Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16827 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 16827 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19760-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
Oggetto
R.G.N. 19760/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 19/03/2025
CC
avverso la sentenza n. 255/2024 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 24/07/2024 R.G.N. 641/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Torino, in riforma di sentenza del Tribunale di Alessandria, ha condannato la società RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 17.566, 65, oltre accessori, in favore di NOME COGNOME a titolo di compenso non percepito in forza di contratto di consulenza e assistenza tecnico-commerciale con scadenza 30.6.2022, risolto anticipatamente dalla società con lettera 30.3.2022 per asserito venir meno del requisito di carattere fiduciario alla base dell’incarico;
a fondamento della propria decisione, la Corte di Torino, interpretando il contratto inter partes con durata predeterminata alla luce dell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, se le parti hanno assegnato un termine al contratto, è possibile un recesso anticipato solo per giusta causa, con diritto del prestatore al risarcimento del danno in caso di sua insussistenza, ferma restando la necessità di verifica se l’apposizione del termine abbia il mero significato di durata massima della pattuizione, ovvero per contro significhi rinuncia ad avvalersi della facoltà di recesso prima dello spirare del termine, individuata, nel caso di specie, una volontà comune delle parti di rinuncia ad avvalersi della facoltà di recesso se non per giusta causa, ha ritenuto mancante la prova dell’asserita condotta illecita del collaboratore posta alla base del recesso anticipato, giudicato pertanto illegittimo;
avverso la predetta sentenza la società propone ricorso per cassazione affidato a unico articolato motivo, cui resiste controparte con controricorso, illustrato da memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. e 2237 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente affermato, in accoglimento del secondo motivo di appello, che, avendo le parti indicato un termine finale per il rapporto di collaborazione, con ciò avessero inteso escludere la facoltà del committente di recedere ad nutum prima della scadenza contrattuale;
il motivo è inammissibile;
la censura di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, al pari di quella per vizio di motivazione, non può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione, posto che, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito -alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – censurare in sede di legittimità il fatto che sia stata privilegiata l’altra; per il principio di autonomia del ricorso per cassazione ed il carattere limitato di tale mezzo di impugnazione, si deve escludere l’ammissibilità di una sostanziale prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice di merito, di cui si chiede a tale stregua un riesame, inammissibile in sede di
legittimità; posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (v. Cass. n. 14270/2024, n. 33425/2022, n. 9461/2021, n. 27702/2020, n. 16368/2014, n. 24539/2009, n. 10131/2006);
le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza; alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue altresì il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 3.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nell ‘ Adunanza camerale del 19 marzo