Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4001 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4001 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7459/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore p.t., NOME COGNOME, e COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, fideiussori della RAGIONE_SOCIALE, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende;
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 5004/2019 depositata il 13/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 10500/2017 il Tribunale di Milano rigettava le domande che la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente, società utilizzatrice e fideiussori, avevano proposto nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, e regolava e spese di lite;
la Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 5004/2019, resa pubblica in data 13 dicembre 2019, ha confermato la decisione di prime cure;
la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono per la cassazione di detta pronuncia, formulando quattro motivi;
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.;
MOTIVI DELLA DECISIONE
con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 25 Cost., dell’art. 644 cod. pen ., dell’art. 1815 cod. civ., dell’art. 2 della L. n. 108/1996;
oggetto di censura è la statuizione con cui il giudice a quo ha confermato la decisione di prime cure nella parte in cui aveva rilevato che gli interessi moratori, avendo funzione sanzionatoria a differenza di quelli corrispettivi che hanno natura compensativa,
non possono essere presi in considerazione ai fini dell’accertamento del tasso soglia; pur riconoscendo l’applicabilità del tasso soglia alla pattuizione degli interessi moratori, e quindi la parziale fondatezza del motivo di appello, atteso l’errore del Tribunale, il giudice a quo , contraddicendosi – ad avviso dei ricorrenti – ha escluso che la conseguenza dell’accertamento della natura usuraria degli interessi di mora sia la gratuità dell’intero rapporto;
dopo uno sforzo volto a dimostrare che anche gli interessi moratori possono essere usurari, il quale ha occupato le pagg. 1215 del ricorso sforzo inutile, perché la Corte d’appello non lo aveva affatto escluso -la tesi dei ricorrenti è che la previsione di interessi moratori superiori al tasso soglia comporti, in applicazione dell’art. 1815, 2° comma cod.civ., come asseritamente previsto dalla ordinanza n. 27442/2018 di questa Corte, la gratuità dell’intero rapporto;
il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato;
è inammissibile nella parte in cui censura una statuizione di cui non c’è traccia nella sentenza della Corte territoriale: quella secondo cui gli interessi moratori non dovrebbero essere presi in considerazione ai fini dell’accertamento dell’usura; in sentenza viene solo dato atto che la giurisprudenza di legittimità in più occasioni aveva affermato l’applicabilità del tasso soglia anche alla pattuizione degli interessi moratori, ma che la questione era stata rimessa alle Sezioni Unite che all’epoca della pronuncia non si erano ancora pronunciate (p. 6 della sentenza);
pertanto, deve ritenersi che la Corte d’Appello non sia affatto incorsa nella violazione delle norme indicate nell’epigrafe del motivo né che sia incorsa in alcuna contraddizione;
secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, 1° comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto
mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. Sez. U, 05/05/2006, n. 10313);
il motivo è infondato nella parte in cui censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1815, 2° comma, cod.proc.civ.;
anche senza considerare che la decisione n. 2018/27442, cui i ricorrenti si rifanno per argomentare in iure la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello, non ha affatto affermato che la pattuizione convenzionale di interessi moratori avrebbe portato alla gratuità dell’intero contratto -l’ordinanza, infatti, aveva precisato quanto segue: ‘nonostante l’identica funzione sostanziale degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, l’applicazione dell’art. 1815, comma secondo, cod. civ. agli interessi moratori usurari non sembra sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi, e considerato che la causa degli uni e degli altri è pur sempre diversa: il che rende ragionevole, in presenza di interessi convenzionali moratori usurari, di fronte alla nullità della clausola, attribuire secondo le norme generali al danneggiato gli interessi al tasso legale’ – su entrambe le questioni (se la normativa in materia di interessi usurari sia estensibile agli interessi moratori e quali siano le forme di tutela del finanziato) sono intervenute le Sezioni unite di questa Corte che, con la pronuncia n. 19597 del 18/09/2020, hanno stabilito che ‘l a disciplina antiusura, essendo volta a sanzionare la promessa di qualsivoglia somma usuraria dovuta in relazione al contratto, si applica anche agli interessi moratori, la cui mancata ricomprensione nell’ambito del Tasso effettivo globale medio
(T.e.g.m.) non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali di cui all’art. 2, comma 1, della l. n. 108 del 1996, ove questi contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali; ne consegue che, in quest’ultimo caso, il tasso-soglia sarà dato dal T.e.g.m., incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l’aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dal quarto comma dell’art. 2 sopra citato, mentre invece, laddove i decreti ministeriali non rechino l’indicazione della suddetta maggiorazione media, la comparazione andrà effettuata tra il Tasso effettivo globale (T.e.g.) del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori, e il T.e.g.m. così come rilevato nei suddetti decreti. Dall’accertamento dell’usurarietà discende l’applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c., di modo che gli interessi moratori non sono dovuti nella misura (usuraria) pattuita, bensì in quella dei corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell’art. 1224, comma 1, c.c.; nei contratti conclusi con i consumatori è altresì applicabile la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del d.lgs. n. 206 del 2005 (codice del consumo), essendo rimessa all’interessato la scelta di far valere l’uno o l’altro rimedio’;
deve pertanto concludersi che la pattuizione di un tasso di interesse moratorio usurario non comporta la gratuità del contratto, poiché la sanzione della non debenza di alcun interesse, prevista dall’art. 1815, comma 2, c.c., non coinvolge anche gli interessi corrispettivi lecitamente pattuiti, che continuano ad essere applicati ai sensi dell’art. 1224, comma 1, cod.civ. (cfr., in termini, Cass. 21/03/2023, n. 8103);
2) con il secondo motivo i ricorrenti lamentano, ex art. 360, 1° comma, n. 3, 4 e 5, cod.proc.civ., ‘la violazione degli artt. 1322, 1346, 1370, 1418, 1419, 2697 cod.civ., 115 cod.proc.civ., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (avuto riguardo
all’interpretazione della clausola predisponete il tasso moratorio), la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e 1419 cod.civ.’;
il motivo è articolato in una pluralità di censure tutte inammissibili;
i ricorrenti insistono innanzitutto sul fatto che anche gli interessi usurari possono rilevare ai fini dell’accertamento dell’usura e ne traggono la conclusione che la Corte d’Appello abbia violato e falsamente applicato gli artt. 1322, 1346, 1370, 1418, 1419, 2697 e 115 cod.proc.civ.; la censura è inammissibile perché non si rinviene traccia nella decisione impugnata di affermazioni che contrastino con le argomentazioni dei ricorrenti (cfr. supra § 1);
la violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ. per omesso esame della nota della Banca d’Italia del 3 luglio 2003, della circolare dell’Abi del 3 luglio 2001, si riferisce anch’essa alla questione della estensibilità della disciplina antiusura anche agli interessi moratorio ed è inammissibile per la ragione assorbente del difetto di decisività;
l’ulteriore ordine di censure attinge la sentenza per non avere dichiarato la nullità totale o parziale del contratto di leasing , una volta accertata la sussistenza della previsione convenzionale di interessi moratori aventi un tasso superiore al tasso soglia; nella sostanza i ricorrenti lamentano -sia pure erroneamente invocando la violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ. -l’omessa pronuncia sulla domanda di nullità parziale delle pattuizioni nulle e sulla ripetizione degli illegittimi pagamenti, ai sensi dell’art. 2033 cod.civ., e sulla compensazione legale e/o giudiziale delle poste di dareavere; in aggiunta, si dolgono dell’omessa motivazione sulle ulteriori domande di ripetizione dell’indebito e/o di compensazione;
pur essendo le ragioni di inammissibilità di detta censura molteplici -‘in sede di legittimità è intrinsecamente contraddittoria la denuncia, con un unico motivo, dei vizi di omessa
pronuncia e omessa motivazione, il primo dei quali implica la totale mancanza del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce nella violazione dell’articolo 112 del cpc, mentre il secondo presuppone che la questione sia stata esaminata dal giudice di merito, che l’abbia tuttavia risolta senza alcuna motivazione o con motivazione apparente, perplessa, illogica o gravemente contraddittoria, e va fatta valere ai sensi dell’articolo 132, comma 2, del cpc.’ (Cass. 1/09/2022, n. 2022); parte ricorrente è incorsa nel difetto di autosufficienza, in ragione del fatto che ‘ Affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente e inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronuncia si sia resa necessaria e ineludibile ( ex plurimis cfr. Cass. 05/08/2019, n. 20924) -assume valore assorbente il seguente rilievo:
-la Corte d’Appello ha escluso la ricorrenza di interessi moratori, per effetto della clausola di salvaguardia, di cui all’art. 11 delle condizioni generali di contratto con cui le parti avevano pattuito che ‘qualora alla data di stipulazione del presente contratto il risultato di tale calcolo (Euribor 3 mesi, divisione 365, più nove punti) risultasse maggiore del cosiddetto tasso soglia vigente con riferimento alla classe di importo alla quale è riconducibile il presente contratto di locazione finanziaria, il tasso per il calcolo degli interessi convenzionali di mora resterà definitivamente determinato per tutta la durata della locazione finanziaria nell’Euribor 3 mesi, divisione 365, quale pubblicato da RAGIONE_SOCIALE, man mano in vigore, maggiorato della differenza tra il tasso soglia vigente alla data di stipulazione del presente contratto e l’Euribor 3 mesi, divisione 365′;
detta clausola è stata già sottoposta al vaglio di questa Corte -si veda, da ultimo Cass. 15/05/2023, n. 15144 -che ha ritenuto che essa ‘giova a garantire che, pur in presenza di un saggio di interesse variabile o modificabile unilateralmente dalla banca, la sua fluttuazione non oltrepassi mai il limite stabilito dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4 …. assicurando che gli interessi non oltrepassino mai la soglia dell’usura cd. ‘oggettiva’, previene il rischio che il tasso convenzionale sia dichiarato nullo e che nessun interesse sia dovuto alla banca. Nondimeno, la clausola non presenta profili di contrarietà a norme imperative. Anzi, al contrario, essa è volta ad assicurare l’effettiva applicazione del precetto d’ordine pubblico che fa divieto di pattuire interessi usurari. Sebbene la “clausola di salvaguardia” ponga le banche al riparo dall’applicazione della “sanzione” prevista dall’art. 1815, comma 2, c.c. per il caso di pattuizione di interessi usurari (nessun interesse è dovuto), la stessa non ha carattere elusivo, poiché il principio d’ordine pubblico che governa la materia è costituito dal divieto di praticare interessi usurari, non dalla sanzione che consegue alla violazione di tale divieto’;
è vero che la mera inserzione di tale clausola non basta ad escludere che gli interessi convenzionalmente pattuiti non abbiano superato il tasso soglia, occorrendo a tal fine accertare che l’obbligo contrattualmente assunto dal finanziatore di mantenere il tasso degli interessi al di sotto di quello soglia sia stato adempiuto -Cass. 17/10/2019, n. 26286 seguita da Cass. n. 15144/2023, citata, hanno infatti escluso che la mera inserzione nel contratto della clausola di salvaguardia escluda automaticamente la ricorrenza dell’usura ma, non avendo i ricorrenti confutato la statuizione della Corte d’Appello che aveva fatto leva sulla clausola di salvaguardia per negare la ricorrenza dell’usura (e non essendo la clausola di salvaguardia affetta da nullità), essa deve considerarsi passata in giudicato;
è appena il caso di precisare che è irrilevante a fini confutativi quanto affermato a p. 25 del ricorso e cioè che la Corte d’appello ‘ha inteso non censurare la pur pattuita condizione usuraria’, sulla scorta dell’art. 11 delle condizioni generali di contratto, perché detta affermazione era esclusivamente volta a dimostrare la ricorrenza di un insussistente (cfr. supra § 1) vizio motivazionale della sentenza, là dove era stata confermata la pronuncia del Tribunale con una motivazione parzialmente diversa;
3 ) con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1283, 1322, 1346, 1418, 1419, 1421, 2697 cod.civ., 115, 342 cod.proc.civ., 117 Tub; la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod.proc.civ. nonché l’omessa pronuncia ex art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ.;
attinta da censura è la statuizione con cui il giudice a quo ha ritenuto inammissibile il motivo di appello dedotto per lamentare il mancato accoglimento della eccezione di nullità della clausola di determinazione degli interessi sotto i profili della manipolazione dell’Euribor, dell’ammortamento alla francese, della mancanza del piano di ammortamento, ritenendole eccezioni formulate per la prima volta in appello e comunque non formulate secondo i canoni prescritti dall’art. 342 cod.proc.civ.; quanto alla manipolazione del tasso Euribor l’eccezione è stata ritenuta dalla Corte d’appello anche infondata, perché solo gli imprenditori commerciali del settore di riferimento e non anche i singoli utenti sono destinatari delle norme antimonopolistiche asseritamente aggirate;
le censure mosse alla sentenza impugnata sono meramente assertive; i ricorrenti riportano, infatti, alle pp. 6 e 7 del ricorso, le conclusioni dell’atto di appello, ma omettono di riportare il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado al fine di supportare i loro assunti;
anche se quanto alla statuizione di inammissibilità delle eccezioni di ricalcolo del piano di ammortamento e di condanna alla
restituzione degli importi versati, il Collegio ravvisa un evidente contrasto emergente dalla sentenza impugnata tra quanto in essa affermato a p. 4, in ordine al rigetto da parte del Tribunale delle ‘ulteriori domande di … ricalcolo del piano di ammortamento, di condanna alla restituzione di importi versati e di risarcimento del danno’ e quanto concluso alla p. 7, pt. 5, ciò non giova al ricorrente, perché la Corte d’appello ha ritenuto inammissibili le censure mosse alla sentenza del Tribunale (oltre che per essere state dedotte per la prima volta nel giudizio d’appello) anche per un’altra ragione, cioè per non essere state formulate secondo le prescrizioni dell’art. 342 cod.proc.civ.;
non avendo i richiedenti articolato le loro confutazioni in modo da contrapporsi, in virtù di compiute argomentazioni, alla motivazione della sentenza impugnata, mirando ad incrinarne il fondamento logico-giuridico, secondo un principio di simmetria nel raffronto tra la motivazione del provvedimento appellato e la formulazione dell’atto di gravame (al contrario, in una certa misura, confermano persino quanto rilevato dalla Corte d’Appello quando, a p. 25 del ricorso, sostengono che le domande di ripetizione ex art. 2033 cod.civ. e di compensazione ex artt. 1241 e ss. cod.civ. integrano domande susseguenti e dipendenti dalle censurate nullità …’), la censura deve ritenersi comunque inammissibile per violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 1° comma n. 6 cod.proc.civ.;
deve ribadirsi che anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/ Italia, la quale ha ribadito, in sintesi, che il fine legittimo del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia, (ai p.ti 74 e 75 in motivazione), ed ha investito questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso
(il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce, specificamente per la parte d’interesse, il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso ‘e’ se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950, la quale ha ritenuto soddisfatte le prescrizioni di cui all’art. 366 comma 1°, n. 6 cod.proc.civ., perché parte ricorrente nell’enucleare i motivi di ricorso, aveva ‘fatto specifico riferimento ai diversi atti e documenti allegati nel giudizio innanzi al Tsap, individuandoli in modo sufficientemente chiaro e nei termini in cui già erano stati richiamati nella sentenza di merito, nonché riportandone alcuni estratti’): requisito che può essere concretamente soddisfatto ‘anche’ fornendo nel ricorso, in ottemperanza dell’art. 369, comma 2°, n. 4 cod.proc.civ., i riferimenti idonei ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati rispettivamente, i documenti e gli atti processuali su cui il ricorso si fonda’ (Cass. 19/04/2022, n. 12481);
stante la ritenuta inosservanza dell’onere di specificazione dei motivi, imposto dall’art. 342 cod.proc.civ.., la quale integra una nullità che determina l’inammissibilità dell’impugnazione, con conseguente effetto del passaggio in giudicato della sentenza impugnata, soltanto l’atto conforme alle prescrizioni di cui alla citata disposizione, essendo idoneo a impedire la decadenza dall’impugnazione (Cass., Sez. Un., 29/01/2000, n. 16), avrebbe imposto al giudice d’appello di rilevare d’ ufficio questioni attinenti al merito della regiudicanda e per l’effetto di esaminare la questione della nullità del contratto sotto il profilo della manipolazione del tasso Euribor e della pratica anatocistica del piano di ammortamento alla francese (cfr. in tal senso Cass. 05/04/2022, n.10930);
in sostanza, pur essendo irrilevante -come correttamente sostengono i ricorrenti – che la questione di nullità non fosse stata
posta nel giudizio di primo grado, essendo stato da questa Corte riconosciuto che la domanda di accertamento della nullità di un negozio proposta, per la prima volta, in appello è inammissibile ai sensi dell’art. 345, 1° comma, cod.proc.civ., salva la possibilità per il giudice di appello (obbligato a rilevare di ufficio ogni possibile causa di nullità ), ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi dell’art. 101, 2° comma, cod.proc.civ., di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall’appellante, come previsto dal 2° comma dell’art. 345 cod.proc.civ. (così, di recente, ex plurimis , Cass. 14/03/2023, n.7367), la ritenuta inammissibilità delle censure per violazione dell’art. 342 cod.proc.civ. precludeva alla Corte d’Appello di esaminare d’ufficio le dedotte nullità;
va precisato che le nullità denunciate potrebbero essere rilevate d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, quindi anche da questa Corte, ma che detto principio incontra il limite costituito dalla necessaria allegazione dei fatti su cui le dedotte nullità si fondano (Cass. 17/07/2023, n.20713); essendo il ricorso del tutto carente sotto tale profilo, non è possibile accertare d’ufficio la sussistenza delle dedotte nullità;
pur essendo errata l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui non aveva sbagliato il Tribunale, ‘che aveva esaminato d’ufficio l’eventuale nullità delle clausole di determinazione degli interessi anche in relazione a profili non dedotti dalle parti’, quando aveva ritenuto che la legislazione antimonopolistica ha come destinatari solo gli imprenditori commerciali di riferimento e non anche i singoli utenti [essa, infatti, contrasta con Cass., Sez. Un., 4/02/2005, n. 2207 (e successiva giurisprudenza conforme), ove è affermato: la Legge Antitrust 10 ottobre 1990, n. 287, detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla
conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un’intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte ad un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, e, dall’altro, che il cosiddetto contratto “a valle” costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti’], essa è stata resa ad abundantiam , essendosi il giudice d’appello già spogliato della sua potestas iudicandi quando ha ritenuto inammissibile per tardività e per genericità il motivo di appello (Cass.14/02/2022, n. 4678), è priva di riflessi sul dispositivo della sentenza e non vi era alcun interesse da parte dei ricorrenti ad impugnarla;
4) con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5, cod.proc.civ., i ricorrenti imputano alla Corte territoriale di aver violato e falsamente applicato gli artt. 115 cod.proc.civ., 1370, 2697 cod.civ. e 24 Cost.;
gli esponenti lamentano che la Corte d’Appello non abbia preso posizione sulle loro istanze istruttorie e che con motivazione incoerente e inadeguata non abbia offerto alcuno spunto sulla reiezione del mezzo istruttorio richiesto, la CTU tecnico-contabile, con cui non intendevano supplire a mancanze di prova, né compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di documenti non depositati;
il motivo è inammissibile;
il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei
fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, questa Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass . 10/08/2017, n. 19985);
le altre censure dedotte ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., sono del tutto sfornite di supporto argomentativo.
all’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio de 9/11/2023 dalla Terza