Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34880 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34880 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15431/2023 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in MILANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 768/2023 depositata il 05/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1. la Corte di Appello di Brescia, con sentenza 5 maggio 2023, n. 768, chiamata quale giudice del rinvio, ad affrontare nuovamente la questione al centro della controversia tra NOME COGNOME da un lato e NOME COGNOME e NOME COGNOME dall’altro, relativa all’interpretazione del contratto del 10 luglio 1962 – con cui NOME COGNOME, dante causa di NOME COGNOME sosteneva di avere acquistato la proprietà di alcuni terreni estrattivi nel Comune di Paitone, da NOME COGNOME dante causa di NOME COGNOME mentre i convenuti sostenevano avesse acquistato solo un ‘diritto di superficie sul sottosuolo’ finalizzato alla escavazione di marmo e pietre – ha affermato che il contratto doveva essere interpretato nel senso che NOME COGNOME aveva acquisto la piena proprietà dei suddetti mappali.
La Corte di Appello ha ricordato che la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27256 dell’11 luglio 2018 aveva delineato i termini della indagine da compiere evidenziando che i contratti di diritto privato aventi per oggetto lo sfruttamento di cave possono assumere configurazioni giuridiche diverse, a seconda dell’intenzione dei contraenti (una vendita immobiliare, quando il negozio abbia ad oggetto il giacimento nella sua complessiva stratificazione intesa in unità di superficie e di volume e ne sia previsto il completo trasferimento per un prezzo commisurato al volume dell’intera cava; una vendita mobiliare, se le parti abbiano invece considerato il prodotto dell’estrazione, ragguagliato a peso o a misura; un contratto riconducibile nello schema dell’affitto, quando l’intenzione dei contraenti sia invece finalizzata allo scopo di consentire il godimento temporaneo del bene secondo la sua
destinazione) e che, nel caso in esame, essendo ‘controverso se il contratto stipulato tra le parti consistesse in una vendita immobiliare (avendo, cioè, il negozio ad oggetto i tre terreni montani nella loro intera consistenza dietro il corrispettivo di un prezzo commisurato al volume dell’intera cava) ovvero in una vendita mobiliare di massa di cose future (vendita del prodotto di estrazione, la quale, però, postula la considerazione e determinazione della quantità o misura da estrarre, nonché del termine temporale di estrazione)’, occorreva procedere alla qualificazione giuridica dell’operazione negoziale in base ad un’interpretazione del contratto condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale dettate dagli art. 1362 e ss. c.c. dando rilievo, in via prioritaria, al criterio fondato sul significato letterale delle parole.
La Corte di Appello ha quindi proceduto ad interpretare il contratto pervenendo alla conclusione che fosse da qualificarsi come contratto di compravendita della piena proprietà dei terreni.
A tale conclusione la Corte di Appello è pervenuta osservando che:
i contraenti avevano utilizzato ‘ripetutamente’ espressioni indicative della intenzione di compravendere i terreni (‘cede’; ‘vende’; ‘acquista i terreni’; ‘compratore’; venditore’; ‘Detti terreni vengono venduti ed acquistati nello stato di fatto e di diritto nei quali attualmente di trovano (…) con la trasmissione immediata della proprietà e del possesso nel compratore (…) Il venditore garantisce la proprietà degli immobili in contratto’);
tali espressioni non consentivano di ipotizzare che l’intenzione fosse stata quella di affittare i terreni né quella di compravendere il prodotto di estrazione. A questo proposito la Corte di Appello ha aggiunto che l’intenzione di compravendere il prodotto non poteva desumersi dal titolo del contratto -“compravendita per escavazione di marmo e pietra similare”-, atteso il significato proprio delle parole del titolo e delle altre espressioni già ricordate, atteso inoltre
che, come sottolineato nella sentenza della Corte di Cassazione n. 27256/2018, ‘il giudice non è vincolato dal nomen iuris adoperato dalla parti’, ed atteso infine che il prezzo della compravendita era stato fissato in modo unitario (‘Lire 265.000’) e non in riferimento ‘alla quantità o alla misura del prodotto da estrarre’;
non poteva ipotizzarsi che le parti avessero voluto compravendere il solo sottosuolo né che il contratto fosse titolo costitutivo traslativo di una ‘servitù sul sottosuolo’. Non vi era alcun riferimento al ‘trasferimento del solo diritto di superficie sul sottosuolo con mantenimento della proprietà del suolo al venditore’. L’espressione ‘il compratore intende coltivare nei detti terreni montani una cava di pietra o marmo e quindi sfruttare intensivamente il sottosuolo … il compratore ha diritto di esercitare l’escavazione nel modo e come meglio crederà … impiantarvi linee elettriche, condutture , baracche, macchinari, costruzioni, scivoli e quant’altro utile e necessario ed aprirvi strade’, non esprimeva la volontà di compravendere la proprietà del solo sottosuolo perché era da leggersi insieme alla clausola finale del contratto (‘il compratore avendo effettuato il presente acquisto per coltivarvi l’escavazione del marmo e pietra similare intende beneficiare della tassa fissa di registro prevista dalla l.29 dicembre 1949, n.955, art.4’) cosicché risultava essere stata introdotta al fine di permettere al compratore di ottenere il beneficio fiscale della applicazione dell’imposta fissa. Ad escludere che l’intenzione delle parti fosse stata di compravendere il sottosuolo o il diritto di superficie sul sottosuolo stavano anche la clausola per cui “tutta la legna, erba e pattume resteranno a beneficio del venditore, suoi eredi e successori” -dato che tale clausola non avrebbe avuto alcun senso pratico se la compravendita avesse riguardato il sottosuoloe la clausola per cui era costituita una servitù di passo a favore dei mappali compravenduti gravante ‘sui restanti immobili’ del venditore, dato che se la compravendita avesse riguardato il
sottosuolo la clausola avrebbe dovuto prevedere la costituzione della servitù non sui restanti immobili del venditore ma sul ‘soprasuolo’ rimasto al venditore.
La Corte di Appello, ritenuto che col contratto in questione le parti avessero voluto vendere la piena proprietà dei terreni, si pronunciava anche sulla qualificazione del diritto su “tutta la legna, erba e pattume resteranno a beneficio del venditore, suoi eredi e successori”, qualificando tale diritto come diritto d’uso ed escludendo che esso fosse perento per non uso;
2.per la cassazione della sentenza della Corte di Appello, NOME COGNOME ricorre con un motivo avversato da NOME COGNOME con controricorso;
la causa perviene al collegio in adunanza camerale su istanza della ricorrente a seguito di proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c. di inammissibilità del ricorso;
le parti hanno depositato memorie;
considerato che:
il Collegio, preliminarmente, precisa che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611 del 10 aprile 2024, non sussiste alcuna incompatibilità del consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, c.p.c., atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa;
il primo motivo di ricorso è rubricato ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 952 e 1021 c.c. per avere la Corte di Appello, nell’applicazione di tali norme, affermato che il contratto era da qualificarsi come compravendita di terreni con costituzione
di diritto d’uso a favore del venditore e non come compravendita di sottosuolo separato dal suolo’;
3. il motivo, come emerge già dalla rubrica nel suo complesso, e per come è poi sviluppato, non prospetta effettivamente che la Corte di Appello abbia violato l’art. 952 c.c. e l’art. 1021 c.c. -ossia che abbia compiuto una erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle due previsioni normativené prospetta effettivamente che la Corte di Appello abbia falsamente applicato i due articoli -ossia abbia sussunto la fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta prevista dai due articolo non è idonea a regolare la fattispecie concreta oppure che la Corte di Appello abbia tratto dalle due disposizioni, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione.
Il motivo si riduce alla prospettazione di una interpretazione del contratto alternativa rispetto a quella fornita dalla Corte di Appello. In sostanza il motivo è così strutturato: il giudice di merito ha interpretato il contratto nel senso che trattasi di contratto di compravendita dei terreni; il contratto deve essere interpretato diversamente, cioè contratto di compravendita del sottosuolo.
Così argomentando, il ricorrente non considera che nel giudizio di legittimità non possono formularsi censure che si risolvano nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata perché ‘in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una
diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati’ (Cass. Sez. 3, sentenza n.2465 del 10/02/2015).
L’interpretazione del contratto data dal giudice del merito ‘non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra’ (Cass. 28319/2017; Cass. 16987/2018). ‘In tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., mentre la seconda concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche – può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo.» (Cass. 29111 del 05/12/2017). «La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato’
(Cass. n. 28319 del 28/11/2017, cfr. anche Cass. n. 27136 del 15/11/2017).
Nel caso in esame la ricorrente insiste nel sostenere l’interpretazione disattesa ma neppure enuncia che vi siano stati vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.
La ricorrente riporta le espressioni del contratto riportate anche dalla sentenza impugnata e le fa seguire dalla affermazione per cui tali espressioni darebbero ‘conferma del fatto che il signor COGNOME ha acquistato il mero diritto di escavazione nel sottosuolo’. Riporta il passo del contratto in cui sono precisate alcune facoltà date all’acquirente e l’intestazione del contratto (‘compravendita per escavazione di marmo e pietra similare’) e, senza neppure confrontarsi con quanto affermato dalla sentenza al riguardo – le affermazioni della Corte di Appello sono già state ricordate qui sopra al punto 1 della premessa -, si limita a sostenere che si tratterebbe di affermazioni ‘assolutamente incompatibili’ con la vendita della proprietà del terreno o che risulterebbero ‘inutili’ a ritenere che il contratto abbia avuto per oggetto la vendita della proprietà del terreno.
Senza confrontarsi con quanto precisato dalla Corte di Appello, insiste sulla tesi per cui l’intestazione del contratto evidenzierebbe che la compravendita avrebbe riguardato il solo sottosuolo perché la ‘compravendita di un bene non può essere limitata alla semplice escavazione di marmo e pietra’. Senza confrontarsi con le argomentazioni della Corte di Appello, deduce che sarebbe ‘del tutto contraddittorio affermare, come ha fatto la Corte di merito, che la apparente superflua indicazione del diritto di escavazione nell’ipotesi di compravendita di immobile sarebbe superata dalla clausola finale del contratto’, dato che la ‘clausola finale attiene a questioni fiscali e non può certamente confermare la natura di atto di compravendita dell’intera proprietà’. Isolando l’intestazione dal
testo del contratto, senza tener conto di quanto sottolineato dalla Corte di Appello in merito al ruolo non decisivo della intestazione o del ‘nomen iuris adoperato dalle parti’, la ricorrente sostiene che, se le parti avessero voluto effettuare una vendita dell’intero immobile, l’avrebbero detto e non avrebbero invece fatto riferimento ‘soltanto diritto di escavazione’.
in conclusione il ricorso deve essere rigettato. Resta assorbita la domanda che la ricorrente ha proposto per il caso di accoglimento del primo motivo di ricorso, di dichiarazione della estinzione per non uso ultraventennale del diritto di superficie acquistato dal COGNOME sul sottosuolo;
le spese seguono inevitabilmente la soccombenza;
6. poiché la trattazione è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. a seguito di proposta di inammissibilità o comunque infondatezza del ricorso, e poiché la Corte ha deciso in conformità alla proposta, va fatta applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma;
7. sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115-, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
la Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;
condanna la ricorrente al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., della somma di € 4.500,00 in favore del
contro
ricorrente nonché, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ., di un’ulteriore somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2024.