Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27119 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27119 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/10/2024
Oggetto: Responsabilità civile – Struttura sanitaria accreditata -Cessione del credito -Interessi ex d. lgs n 231/2002 -clausola contrattuale di esclusione.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9377/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta proRAGIONE_SOCIALE speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO (pec: EMAIL);
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta proRAGIONE_SOCIALE speciale in calce al ricorso, con
C.C. 28.05.2024
r.g.n. 9377/2021
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RAGIONE_SOCIALE domicilio eletto in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO , INDIRIZZO (pec: EMAIL, EMAIL);
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE di APPELLO di L’AQUILA n. 1301/2020 pubblicata il 5/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 maggio 2024 dalla Consigliera, dr.ssa NOME COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d ‘ Appello di L’RAGIONE_SOCIALE ha rigettato l’impugnazione proposta da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di L’RAGIONE_SOCIALE n. 20/2016, con cui era stata accolta l’opposizione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria del credito della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con cui aveva intimato alla predetta RAGIONE_SOCIALE il pagamento degli interessi dovuti sui ritardati pagamenti per Euro 623.254,03 e di Euro 524.11,37 ex d. lgs. n. 231/2002 relativi a prestazioni riferite alle mensilità di maggio e giugno 2010, previa disapplicazione della clausola contrattuale n.11 dell’accordo del 6.8.2009 (nulla perché contraria a norme imperative) intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE cedente, o in subordine, il pagamento degli interessi ex art. 1284 c.c. dalla ricezione delle fatture e nello specifico, dalla ricezione degli atti di cessione.
Per quanto ancora di rilievo, la Corte aquilana, richiamato il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento ed in particolare, l’arresto della Corte di cassazione n. 17665/2019, ha ritenuto che non sussistessero, nella specie, i requisiti di iniquità affinché la clausola derogatoria potesse essere dichiarata nulla, risultando al contrario la stessa clausola oggetto di doppia sottoscrizione delle parti e non finalizzata a proRAGIONE_SOCIALEre al debitore liquidità
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RAGIONE_SOCIALE aggiuntiva a spese del creditore, tenuto conto anche della natura del servizio prestato avente ad oggetto prestazioni sanitarie.
Avverso la sentenza della Corte di Appello di L’RAGIONE_SOCIALE , RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo. Ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE .
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1. c.p.c.
Il Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
La parte ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. La ricorrente RAGIONE_SOCIALE lamenta con un unico articolato motivo di ricorso, la ‘ violazione e omessa applicazione delle norme di cui al d. lgs. n. 231 del 2002 che ha recepito la direttiva 2000/35/CE in punto alla lotta ai ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali con riferimento a ll’art. 7 nonché violazione dell’art. 1418 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso di dichiarare la nullità della clausola inserita nel contratto con cui le parti hanno derogato all’applicabilità degli interessi di mo ra ex d. lgs. 231/02 nel caso di ritardato pagamento ‘ ; in particolare, censura la decisione impugnata per non aver la Corte territoriale ritenuto ‘iniqua’ per il creditore, ancorché palesemente difforme ed in contrasto con il dettato legislativo e le finalità del d. lgs. n.231/2002, la clausola disciplinata all’art. 11.5 dell’accordo intercorso tra le parti (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) che prevedeva che : ‘in caso di mora correranno esclusivamente gli interessi in misura pari al saggio determinato in applicazione del primo comma dell’art. 1284 C.C.’ ; contesta come ‘ inaccettabile ‘ il rigetto dell ‘ eccepita nullità della clausola sull’assunto che la stessa era stata oggetto di ‘ specifica negoziazione e di doppia sottoscrizione da parte del creditore ‘ ; a parere della ricorrente,
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AVV_NOTAIO proprio da tale doppia approvazione la Corte d’appello, viceversa, avrebbe dovuto far discendere l’iniquità della postilla, stante sia l’evidente impossibilità di contrattazione della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE rispetto ad un atto predisposto unilateralmente da un contraente ‘forte’ come la RAGIONE_SOCIALE (come peraltro sarebbe confermato dalle avverse difese, che sul punto non avevano mosso né critiche né contestazioni) sia il palese tentativo attraverso la medesima negoziazione di sottrarsi ad una normativa vincolante ed imperativa.
L ‘ unico complesso motivo di ricorso proposto si rivela in parte inammissibile ed in parte infondato.
3.1. È anzitutto da disattendere in quanto la ricorrente con esso, attraverso la duplice violazione di legge lamentata, lungi da muovere la formale censura prospettata, tende in concreto ad ottenere un accertamento di merito alternativo a quello già compiutamente effettuato dalla Corte d’appello con la decisione impugnata , inammissibile in questa sede di legittimità (Cass. 6 – 3, 04/07/2017 n. 16467; Cass. Sez. 1, 23/05/2014 n. 11511; Cass. Sez. L, 13/06/2014 n. 13485; Cass. Sez. L, 15/07/2009 n. 16499).
3.2. Il motivo è pure infondato nella parte in cui pone la questione della omessa pronuncia in ordine alla asserita nullità dell’accordo intercorso tra le parti ed in particolare della clausola con cui esse hanno derogato alla applicabilità degli interessi di mora di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 231/2002 nel caso di ritardato adempimento; al riguardo, il Collegio condivide quanto osservato dal Pubblico Ministero nelle conclusioni scritte depositate in atti.
3.2.1. Giova rammentare, in via generale, come chiarito da questa Corte ancora di recente, che la disciplina, di cui si lamenta la violazione, dettata dal d. lgs. 9/01/2002, n. 231, introdotta in attuazione della direttiva 2000/35/CE (relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali), ha il chiaro intento di evitare che, nell’ambito delle transazioni commerciali, possano essere previste condizioni contrattuali che ritardino l’adempimento dell’obbligazione di pagare il prezzo e che si ripercuotano negativamente non soltanto sul singolo creditore, ma anche sull ‘intera attività
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RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE d’impresa e, quindi, sul settore del mercato di riferimento (Cass. Sez. 3, 08/02/2023 n. 3736).
Siffatto obiettivo è stato perseguito dal legislatore del 2002 mediante la previsione sia di termini di pagamento predeterminati e molto stringenti, con una forte limitazione alla eventuale deroga pattizia e la cui decorrenza comporta l’automatico obbligo di corresponsione degli interessi di mora, senza che sia necessaria la previa costituzione in mora sia della misura del saggio degli interessi per il ritardato pagamento pari al tasso di riferimento della Banca centrale Europea maggiorato di sette punti e, anche in questo caso, con possibilità di deroga pattizia al saggio previsto.
La direttiva 2011/7/UE e il d.lgs. n. 192 del 2012 hanno – in parte modificato la disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, prevedendo all’art. 5 che ‹‹nelle transazioni commerciali tra imprese è consentito alle parti di concordare un tasso di interesse diverso ma con esplicito riferimento ai limiti previsti dall’art. 7›› e prevedendo, al l’art. 7 nella sua nuova formulazione, espressamente, sia che la deroga al tasso degli interessi moratori sia ricompresa tra le clausole nulle in caso di grave iniquità, sia che la clausola che esclude l’applicazione di interessi di mora si presume gravemente iniqua e non è ammessa prova contraria. Dal 2012, dunque, è stato stabilito un limite espresso all’autonomia contrattuale, anche per la derogabilità della debenza degli interessi moratori, prevedendo testualmente la nullità della clausola che esclude l’applicazione di interessi di mora.
Questa Corte ha già avuto modo di verificare se l’art. 7 d.lgs. n. 231 del 2002, nella precedente formulazione, consentisse, oltre che di derogare al saggio previsto per gli interessi moratori, anche di escluderne pattiziamente l’applicazione, oppure se la clausola pattizia di deroga fosse soggetta ai suddetti limiti già nel regime precedente le modifiche intervenute nel 2012.
Alla luce del testo dell’art. 7, comma 1, nella precedente formulazione, secondo cui l’accordo sulla data del pagamento, o sulle conseguenze del ritardato pagamento, è nullo se, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla
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RAGIONE_SOCIALE condizione dei contraenti ed ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra circostanza, risulti gravemente iniquo in danno del creditore, questa Corte ha ritenuto preferibile l’interpretazione che riconosce continuità tra vecchia e nuova formulazione della norma in esame, sottolineando: ‹‹è del tutto evidente che la principale conseguenza del ritardato pagamento sia l’obbligo di pagare gli interessi e, dunque, l’esclusione di un tale obbligo doveva necessariamente rientrare tra le clausole suscettibili di valutazione di grave iniquità anche prima delle modifiche introdotte con il d.lgs. n. 192 del 2012 ›› ( in tal senso, la massima di Cass. Sez. 2, 19/05/2022, n. 16273).
Di recente, inoltre, questa Corte ha, ulteriormente, puntualizzato che la disciplina normativa in esame deve essere interpretata anche tenendo conto di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 16 febbraio 2017, RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE, in causa C- 555/14 (Cass., Sez. 3, 08/02/2023, n. 3736); con tale pronuncia, la Corte di giustizia ha evidenziato come lo scopo dell’articolo 7 della direttiva 2011/7 -che, per le transazioni commerciali, prevede che qualsiasi clausola contrattuale o prassi che escluda l’applicazione degli interessi di mora si debba considerare gravemente iniqua -sia quello di evitare che la rinuncia da parte del creditore agli interessi di mora o al risarcimento per i costi di recupero non intervenga a partire dalla conclusione del contratto, vale a dire nel momento in cui si esercita la libertà contrattuale del creditore e vi è il possibile rischio di un abuso di tale libertà da parte del debitore a danno del creditore (punto 30). Per contro, qualora le condizioni previste dalla direttiva 2011/7 siano soddisfatte e gli interessi di mora nonché il risarcimento per i costi di recupero siano esigibili, il creditore, tenuto conto della sua libertà contrattuale, deve rimanere libero di rinunciare agli importi dovuti a titolo di tali interessi e del risarcimento, in particolare quale corrispettivo del pagamento immediato del capitale (punto 31), come peraltro confermato dal considerando 16 della direttiva 2011/7, il quale precisa che essa non dovrebbe obbligare un creditore ad esigere interessi di mora (punto 32). Di conseguenza, la Corte di giustizia ha escluso che la direttiva 2011/7 osti a che il creditore rinunci agli importi
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RAGIONE_SOCIALE dovuti a titolo di tali interessi e del risarcimento, precisando, tuttavia, che ‹‹una simile rinuncia è subordinata alla condizione che il consenso sia stato effettivamente libero, di modo che la rinuncia stessa non deve costituire a sua volta un abuso della libertà contrattuale del creditore che sarebbe imputabile al debitore›› (punto 34); spetta quindi al giudice RAGIONE_SOCIALE verificare se il creditore abbia realmente potuto disporre di tutti i mezzi di ricorso effettivi per richiedere (se lo avesse voluto) il pagamento del suo intero credito, ivi compresi gli interessi di mora (cfr. in tema di accordi transattivi, Cass. Sez. n. 10892/2023).
Le Sezioni unite di questa Corte hanno sul punto altresì chiarito che rientrano nella nozione di transazione commerciale, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 231 del 2002, le prestazioni sanitarie delle strutture private accreditate col RAGIONE_SOCIALE erogate agli assistiti in base ad un contratto – accessivo all’accredi tamento concluso in forma scritta con la P.A. dopo l’8 agosto 2002, avente la natura di contratto a favore di terzi ad esecuzione continuata e contenente la previsione dell’obbligo di pagamento di un corrispettivo, la cui ritardata esecuzione comporta il riconoscimento degli interessi moratori ex art. 5 del d.lgs. citato (cfr. Cass. Sez. U. 14.12.2023, n. 35092).
3.2.2. Tanto rammentato del quadro normativo generale, e venendo all’esame della fattispecie , non sussiste l’omessa pronuncia denunciata dalla parte ricorrente.
Ebbene la Corte d’appello aquilana ha dapprima richiamato correttamente il citato precedente di questa Corte del 2019, a mente del quale in tema di prestazioni sanitarie erogate in favore dei fruitori del servizio da strutture private preaccreditate con lo Stato, il diritto di queste ultime a vedersi corrispondere dal soggetto pubblico gli interessi di mora, nella misura prevista dal d.lgs. n. 231 del 2002, sorge soltanto qualora, in data successiva all’8 agosto 2002, sia stato concluso, tra l’Ente pubblico competente e la struttura, un contratto avente forma scritta a pena di nullità (sussumibile nella “transazione commerciale” di cui all’art.2, comma 1, lett. a, del citato decreto) con il quale l’Ente abbia assunto l’obbligo, nei confronti della struttura privata,
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RAGIONE_SOCIALE di retribuire, alle condizioni e nei limiti ivi indicati, determinate prestazioni di RAGIONE_SOCIALE da essa erogate (v. Cass. Sez. 3, n. 17665/2019 cit.).
La Corte ha escluso poi che nella pattuizione derogatoria prevista dalla clausola 11.5. del contratto in esame sussistessero requisiti di iniquità indicati nell’art. 7, 1 e 2 comm i, d. lgs. n. 231/2002, risultando, al contrario, che per le modalità di stipulazione, stante la doppia sottoscrizione della stessa clausola di entrambe le parti, la natura del servizio prestato avente ad oggetto prestazioni sanitarie e le finalità perseguite, lontane dal proRAGIONE_SOCIALEre al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, non vi fossero elementi, neppure specificatamente addotti dalla parte appellante, per ritenerne la nullità (cfr. in particolare punti da 2.5. a 2.20, pagg. 10-14 della motivazione della sentenza impugnata).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.q.r.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3200,00, di cui euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, d à atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile 28