Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25918 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25918 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 14797/2018 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, unitamente e disgiuntamente, per proRAGIONE_SOCIALE speciale in calce al ricorso dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, il quale chiede di ricevere le comunicazioni al proprio indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, anche disgiuntamente all’AVV_NOTAIO, in virtù di proRAGIONE_SOCIALE speciale su foglio separato in calce al controricorso, il quale chiede di ricevere le comunicazioni presso l’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, n. 2069/2017, depositata in data 9 novembre 2017;
RILEVATO CHE:
Con atto di citazione del 30/3/2009 la RAGIONE_SOCIALE allegava di aver erogato prestazioni sanitarie in favore degli assistiti del S.S.N. in regime di accreditamento provvisorio con la RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE, deducendo il grave ritardo nei pagamenti da parte di quest’ultima, con riferimento agli anni dal 2003 al 2007, chiedendo, quindi, la condanna della stessa al pagamento della somma di euro 1.569.060,66, a titolo di interessi moratori ex art. 6 del d.lgs. n. 231 del 2002 e dell’art. 1224, secondo comma, c.c., nonché delle somme dovute per la rivalutazione monetaria, per costi, spese, interessi negativi e passivi.
In via subordinata, chiedeva la condanna della ausl al pagamento degli interessi dovuti calcolati al tasso legale, oltre al pagamento degli interessi maturati e della rivalutazione monetaria.
Si costituiva in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE eccependo, preliminarmente, «l’assenza di documentazione comprovante la costituzione in mora» e, chiedendo, nel merito il rigetto delle domande per l’insussistenza delle ragioni creditorie.
Con sentenza n. 2449 del 2011, depositata il 18/5/2011, il tribunale di RAGIONE_SOCIALE rigettava le domande presentate dalla società nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE sul rilievo che la RAGIONE_SOCIALE non l’avrebbe costituita in mora e che, comunque, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 231 del 2002 non si applicavano alla fattispecie «dal momento che la fonte dell’obbligazione è in ogni caso precedente alla data di efficacia indicata dalla stessa legge».
Proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE, deducendo: la presenza di atti di intimazione dei crediti vantati; la sussumibilità della fattispecie al d.lgs. n. 231 del 2002 perché «gli accordi di negoziazione del budget inerenti le forniture per cui è causa, tutti temporalmente successivi al momento iniziale della disposizione fondano l’ an del diritto dell’odierno appellante alla percezione degli interessi comunitari».
L’RAGIONE_SOCIALE, in sede di appello, contestava tali motivi, evidenziando: l’assenza di atti di messa in mora; la liquidità ed esigibilità dei debiti pecuniari della PA solo quando la spesa sia stata ordinata con l’emissione del titolo, e ciò in deroga all’art. 1282 c.c.; l’inesistenza per la struttura, e fino al 2006, «di alcun verbale e/o contratto di assegnazione budget assimilabile alla ‘transazione commerciale’ di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 231 del 2002.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza depositata il 9/11/2017, rigettava l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE
In particolare, la Corte territoriale reputava applicabile ai rapporti giuridici tra struttura RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il d.lgs. n. 231 del 2002, rientrando tali rapporti nella nozione di «transazione commerciale».
Muoveva dalla considerazione che nell’ambito del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il nuovo regime dell’accreditamento, di cui
all’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, come integrato dall’art. 6 della legge n. 724 del 1994, aveva sostituito quello preesistente convenzionale, «ma non ha modificato la natura del rapporto esistente tra la struttura RAGIONE_SOCIALE ed ente pubblico preposto all’attività RAGIONE_SOCIALE, il quale era e resta di natura concessoria».
Inoltre, la Corte d’appello sottolineava l’importanza dell’accordo contrattuale tra le parti, evidenziando che «se, dunque, il nuovo regime non ha modificato la natura delle concessioni in esame, immutandone solo la fonte costitutiva (che ora è rappresentata dalla legge), questo non impedisce la possibilità di rinvenire, nell’ambito dell’accreditamento provvisorio, accanto alla parte autoritativa, anche un elemento ‘convenzionale’ caratterizzante il medesimo rapporto, avendo l’accreditamento temporaneo richiesto che i soggetti già convenzionati ‘accettassero il sistema della remunerazione a prestazione sulla base delle citate tariffe’», con l’ulteriore dirimente considerazione per cui «in mancanza di un accordo delle parti in ordine alle tariffe per la disciplina economica dell’affidamento, il rapporto concessorio, nonostante la legge non potrebbe costituirsi».
È evidente, qui, il riferimento all’accordo e, quindi al contratto, che deve necessariamente essere stipulato tra la parte RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE.
L’autonomia dell’accordo rispetto al provvedimento amministrativo di accreditamento risultava chiaro, affermando la Corte territoriale che «tale accordo, attesa la sua autonoma rilevanza, nonostante la sua ‘accessorietà’ al provvedimento legislativo costitutivo della concessione, non può non essere qualificato come ‘transazione commerciale’, costituendo lo stesso un incontro di consensi tra le parti, riguardante la disciplina degli assetti economici inerenti al rapporto di affidamento».
Di qui l’applicabilità del d.lgs. n. 231 del 2002, in quanto «i rapporti tra RAGIONE_SOCIALE e struttura accreditata hanno una base convenzionale».
Concludeva la Corte territoriale nel senso che la disciplina di cui al d.lgs. n. 231 del 2002 era applicabile anche sotto il profilo temporale «posto che le prestazioni in esame sono disciplinate da contratti sottoscritti dalle parti successivamente all’entrata in vigore della norma».
L’appello veniva però rigettato in quanto l’appellante «ha omesso di produrre le fatture dalle quali scaturirebbe il suo diritto ad ottenere il pagamento degli interessi di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 231/2002; sicché, in difetto di tale produzione, l’appello non può che essere rigettato».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE, proponendo anche ricorso incidentale.
9.Questa Corte, all’udienza del 26/5/2023, con ordinanza interlocutoria ha disposto il rinvio a nuovo ruolo in attesa della pronuncia a sezioni unite, successivamente intervenuta (Cass., Sez. U., 14/12/2023, n. 35092).
10.L’RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la società ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Sarebbe erronea l’affermazione della Corte territoriale per cui «l’appellante ha omesso di produrre le fatture dalle quali scaturirebbe il suo diritto ad ottenere il pagamento degli interessi di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 231/2002».
In particolare, ad avviso della ricorrente, la Corte d’appello ha errato nel non tenere conto degli accertamenti e delle conclusioni del CTU, comprovanti la sussistenza del credito vantato dalla società nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE per il ritardato pagamento delle prestazioni sanitarie erogate dalla struttura.
Aggiunge la RAGIONE_SOCIALE che «dall’esame della documentazione prodotta agli atti di causa, è di lapalissiana evidenza che le fatture afferenti i pagamenti oggetto di causa, per le annualità richieste in pagamento, sono state ritualmente prodotte in giudizio, allegate già al fascicolo di parte di primo grado».
Peraltro, il CTU, al fine di rispondere al quesito posto dalla Corte, ha utilizzato le fatture di cui trattasi, facendovi espresso riferimento ed effettuando i calcoli sulla base delle stesse.
Il CTU, nell’allegato peritale, ha indicato le predette fatture, sia negli allegati, sia nel corpo della relazione, aggiungendo che «per determinare il termine oltre il quale iniziano a decorrere gli interessi per ciascuna fattura – e quindi i giorni di maturazione degli interessi – è stata presa a riferimento la data di ricevimento riportata nel timbro dell’ente, alla quale sono stati aggiunti 60 o 90 giorni a seconda della residenza dei ricoverati. Qualora non fosse indicata la data di ricevimento, è stata presa a riferimento la data di emissione della fattura».
L’RAGIONE_SOCIALE non ha mai eccepito e/o contestato la mancata produzione delle fatture, anzi, al contrario, nei propri scritti difensivi, sia di primo sia di secondo grado, «ha fatto espresso riferimento alle fatture prodotte dalla RAGIONE_SOCIALE».
Vi sarebbe violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., in quanto la Corte d’appello «non ha posto a fondamento della decisione le prove documentali dedotte dalle parti, ritenendone illegittimamente la mancata produzione in giudizio».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole «dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
Per la ricorrente, infatti, «la mancata valutazione di prove prodotte in giudizio (di cui se ne rileva financo l’omessa produzione) determina l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia, poiché la ritenuta erronea ed illegittima mancata produzione della prova documentale in questione ha determinato erroneamente ed illegittimamente il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulta priva di fondamento».
Il giudice del merito «non si è pronunciato sui documenti allegati agli atti del giudizio e ritualmente prodotti».
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione di legge (d.lgs. n. 131 del 2002) e articoli 1224 e 1282 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello ha valutato correttamente l’applicabilità al caso di specie del d.lgs. n. 231 del 2002, ma, ritenendo non prodotte le fatture dalle quali scaturiva il diritto della società ad ottenere il pagamento degli interessi, ha compiuto una violazione di legge.
In realtà, erano stati prodotti, oltre alle fatture, «gli accordi di negoziazione del budget ed i provvedimenti di assegnazione del budget inerenti le fatture per cui è causa».
Chiariva la ricorrente che il CTU aveva effettuato due differenti ipotesi di calcolo: con la prima dovevano essere applicati gli interessi moratori ex art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2002, «a tutte le fatture emesse nel periodo di riferimento, incluse quelle CTA»; con la seconda si sarebbero dovuti applicare gli interessi corrispettivi ex art. 1282 c.c.
Pertanto, in virtù del principio della naturale fecondità del denaro, gli interessi corrispettivi spettavano, a prescindere dalla costituzione in mora il debitore.
Inoltre, il giudice d’appello non si sarebbe pronunciato in relazione alla richiesta della rivalutazione monetaria per il ritardato pagamento delle somme dovute dall’RAGIONE_SOCIALE.
Spettava alla società anche il maggior danno sofferto di cui all’art. 1224, secondo comma, c.c..
La società avrebbe affrontato spese per avvalersi di consulenze legali al fine di recuperare gli importi ad essa spettanti.
Senza contare che la società, per evitare un indebitamento eccessivo, «è stata costretta a cedere i propri diritti creditori, mediante contratti di factoring, alla RAGIONE_SOCIALE».
Ciò ha comportato spese notarili, commissioni per anticipazioni crediti ed interessi passivi bancari.
Con il primo motivo di ricorso incidentale l’RAGIONE_SOCIALE deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 2,3 ed 11 del d.lgs. n. 231 del 2002, degli articoli 8quater ed 8quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, dell’art. 28, comma 6, della legge regionale n. 2 del 2002, dell’art. 25, comma 4, della regionale n. 4 del 2003, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che il nuovo regime di accreditamento non ha modificato la natura delle concessioni, mutandone solo la fonte costitutiva, ossia la legge.
Per la Corte territoriale, dunque, non vi sarebbe la necessità di un apposito contratto, da stipularsi successivamente all’accreditamento provvisorio.
Ad avviso della ricorrente, la Corte d’appello avrebbe individuato «nell’ambito dell’accreditamento provvisorio un elemento
convenzionale, rappresentato dall’accettazione del sistema di remunerazione a tariffa».
Tale accordo, sul sistema di remunerazione della prestazione, dovrebbe essere qualificato come transazione commerciale.
La RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, dunque, in caso di pagamento in ritardo delle prestazioni erogate, avrebbe diritto agli interessi comunitari «soltanto perché accreditata (come se l’accreditamento avesse valore contrattuale), quindi anche in assenza di un formale contratto scritto, ed in presenza, invece, di decreti assessoriali di determinazione del tetto di spesa e delle conseguenti deliberazioni dell’RAGIONE_SOCIALE di assegnazione unilaterale di budget annuale».
In realtà, per la ricorrente, l’accreditamento è solo un provvedimento amministrativo, riconducibile al genus della concessione, ma è necessario al fine di ottenere il diritto alla remunerazione per le prestazioni erogate, un apposito negozio da stipularsi in forma scritta, a pena di nullità, – con il privato per regolare la gestione della concessione, ai sensi dell’art. 8quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992.
Solo dal 2007 in poi sarebbe stato stipulato, con apposito verbale, il budget annuale con ciascuna scrittura (verbale di negoziazione di budget del 27/6/2007).
Nel periodo 2003/2006, invece, l’assegnazione del budget annuale era effettuata unilateralmente con la deliberazione dell’RAGIONE_SOCIALE che specificava il tetto di spesa di ciascuna struttura.
L’accordo di negoziazione, invece, era stato «soltanto enunciato da controparte nei giudizi di merito e mai prodotto».
Con il secondo motivo di ricorso incidentale l’RAGIONE_SOCIALE lamenta «l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
Per l’RAGIONE_SOCIALE, in realtà, non sarebbe stato stipulato «alcun atto di negoziazione budget annuale» tra essa e la RAGIONE_SOCIALE.
In quel periodo, l’assegnazione del budget annuale alle case di RAGIONE_SOCIALE era effettuata unilateralmente con la deliberazione dell’RAGIONE_SOCIALE che specificava il tetto di spesa di ciascuna struttura.
Solo da 2007 in poi l’RAGIONE_SOCIALE ha stipulato con le case di RAGIONE_SOCIALE private accreditate per attività ospedaliera, tramite apposito verbale di negoziazione, il budget annuale.
Per l’RAGIONE_SOCIALE, dunque, «’esame delle deduzioni (sopra riportate) formulate dall’RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di appello, e della relativa documentazione prodotta» avrebbe comportato una diversa decisione.
Stante la sua evidente natura pregiudiziale, deve procedersi preliminarmente alla trattazione del ricorso incidentale presentato dall’ASP.
I due motivi di ricorso incidentale, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
7.1. In sostanza, la RAGIONE_SOCIALE deduce l’erroneità della decisione della Corte territoriale, che avrebbe ritenuto sufficiente, ai fini del diritto al pagamento delle prestazioni erogate, il provvedimento amministrativo di accreditamento, senza tenere conto che era necessaria la stipulazione del successivo contratto tra l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la struttura RAGIONE_SOCIALE.
Inoltre, la decisione della Corte territoriale sarebbe inficiata anche dalla circostanza della inesistenza, nell’arco temporale che va dal 2003 al 2006, di un contratto di negoziazione budget annuale.
Sarebbe intervenuto l’accordo di negoziazione di budget .
In precedenza, sarebbero intervenuti essenzialmente provvedimenti dell’RAGIONE_SOCIALE unilaterale con cui si specificava il tetto di spesa.
Deve, in primo luogo, osservarsi la sostanziale differenza tra il contratto che deve essere stipulato tra la RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE, rigorosamente prima dello svolgimento delle prestazioni ed in forma scritta, dalle delibere dell’amministrazione relative alla fissazione di tetti di spesa, che possono essere anche successive alla stipulazione dei contratti.
8.1. Infatti, costituisce principio consolidato di questa Corte quello per cui i contratti con la pubblica amministrazione devono essere stipulati per iscritto a pena di nullità (Cass., 4 giugno 1999, n. 5448), non essendo consentita alcuna eventuale convalida o ratifica successiva (Cass., 3 gennaio 2001, n. 59).
Si è ritenuto, dunque, che, soprattutto in presenza di accordi specifici complessi con la pubblica amministrazione, la forma scritta sia assolutamente necessaria, «soprattutto al fine di rendere possibili i controlli istituzionali dell’autorità tutoria» (Cass., 3 gennaio 2001, n. 59, in tema di appalto pubblico; Cass., sez. 2, 30 maggio 2002, n. 7913, in tema di conferimento di incarichi a professionista; di recente Cass., sez. 2, 27 marzo 2023, n. 8574).
La forma scritta, allora, va vista come strumento indefettibile di garanzia del regolare svolgimento dell’attività negoziale della PA, sia nell’interesse dei cittadini, in quanto costituisce remora ad arbitri, sia nell’interesse della stessa amministrazione, in quanto agevola l’espletamento della funzione di controllo e la concreta osservanza dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione (Cass., sez. 1, 12 luglio 2001, n. 9428; anche Cass., sez. 3, 24 giugno 2002, n. 9165).
Per tali contratti, allora, non solo deve escludersi che la manifestazione di volontà delle parti possa essere implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi (Cass., sez. 3, 3 agosto 2002, n. 11649), ma deve ritenersi che, salvo le ipotesi in cui specifiche norme lo consentano, il contratto deve essere consacrato in un unico documento nel quale siano specificamente indicate le clausole disciplinanti rapporto. La volontà della PA di concludere il negozio deve essere manifestata alla controparte dall’organo rappresentativo esterno dell’ente, che è il solo abilitato a stipulare in nome e per conto di questo, e ad essere perciò munito dei poteri necessari per vincolare l’amministrazione per la quale si obbliga (Cass. n. 59 del 2001, cit.; anche Cass., sez. 2, 6 dicembre 2001, n. 15488).
Si è precisato che «il contratto nullo non può essere nemmeno ritenuto suscettibile di convalida, perché attraverso la ratifica o sanatoria, può essere corretto il vizio di un atto annullabile» (Cass. n. 59 del 2001; anche Cass. n. 1615 del 1981). Il contratto privo della forma scritta ad substantiam è nullo ed insuscettibile di qualsiasi forma di sanatoria, dovendosi, quindi, escludere l’attribuzione di rilevanza ad eventuali convalida o ratifica successive e non potendosi neppure ammettere la validità di manifestazioni di volontà implicita o desumibile da comportamenti puramente attuativi (Cass., sez. 3, 15 marzo 2004, n. 5234).
Se, dunque, sono del tutto assenti gli elementi essenziali, l’atto non raggiunge il livello minimo indispensabile per la sua nascita sul piano giuridico, così da non consentire il suo perfezionamento, che presuppone sempre l’esistenza di un quid che non sia solo di parvenza.
Con riferimento all’accreditamento, anche temporaneo o provvisorio, delle società che svolgono prestazioni a favore del
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, valgono le regole di cui agli articoli 8,8bis , 8quater , e 8quinquies , del d.lgs. n. 502 del 1992.
9.1. L’art. 8bis (autorizzazione, accreditamento e accordi contrattuali) del d.lgs. n. 502 del 1992 (Riordino della disciplina in materia RAGIONE_SOCIALE, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) stabilisce che «le regioni assiRAGIONE_SOCIALEno i livelli essenziali e uniformi di assistenza di cui all’art. 1 avvalendosi dei presidi direttamente gestiti dalle aziende RAGIONE_SOCIALE sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli istituti di ricovero e RAGIONE_SOCIALE a carattere scientifico, nonché di soggetti accreditati ai sensi dell’art. 8quater , nel rispetto degli accordi contrattuali di cui all’art. 8quinquies ».
È evidente, come, ai fini del riconoscimento della remunerazione delle prestazioni, siano necessari tre requisiti (in tal senso anche Cass., Sez.Un., 14/12/2023, n. 35092): l’autorizzazione regionale (art. 8ter ); l’accreditamento (art. 8quater ); la conclusione di specifici accordi (art. 8-q uinquies ).
Ciò trova conferma nell’art. 8bis , comma 3, del d.lgs. n. 105 del 1992, laddove stabilisce che «la realizzazione di strutture sanitarie e l’esercizio di attività sanitarie, esercizio di attività sanitarie per conto del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e l’esercizio di attività RAGIONE_SOCIALE carico del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sono subordinate, rispettivamente, al rilascio delle autorizzazioni di cui all’art. 8-ter, dell’accreditamento istituzionale di cui all’art. 8quater , nonché alla stipulazione degli accordi contrattuali di cui all’art. 8quinquies ».
9.2. L’art. 8quater , del d.lgs. n. 502 del 1992 (Accreditamento istituzionale), in vigore a decorrere dal 31 luglio 1999, prevede al comma 1 che «l’accreditamento istituzionale è rilasciato dalla regione alle strutture autorizzate, pubbliche o private ed ai professionisti che ne facciano richiesta, subordinatamente alla loro
rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale ed alla verifica positiva dell’attività svolta e dei risultati raggiunti».
Al comma 2, si chiarisce che «la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del RAGIONE_SOCIALE a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’art. 8quinquies ».
Nella norma si fa riferimento anche all’accreditamento «temporaneo» ed a quello «provvisorio».
Si prevede, dunque, al comma 6 dell’art. 8quater , del d.lgs. n. 502 del 1992 che «entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore dell’atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3, le regioni avviano il processo di accreditamento delle strutture temporaneamente accreditate ai sensi dell’art. 6, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e delle altre già operanti ».
Al comma 7 dell’art. 8quater , si precisa che «nel caso di richiesta di accreditamento da parte di nuove strutture o per l’avvio di nuove attività in strutture preesistenti, l’accreditamento può essere concesso, in via provvisoria, per il tempo necessario alla verifica del volume di attività svolto e della qualità dei suoi risultati. L’eventuale verifica negativa comporta la sospensione automatica dell’accreditamento temporaneamente concesso».
9.3. Di fondamentale rilievo e poi l’art. 8quinquies , del d.lgs. n. 102 del 1992 (accordi contrattuali), che prevede al comma 2 che, «in attuazione di quanto previsto dal comma 1, la regione e le RAGIONE_SOCIALE sanitarie locali, anche attraverso valutazioni comparative della qualità e dei costi, definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate, e stipulano contratti con quelle private e con i
professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale ».
Va rilevato che, l’art. 8quinquies , del d.lgs. n. 502 del 1992, in vigore dal 22 agosto 2008, prevede al comma 2quinquies che «in caso di mancata stipula degli accordi di cui al presente articolo, l’accreditamento istituzionale di cui all’art. 8quater delle strutture e dei professionisti eroganti prestazioni per conto del RAGIONE_SOCIALE interessati è sospeso».
10. Questa Corte ha chiarito che l’obbligo per la struttura RAGIONE_SOCIALE, già titolare di convenzione esterna ex lege n. 833 del 1978, di stipulare apposito contratto in forma scritta con la ASL territorialmente competente sussiste anche durante il regime di accreditamento provvisorio o transitorio; con esso, per un verso, la struttura accetta e si vincola a rispettare le tariffe, le condizioni di determinazione della eventuale regressione tariffaria, nonché i limiti alla quantità di prestazioni erogabili alla singola struttura, fissati in relazione ai tetti massimi di spesa per l’anno di esercizio; per l’altro, l’ente pubblico assume l’obbligazione di pagamento dei corrispettivi in base alle tariffe previste per le prestazioni effettivamente erogate agli utenti del SSR, vincolandosi ad eseguirla secondo le modalità ed i tempi indicati nel contratto, che siano stati convenzionalmente stabiliti ovvero risultino applicabili in virtù di integrazione legislativa (Cass. sez. 3, 5 luglio 2018, n. 17588; Cass., sez. 6-3, 3 giugno 2014, n. 12392).
Pertanto, ha trovato conferma l’indirizzo giurisprudenziale per cui nessuna erogazione di prestazione RAGIONE_SOCIALE finanziariamente coperta dalla mano pubblica è possibile ove non sussista un provvedimento amministrativo di competenza regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato e al di fuori
di singoli specifici rapporti contrattuali (Cass., 25 gennaio 2011, n. 1740; Cass., 19 novembre 2015, n. 23657).
Il principio regolatore dell’attività svolta in regime «transitorio», al pari di quella svolta «a regime», è fondato infatti sulla remunerabilità delle prestazioni rese dal soggetto accreditato, che è però condizionata alla necessaria sottoscrizione di specifici accordi, anche nella fase dell’accreditamento provvisorio (o transitorio), per cui, a maggior ragione, è essenziale un esplicito intervento dell’amministrazione RAGIONE_SOCIALE per modificare la situazione già oggetto di confezionamento, al fine dell’inserimento nella programmazione RAGIONE_SOCIALE regionale e conseguente incidenza sul fondo RAGIONE_SOCIALE regionale (Cass., n. 17588 del 2018).
Si è ulteriormente chiarito che non può essere condivisa la tesi per cui, in mancanza degli atti amministrativi necessari a rendere effettivo il passaggio dal regime delle convenzioni a quello dell’accreditamento della regione Campania, si sarebbe instaurata una prassi basata sulla prosecuzione del fatto del regime di accreditamento provvisorio sulla conclusione di accordi contrattuali per facta concludentia .
In realtà, l’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, come integrato dall’art. 6 della legge n. 724 del 1994, nel prevedere la necessità di un provvedimento concessorio di accreditamento per l’accesso alla qualifica di erogatore del RAGIONE_SOCIALE, comporta che non può essere posto a carico delle regioni alcun onere di erogazione di prestazioni sanitarie in assenza di un provvedimento amministrativo regionale che riconosca la siRAGIONE_SOCIALE la qualità di soggetto accreditato ed al di fuori di singoli e specifici rapporti contrattuali intesi a regolare il volume massimo delle prestazioni erogate, i requisiti del RAGIONE_SOCIALE e l’ammontare dei corrispettivi, dovendosi, in ogni caso, escludere, ai sensi dell’art. 8-quinquies del citato d.lgs. n. 502 del 1992, che
possono validamente concludersi accordi contrattuali per facta concludentia , atteso che, in base al disposto degli articoli 16 e 17 del regio decreto n. 2440 del 1923, tutti i contratti con la PA devono rivestire, a pena di nullità, la forma scritta (Cass., sez. 1, 4 marzo 2024, n. 5682; Cass., sez. 1, 15 marzo 2022, n. 8383; Cass., sez. 3, 11 marzo 2020, n. 7019; Cass., sez. 1, 6 agosto 2014, n. 1771; Cass., 3 giugno 2014, n. 12392; Cass., sez. 1, 26 marzo 2009, n. 7297;Cass., sez. 3, 12 aprile 2006, n. 8621), non rilevando comportamenti concludenti anche protrattisi per anni (Cass., sez. 63, 23 giugno 2011, n. 13886).
10.2. Va, poi, precisato che ciò che rileva, ai fini dell’applicazione del d.lgs. n. 231 del 2002, è proprio la stipulazione dell’accordo, e non il propedeutico provvedimento amministrativo di accreditamento, definitivo o provvisorio.
Infatti, nel caso di prestazioni sanitarie erogate, in favore dei fruitori del RAGIONE_SOCIALE, da strutture private preaccreditate con lo Stato, il diritto di queste ultime a vedersi corrispondere dal soggetto pubblico gli interessi di mora, nella misura prevista dal d.lgs. n. 231 del 2002, sorge soltanto qualora, in data successiva all’8 agosto 2002, sia stato concluso, tra l’Ente pubblico competente e la struttura, un contratto avente forma scritta a pena di nullità (sussumibile nella “transazione commerciale” di cui all’art.2, comma 1, lett. a, del citato decreto) con il quale l’Ente abbia assunto l’obbligo, nei confronti della struttura RAGIONE_SOCIALE, di retribuire, alle condizioni e nei limiti ivi indicati, determinate prestazioni di RAGIONE_SOCIALE da essa erogate – nel riaffermare il principio, la RAGIONE_SOCIALE ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva confuso l’accreditamento ricevuto dalla struttura in data anteriore all’8 agosto 2002, con l’accordo contrattuale in base al quale la struttura si era obbligata, a fronte di un determinato corrispettivo, ad erogare le prestazioni per
conto del RAGIONE_SOCIALE nell’anno 2006, senza verificare, in relazione alla data di stipula dell’accordo, la disciplina applicabile ” ratione temporis ” in tema di interessi dovuti per il RAGIONE_SOCIALE reso- (Cass., sez. 3, 2/7/2019, n. 17665).
Nella specie i profili di inammissibilità attengono al difetto di autosufficienza di entrambi i motivi, all’interno dei quali l’RAGIONE_SOCIALE non provvede alla trascrizione, neppure parziale, dei documenti il cui esame sarebbe stato omesso da parte della Corte d’appello.
Anzi, nel secondo motivo di ricorso incidentale l’inammissibilità deriva anche dalla circostanza che l’RAGIONE_SOCIALE non censura l’omesso esame di documenti decisivi, ma si lamenta della mancata valutazione «delle deduzioni (sopra riportate) formulate dall’RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di appello», oltre che, del tutto genericamente, «della relativa documentazione prodotta».
Le ragioni di infondatezza, si rinvengono nella circostanza che risulta corretto in diritto il ragionamento espresso dalla Corte d’appello che, sia pure in modo sintetico, ha ritenuto che, oltre al provvedimento amministrativo di accreditamento provvisorio, al fine di riconoscere il diritto al pagamento delle prestazioni sanitarie erogate dalla struttura RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, è necessaria anche la stipulazione del contratto tra le parti, in forma scritta.
La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto, con valutazione pienamente meritale, che «in mancanza di un accordo delle parti in ordine alle tariffe per la disciplina economica dell’affidamento, il rapporto concessorio, nonostante la legge, non potrebbe costituirsi» aggiungendo che dalla «applicabilità alla fattispecie in esame della specifica disciplina dettata dal d.lgs. n. 231/2002 – anche sotto il profilo temporale ex art. 11 , posto che le prestazioni in esame sono disciplinate da contratti sottoscritti dalle parti successivamente all’entrata in vigore della norma – consegue che per costituzione in
mora dell’amministrazione non sia più necessaria una formale intimazione scritta».
Di qui, la considerazione per cui l’accordo era stato effettivamente stipulato («tale accordo, attesa la sua autonoma rilevanza, nonostante la sua ‘accessorietà’ al provvedimento legislativo costitutivo della concessione, non può non essere qualificato come ‘transazione commerciale’, costituendo lo stesso un incontro di consensi tra le parti, riguardante la disciplina degli assetti economici inerenti al rapporto di affidamento»).
Risultano fondati, invece, il primo e il secondo motivo di ricorso principale, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, con assorbimento del terzo motivo di ricorso principale.
Va premesso che per questa Corte, a sezioni unite, (Cass., Sez.U., 14/12/2023, n. 35092; vedi però Cass.Sez. U., 20/11/2020, n. 26496, che esclude l’applicazione del d.lgs. n. 231 del 2002 con riferimento all’attività farmaceutica per la seconda quota di ristoro relativa alla dispensazione dei farmaci di classe A), rientrano nella nozione di transazione commerciale, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 231 del 2002, le prestazioni sanitarie delle strutture private accreditate col RAGIONE_SOCIALE erogate agli assistiti in base ad un contratto accessivo all’accreditamento – concluso in forma scritta con la RAGIONE_SOCIALE. dopo l’8 agosto 2002, avente la natura di contratto a favore di terzi ad esecuzione continuata e contenente la previsione dell’obbligo di pagamento di un corrispettivo, la cui ritardata esecuzione comporta il riconoscimento degli interessi moratori ex art. 5 del d.lgs. citato.
13.1. Ed infatti, la Corte d’appello ha ritenuto, con affermazione del tutto apodittica, che «l’appellante ha omesso di produrre le fatture dalle quali scaturirebbe il suo diritto ad ottenere il pagamento
degli interessi di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 231/2002; sicché, in difetto di tale produzione, l’appello non può che essere rigettato».
Al contrario, dai primi due motivi di ricorso principale emerge che le fatture emesse dalla società nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE sono state effettivamente prodotte nel giudizio di primo grado, e risultano allegate allo stesso (cfr. pagina 6 del ricorso per cassazione «dall’esame della documentazione prodotta agli atti di causa, è di lapalissiana evidenza che le fatture afferenti i pagamenti oggetto di causa, per le annualità richieste in pagamento, sono state ritualmente prodotte in giudizio, allegate già al fascicolo di parte di primo grado (doc. n. 1)».
Pertanto, il motivo di impugnazione è stato redatto con specificità, attraverso l’indicazione e la localizzazione delle fatture, in ragione del principio dell’autosufficienza del motivo.
Allo stesso modo, pure caratterizzata da specificità è la deduzione per cui dalle fatture sono state utilizzate nella CTU espletata nel giudizio di secondo grado, avendo provveduto il CTU al computo degli interessi maturati in favore della società, anche attraverso un duplice calcolo.
Nella relazione del CTU si legge che i risultati della stessa poggiano sulle «fatture emesse con riferimento al periodo dal 2003 al novembre del 2007 (pag. 4 della Relazione)».
Con l’aggiunta, nella relazione del CTU, che «per determinare il termine oltre il quale iniziano a decorrere gli interessi per ciascuna fattura – e quindi i giorni di maturazione degli interessi – è stata presa a riferimento la data di ricevimento riportata nel timbro dell’ente, alla quale sono stati aggiunti 60 o 90 giorni a seconda della residenza dei ricoverati. Qualora non fosse stata indicata la data di ricevimento, è stata presa a riferimento alla data di emissione della fattura».
Risulta evidente che le fatture, non solo sono state prodotte nel giudizio di primo grado, ma sono state anche esaminate dal CTU, nella relazione scritta espletata in grado d’appello.
Tra l’altro, l’RAGIONE_SOCIALE non ha mai eccepito e/o contestato la mancata produzione delle fatture, ai sensi dell’art. 115 c.p.c.
13.2.Costituisce, poi, principio consolidato di legittimità quello per cui nel caso di ritardo nell’adempimento di obbligazioni pecuniarie nell’ambito di transazioni commerciali, in difetto di predeterminazione convenzionale dei termini per il pagamento, l’art. 4 del d.lgs. n. 231 del 2002 (nel testo, ” ratione temporis ” applicabile, anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 192 del 2012) equipara, ai fini della individuazione del momento iniziale di decorrenza degli interessi moratori, la trasmissione della fattura alle richieste di pagamento di contenuto equivalente, in quanto la comune prassi commerciale e fiscale (secondo cui la fattura è emessa dopo la cessione dei beni o la prestazione dei servizi) è stata assunta dalla citata norma a base della presunzione ” ex lege ” sulla regolarità della sequenza tra l’esecuzione delle prestazione e la richiesta di pagamento; ne consegue che, una volta avanzata da parte del creditore la pretesa volta ad ottenere gli interessi moratori a far data dalla emissione o ricezione della fattura, è onere del debitore, secondo l’ordinario criterio ex art. 2697 c.c., dimostrare che a tale data la prestazione di fornitura di beni o servizi non era ancora stata eseguita e, quindi, di non essere incorso nella mora, decorrente dal trentesimo giorno successivo all’adempimento dell’obbligazione (Cass., sez. 3, 25/8/2020, n. 17684).
14.Il motivo terzo resta assorbito, in ragione dell’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale.
La sentenza impugnata, deve quindi essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE,
in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i motivi primo e secondo di ricorso principale; dichiara assorbito il terzo motivo di ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 settembre