Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8860 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8860 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 3703-2023 proposto da:
SOCIETÀ ITALIANA PER RAGIONE_SOCIALE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona dei Commissari Straordinari pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente principale –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 4697/2022 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 30/11/2022 R.G.N. 1085/2022;
Oggetto
Interposizione manodopera
R.G.N. 3703/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 04/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che
La Corte d’Appello di Roma ha accolto il reclamo principale di NOME COGNOME e, in riforma della sentenza di primo grado, accertata l’interposizione di manodopera della RAGIONE_SOCIALE, formale datrice di lavoro del COGNOME, nei confronti della committente RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria (d’ora in avanti anche ‘RAGIONE_SOCIALE‘), ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento intimato al RAGIONE_SOCIALE dalla RAGIONE_SOCIALE, ha ordinato alla RAGIONE_SOCIALE immediata riammissione in servizio del predetto ed ha condannato la stessa al pagamento delle retribuzioni dalla data di messa in mora (11.2.2009) fino all’effettivo ripristino del rapporto.
La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha accertato che il RAGIONE_SOCIALE riceveva ordini e direttive dai dirigenti della RAGIONE_SOCIALE e che era utilizzato ‘al di fuori dell’oggetto del contratto di appalto’; inoltre, che la RAGIONE_SOCIALE, appaltatri ce, non aveva alcun rischio d’impresa. Appurata la non genuinità dell’appalto, ha riconosciuto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato del RAGIONE_SOCIALE alle dirette dipendenze della committente, con qualifica pseudo-dirigenziale. Ha respinto l’eccezi one di inammissibilità o improponibilità della domanda del lavoratore sollevata per la condizione di amministrazione straordinaria della RAGIONE_SOCIALE Ha dichiarato inefficace il licenziamento intimato da RAGIONE_SOCIALE perché proveniente da soggetto non effettivo datore di lavoro ed ha condannato la RAGIONE_SOCIALE a ripristinare in fatto il rapporto di lavoro e a pagare le retribuzioni dalla data di messa in mora.
Avverso la sentenza la RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. NOME COGNOME ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato con un motivo. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022
Considerato che
Ricorso principale della Società RAGIONE_SOCIALE
Il primo motivo di ricorso addebita alla sentenza impugnata la violazione o falsa applicazione degli artt. 24 e 93 -95 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 per avere la stessa respinto l’eccezione di improponibilità delle domande svolte da controparte, ed in particolare di quella poi accolta, che si configurava come domanda di accertamento funzionale ad una statuizione di condanna.
Il secondo motivo di ricorso censura la sentenza sotto il profilo della violazione o falsa applicazione dell’art. 29 d.lgs. 276/2003 e dell’art. 1655 c.c. per non avere la sentenza tenuto conto della linea di discrimine tra direttive intese a conformare puntualmente la prestazione del dipendente dell’appaltatore che, in quanto impartite dal committente, possono essere indice di interposizione illecita -e semplici specificazioni del risultato del servizio oggetto dell’appalto, compatibili invece con l’ ipotesi dell’appalto lecito, disattendendo anche la premessa in diritto, formulata dalla società, circa la rilevanza dell’apporto di know how da parte dell’appaltatore nella valutazione sulla liceità dell’appalto.
Il terzo motivo di ricorso addebita alla sentenza un profilo di nullità per la natura meramente apparente della motivazione, in quanto del tutto contraddittoria, sulla ritenuta natura pseudo dirigenziale della qualifica del sig. COGNOME
Il quarto motivo di ricorso deduce ancora la nullità della sentenza per la natura meramente autoreferenziale della motivazione sulla ritenuta natura pseudo dirigenziale della qualifica del sig. COGNOME
Il quinto motivo di ricorso addebita alla sentenza impugnata la violazione o falsa applicazione dell’art. 2095 c.c. e dell’art. 1 CCNL dirigenti aziende produttrici di beni e di servizi per non avere tenuto conto dell’evoluzione della qualifica dirigenz iale, accreditata dalla giurisprudenza della Suprema Corte, attraverso la mera contrapposizione -al fine di pervenire a ritenere la natura pseudo dirigenziale della qualifica del sig. COGNOME -tra dirigente apicale e pseudo dirigente, pretermettendo, in sede qualificatoria, le possibili articolazioni, pure ricordate in motivazione, della qualifica dirigenziale.
Ricorso incidentale condizionato di NOME COGNOME
Il lavoratore deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. e subordinatamente all’accoglimento del primo motivo di ricorso principale, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi la Corte d’appello pronunciata sulle domande di mero accertamento articolate dal Delorenzi alla lett. e) delle conclusioni del reclamo.
Si esamina anzitutto, per esigenze di priorità logica, il secondo motivo del ricorso principale. Esso è infondato.
La sentenza impugnata ha ritenuto insussistenti i requisiti di genuinità dell’appalto, di cui all’art. 29, d.lgs. 276 del 2003, avendo accertato che il COGNOME riceveva non solo direttive,
astrattamente compatibili con un ‘risultato’, ma anche ‘ordini’, unicamente dai dirigenti o, comunque, dal personale dipendente della committente e, come emerge dalle testimonianze raccolte, svolgeva le prestazioni da costoro specificamente e dettagliatamente indicate (‘faceva quello che io gli dicevo di fare’, ‘redigeva contratti su mia indicazione’) e rispetta va pedissequamente le cadenze e le urgenze dai medesimi segnalate (‘se gli avessi dato da fare dieci cose, gli avrei detto quali erano le urgenze per me’). Non solo, la sentenza impugnata ha escluso che la appaltatrice fornisse alla committente qualcosa di diverso dalla mera prestazione di lavoro, come ad esempio beni, anche sotto l’aspetto del know how dei lavoratori, ed ha appurato che la committente aveva inserito il COGNOME nella propria organizzazione aziendale e lo impiegava in attività estranee all’oggetto dell’appalto (la committente ha ‘utilizzato il COGNOME per la realizzazione della finalità dell’azienda, al di fuori dell’oggetto del contratto d’appalto’). Dalla ricostr uzione in fatto dei giudici di appello non emerge alcuna presenza o alcun ruolo svolto dall’appaltatrice, e dai suoi dirigenti e dipendenti, rispetto alle mansioni espletate dal Delorenzi presso la committente. Né l’apporto di know how può validamente desumersi, con effetto dirimente ed esaustivo, dal contenuto dei contratti di appalto, riportato nel ricorso (p. 30-35), in difetto di prova di una trasfusione della volontà negoziale delle parti nel concreto svolgersi del rapporto.
13. I parametri utilizzati dal giudice di appello nella verifica della genuinità dell’appalto sono coerenti con la elaborazione giurisprudenziale di legittimità sul tema; in particolare, la valorizzazione dell’assenza di una organizzazione predisposta dall ‘appaltatrice e la riferibilità alla committente del concreto esercizio del potere direttivo sul lavoratore formalmente
dipendente della appaltatrice si pongono in linea con l’insegnamento di questa Corte secondo cui il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo né una assunzione di rischio economico con effettivo assoggettamento dei propri dipendenti al potere direttivo e di controllo (v. Cass. n. 27105 del 2018; n. 7820 del 2013; n. 6343 del 2013; n. 19920 del 2011; n. 7898 del 2011; n. 11720 del 2009; n. 16788 del 2006).
14. Parimenti infondato è il terzo motivo di ricorso. La nullità della sentenza può essere dichiarata ove ricorra una contraddittorietà insanabile della motivazione mentre, nel caso di specie, lo stridore logico tra le diverse affermazioni in cui si snoda la motivazione è frutto, evidente, di un errore materiale nella frase ‘non può non negarsi l’applicabilità in astratto dell’art. 18 Statuto dei lavoratori’, per la errata ripetizione del secondo ‘non’. La Corte d’appello ha qualificato il COGNOME come pseudo-dirigente ed ha, di conseguenza, affermato l’astratta applicabilità dell’art. 18 dello Statuto, sottolineando, comunque, come in concreto la questione della esatta qualifica di dirigente apicale o pseudo-dirigente fosse superata dall’essere il licenzi amento oggetto di causa intimato da chi non era datore di lavoro e, dunque, inefficace.
Il rigetto del terzo motivo assorbe il quarto e il quinto motivo di ricorso, per la irrilevanza della questione giuridica concernente la qualifica del COGNOME come pseudo-dirigente.
Il primo motivo del ricorso principale è invece fondato nei termini di seguito precisati e parimenti fondato è il ricorso incidentale condizionato.
Con indirizzo costante questa Corte ha statuito che, in caso di sottoposizione ad amministrazione straordinaria della società datrice di lavoro, deve distinguersi tra domande del lavoratore che mirano a pronunce di mero accertamento oppure costitutive (ad esempio, domanda di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro) e domande dirette alla condanna al pagamento di somme di denaro (anche se accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale). Per le prime va, infatti, riconosciuta la perdurante competenza del giudice del lavoro, mentre per le seconde opera (diversamente dal caso del fallimento, in cui si rinviene l’attrazione del foro fallimentare) la regola della improcedibilità o improseguibilità della domanda, per difetto temporaneo di giurisdizione per tutta la durata della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo dinanzi ai competenti organi della procedura, ferma restando l’assoggettabilità del provvedimento attinente allo stato passivo ad opposizione o impugnazione davanti al tribunale fallimentare (Cass. n. 13877 del 2004; n. 17327 del 2012; n. 19271 del 2013; n. 15066 del 2017).
Recentemente questa Corte ha tratteggiato, con ulteriore precisione, i confini tra la competenza del giudice del lavoro e del giudice fallimentare (sentenza n. 16443 del 2018). In particolare, si è affermato che al giudice del lavoro quale ‘giudice del rapporto’ spetta la cognizione di ogni controversia
avente ad oggetto lo status del lavoratore, essenzialmente radicato nei principi affermati dagli artt. 4, 35, 36 e 37 Cost., in riferimento al diritto ad una legittima e regolare instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto e alla sua corretta qualificazione e qualità. E ciò per effetto dell’esercizio di azioni sia di mero accertamento, come in particolare di esistenza del rapporto di lavoro (Cass. 30 marzo 1994, n. 3151; Cass. 18 agosto 1999, n. 8708; Cass. 18 giugno 2004, n. 11439) o di riconoscimento della qualifica della prestazione (Cass. 20 agosto 2009, n. 18557; Cass. 6 ottobre 2017, n. 23418), ovvero di azioni costitutive, principalmente di impugnazione del licenziamento (Cass. 2 febbraio 2010, n. 2411), anche quando comprensive della domanda di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro (Cass. 3 marzo 2003, n. 3129; Cass. 27 febbraio 2004, n. 4051; Cass. 25 febbraio 2009, n. 4547; Cass. 29 settembre 2016, n. 19308), pure qualora conseguente all’accertamento di nullità, invalidità o inefficacia di atti di cessione di ramo d’azienda, in funzione del ripristino del rapporto di lavoro con la parte cedente, in caso di fallimento della cessionaria (Cass. 23 gennaio 2018, n. 1646). Al giudice fallimentare, che è giudice del concorso, è invece riservato l’accertamento, con la relativa qualificazione, dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione al concorso. Al giudice del lavoro resta ovviamente inibita la pronuncia di condanna, e ciò in quanto non si tratta di domanda di condanna ad un pagamento, bensì, per effetto dell’apertura della procedura concorsuale, di insinuazione allo stato passivo fallimentare, nella cognizione esclusiva del giudice fallimentare.
In base ai richiamati principi di diritto e tenuto conto della condizione della società committente in amministrazione straordinaria, spetta certamente al giudice del lavoro la cognizione della domanda volta ad ottenere, sul presupposto della non genui nità dell’appalto, la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della committente, con ordine alla stessa di ripristino del rapporto e accertamento del diritto al pagamento delle retribuzioni dovute a far data dalla messa in mora, esclusa tuttavia ogni statuizione di condanna, nella specie invece adottata dalla Corte territoriale.
L’azione proposta dal lavoratore è quindi improponibile quanto alla domanda di condanna e la sentenza d’appello deve sul punto essere cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, ultimo comma, restando ferme le statuizioni, oltre che di immediata riammissione in servizio, di accertamento del diritto alle retribuzioni a far data dall’11 febbraio 2019, con interessi e rivalutazione da tale data e fino all’effettivo ripristino.
L’accoglimento di uno dei motivi del ricorso principale giustifica la compensazione nella misura di un terzo delle spese del giudizio di appello e di legittimità, con condanna della società ricorrente alla rifusione dei residui due terzi che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale nei sensi di cui in motivazione e rigetta gli altri motivi, accoglie il ricorso incidentale, cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e dichiara improponibile la domanda di condanna della società. Compensa per un terzo le spese dei giudizi di appello e di legittimità e condanna la società ricorrente alla rifusione dei residui due terzi che liquida per l’intero, per il giudizio di appello, in euro 4.997,00 e, per il giudizio di
cassazione, in euro 4.500,00 per compensi professionali ed euro 200,00 per esborsi, oltre in ogni caso rimborso spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge, con distrazione in favore dell’avv. NOME COGNOME antistatario.
Così deciso nell’adunanza camerale del 4 febbraio 2024