzionale – avente per oggetto il pagamento di ‘ royalties ‘ in favore della RAGIONE_SOCIALE, quale unico soggetto licenziatario del marchio RAGIONE_SOCIALE secondo il contratto stipulato – rientrasse tra le controversie riservate alla competenza delle Sezioni specializzate per le imprese , ritenendo che la questione della titolarità del marchio e/o dello sfruttamento dello stesso in capo alla società appellata non fosse in realtà oggetto di contestazione tra le parti, e che la domanda proposta aveva avuto unicamente quale oggetto il pagamento di somme di denaro.
Al riguardo, la ricorrente assume che: la decisione impugnata si risolve anzitutto nella violazione e/o falsa applicazione dell’art. 134 del D.lgs. n. 30/2005 (che, per l’appunto, specifica quali cause sono devolute alla competenza delle Sezioni specializzate per le imprese), a tenore del quale, oltre alle controversie relative ad eventuali atti di concorrenza sleale, sono devolute alle Sezioni specializzate anche le controversie in materia di proprietà industriale ‘ con esclusione ‘ delle fattispecie che
‘ non interferiscono neppure indirettamente ‘ con l’esercizio del relativo diritto di privativa industriale in capo al titolare; la causa ha per oggetto il pagamento di royalties e questo rende di per sé non del tutto indipendente la domanda dalla questione della titolarità del marchio relativo agli articoli di abbigliamento contraddistinti dal marchio RAGIONE_SOCIALE; la domanda riconvenzionale, infatti, traeva origine da un contratto nel quale la titolarità del marchio in capo alla New Age era chiaramente rappresentata e necessariamente presupposta, sia sul piano letterale che su quello logico e giuridico, tanto essendo sufficiente a ritenere che la controversia sia indirettamente connessa all’esercizio del diritto allo sfruttamento del marchio in capo a lla stessa appellata- anche se la titolarità del marchio non era controversa – così radicando la competenza della Sezione specializzata per le imprese del Tribunale di Milano; pertanto, la Corte territoriale, ritenendo che la titolarità del marchio in capo alla convenuta non era contestata, e che ciò stesso escluderebbe la devoluzione della controversia alla Sezione specializzata, in ragione del fatto che il giudizio ha ad oggetto il semplice pagamento di somme di denaro, non contestate nel quantum , avrebbe chiaramente e indubbiamente operato una forzatura nell’interpretazione e nell’applicazione della richiamata disposizione normativa (art. 134 del D.lgs. n. 30/2005).
A sostegno di tale interpretazione, si adduce altresì che il richiamato articolo del D.lgs. escluderebbe la competenza della Sezione specializzata solo nel caso (eccezionale), da intendersi restrittivamente, che non esisteva la benché minima interferenza, neppure indiretta, con l’esercizio del diritto di proprietà industriale, laddove, nella specie, il pagamento delle royalties in virtù di un regolare accordo di licenza del marchio , doveva invece ritenersi una tipica attuazione di detto diritto.
Il secondo motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., in particolare degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367 e 1371 in tema di interpretazione del contratto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. , per aver la Corte d’appello interpretato l’accordo delle parti in maniera erronea, illogica e contraddittoria, poiché la sentenza impugnata aveva propugnato un’interpretazione degli accordi conclusi ( in primis, del contratto sottoscritto dalle parti in data 18.01.2018), e più in generale dei successivi fatti di causa (e delle successive trattative seguite a tale intesa), certamente contraria al chiaro significato letterale della volontà espressa dalle parti, come tale manifestamente viziata e palesemente illogica, anche considerando che l ‘accordo sig lato nel gennaio 2018 contemplava impegni reciproci e corrispettivi, senz’altro vincolanti per entrambe le parti, laddove alla RAGIONE_SOCIALE era stato riconosciuto il diritto di vendere la merce rimasta invenduta alla RAGIONE_SOCIALE s.p.a., che in tal senso doveva ritenersi espressamente obbligata.
In particolare, la ricorrente assume che: il suddetto accordo prevedeva testualmente che, a fronte dell’obbligo assunto da lla Proctor di versare alla New Age un corrispettivo pari al 25% del prezzo corrisposto ai produttori, per evadere l’ordine di fabbricazione della merce , autorizzato dalla stessa RAGIONE_SOCIALE quale nuovo titolare del contratto di licenza del marchio UMBRO, la stessa Proctor s’i mpegnava a farsi carico dei costi di produzione della merce già ordinata, assicurandosi, con l’assenso della controparte, i l diritto di vendere la merce a terzi, obbligata altresì a rendicontare le dette operazioni di vendita alla convenuta, nonché a consegnare alla licenziataria New Age le eventuali giacenze di magazzino; in tal senso deponeva la mail del 01.06.2018, con la quale quest’ultima aveva comunicato di aver analizzato la giacenza di magazzino, dichiarandosi ‘ disponibile al suo riacquisto
(come da contratto stilato tra le parti in data 18.01.2018) ‘ e che ancora in data 04.06.2018, aveva comunicato alla ricorrente la volontà di ‘ aggiornarsi … per la consegna della merce in giacenza’; tali comunicazioni, successive all’accordo siglato il 18.01.2018, confermavano dunque l’esistenza più a monte di un impegno reciproco alla vendita e al riacquisto delle giacenze di magazzino e la piena vincolatività della precedente intesa, per cui la tesi espressa dalla Corte territoriale, secondo cui tale scrittura sarebbe da qualificarsi come una sorta di ‘ accordo quadro ‘, priva cioè di una vera e propria efficacia e portata vincolante per la resistente, era del tutto infondata, considerando, infatti, che nella citata scrittura, al punto 6) delle premesse contrattuali, era detto testualmente che era intenzione delle parti ‘ di evitare l’insorgenza di future controversie, disciplinando e regolamentando l’esecuzione del predet to ordine in favore di RAGIONE_SOCIALE ‘ , senza richiamo ad eventuali possibili altre intese future.
La ricorrente, pertanto, lamenta che la contestata motivazione avrebbe violato non solo l’art. 1362 c.c.- che impone di interpretare gli accordi avendo comunque riguardo, anzitutto, al tenore letterale degli stessima anche l’art. 1367 c.c.- a mente del quale, nel dubbio, impone al g iudice di interpretare l’accordo o singole clausole nel senso in cui esse possono avere qualche effetto- e l’ art. 1371 c.c.- che impone, in ultima analisi, all’interprete di valutare l’accordo (ove il s uo significato permanga oscuro) operando un equo bilanciamento degli interessi delle parti, in quanto la Corte d’appello avrebbe adottato un’interpretazione di tale intesa tutta a favore della New Age, così di fatto sbilanciando il sinallagma contrattua le e l’assetto complessivo della intesa raggiunta.
Il terzo motivo denunzia violazione, falsa e/o omessa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e degli art. 2730 e 2735 c.c., in relazione
all’art. 360 c.p.c. n. 3 e 5, per aver la Corte d’appello omesso l’esame dei documenti provenienti da controparte, aventi come tali chiara valenza confessoria, che smentivano l’assunto della Corte secondo cui il contratto del 18.01.2018 sarebbe un semplice ‘ accordo quadro ‘ e che dunque la RAGIONE_SOCIALE non sarebbe stata obbligata al riacquisto della merce invenduta ed a riceverla in consegna in forza dell’accordo da essa espressamente richiamato (con particolare riguardo alle suddette missive indirizzate alla Proctor).
Il quarto motivo denunzia v iolazione e/falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., per omessa e/o contraddittoria motivazione della sentenza che, nel ritenere che l’accordo del 2018 fosse un accordo -quadro non vincolante tra le parti, ha poi illogicamente accolto nel merito la domanda riconvenzionale fondandola proprio sull’intesa in questione, attribuendo cioè nei fatti pieno valore vincolante a tale asserito contratto.
Il primo motivo è inammissibile, perché in violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c., non risulta indicato se l’eccezione di incompetenza funzionale sia stata tempestivamente eccepita all’esito della proposizion e della domanda riconvenzionale.
La doglianza è comunque infondata perché il diritto di credito azionato non richiede, neanche solo indirettamente, l’accertamento dell’esistenza di un diritto di proprietà industriale . Invero, è stato affermato che, in tema di competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa, la necessità di un accertamento incidentale della violazione dei diritti d’autore, quale questione tecnicamente pregiudiziale, costituisce ragione di connessione rilevante ai fini dell’attrazione della controversia principale alla competenza specialistica della sezione specializzata in materia di impresa. Tale competenza deve essere verificata in base all’originaria prospettazione
contenuta nella causa petendi ” posta a fondamento della domanda attorea, senza che rilevino le contestazioni del convenuto, non essendo il giudice tenuto a svolgere una apposita istruttoria per verificare eventuali allegazioni contrarie (Cass., n. 2331/2023).
Nella specie, viene in rilievo una domanda di pagamento delle royalties , quale adempimento del contratto di utilizzo del marchio Umbro a favore del titolare, mentre l’oggetto del giudizio – secondo la prospettazione dell’attore in riconvenzionale e la relativa causa petendi – non riguarda l’accertamento incidentale della titolarità del marchio, né altre questioni interferenti con il petitum .
Il secondo motivo è inammissibile. P osto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass., n. 9461/2021; n. 27136/2017).
Nella specie, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe male interpretato l’accordo del 2018, in relazione alla comune volontà delle parti, senza tener conto del loro comportamento complessivo, anche successivo, ma senza in sostanza indicare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni
legali assunti come violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti; la ricorrente ha infatti contrapp osto alla motivazione della Corte d’appello una propria interpretazione dei fatti, in ordine alla specifica questione se il suddetto accordo contemplasse l’obbligo della New Age di acquisto della merce invenduta con prezzo ribassato.
Né in tal senso giova alla ricorrente il riferimento alle mail del 4.6.2018 e in data successiva, vertendosi in tema di mera interpretazione dei fatti.
Il terzo motivo è inammissibile per una serie di ragioni. Anzitutto, ricorre una ‘ doppia conforme ‘ quanto al vizio motivazionale; inoltre, sussiste la violazione dell’art. 366 n. 6 c .p.c. quanto ai documenti invocati, non essendo stato precisato se essi rientravano fra quelli per cui la Corte ha rilevato la mancata produzione in appello.
In ogni caso, la doglianza esprime una confutazione del giudizio di fatto , tendendo al riesame del merito in ordine alla mancata qualificazione delle suddette mail come confessione dell’obbligo di acquistare la merce invenduta; invero, il riferimento al fatto che la RAGIONE_SOCIALE si dichiarava ‘ disponibile al … riacquisto come da contratto stilato tra le parti in data 18.01.2018 ‘ , così avendo manifestando la sua intenzione di ‘ aggiornarsi… per la consegna della merce in giacenza, non è risolutivo, in quanto le espressioni riportate sono state intese dalla Corte d’appello come non univoche nel loro significato letterale.
Pertanto, la critica è diretta a contrapporre alla motivazione contestata una diversa interpretazione dei fatti.
Il quarto motivo è infine parimenti inammissibile, in quanto deduce in sostanza il vizio di contraddittorietà della motivazione, espunto dall’ordinamento e dunque non applicabile ratione temporis; inoltre,
non c’è contraddittorietà nel desumere da un accordo, pur inteso come quadro in senso lato, come ha fatto la C orte, l’esistenza di obb lighi e l’inesistenza di altri, trattandosi di questione di interpretazione della volontà negoziale.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di euro 4.200,00 di cui 200,00 per esborsi, e al pagamento delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio in data 14 gennaio 2025.