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Interessi di mora: quando la clausola è valida?

Una società di factoring ha agito contro un’Azienda Sanitaria Locale per il pagamento degli interessi di mora dovuti a una casa di cura per ritardati pagamenti, in deroga a una clausola contrattuale. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che la clausola, pur derogando alla normativa sugli interessi di mora, non era da considerarsi ‘gravemente iniqua’ e quindi nulla. La decisione si è basata sulla specifica negoziazione tra le parti, evidenziata dalla doppia sottoscrizione, e sulla natura del servizio sanitario, escludendo che lo scopo fosse quello di procurare liquidità al debitore a spese del creditore.

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Interessi di Mora: Non Sempre Nulle le Clausole di Esclusione

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 27119 del 2024 offre un’importante analisi sulla validità delle clausole contrattuali che derogano all’applicazione degli interessi di mora previsti dal D.Lgs. 231/2002. Questa normativa, nata per contrastare i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, stabilisce regole precise. Tuttavia, le parti possono accordarsi diversamente? La Corte ha chiarito che non ogni deroga è nulla, ma è necessario un esame caso per caso per valutarne la legittimità.

I fatti di causa

Una società di factoring, in qualità di cessionaria del credito di una casa di cura privata accreditata, otteneva un decreto ingiuntivo contro un’Azienda Sanitaria Locale (ASL) per il pagamento degli interessi di mora dovuti per il ritardo nel saldo di alcune fatture. L’ASL si opponeva, facendo valere una clausola specifica dell’accordo stipulato con la casa di cura. Tale clausola prevedeva che, in caso di ritardato pagamento, sarebbero stati applicati esclusivamente gli interessi al tasso legale (ex art. 1284 c.c.), e non quelli, ben più elevati, previsti dal D.Lgs. 231/2002.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano ragione all’ASL, rigettando la richiesta della società di factoring. La Corte territoriale, in particolare, riteneva che la clausola non fosse ‘gravemente iniqua’ e quindi non fosse nulla, poiché era stata oggetto di specifica negoziazione e doppia sottoscrizione da entrambe le parti. La società di factoring ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La questione giuridica e gli interessi di mora

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione dell’art. 7 del D.Lgs. 231/2002. Questa norma sancisce la nullità degli accordi sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardo che risultino ‘gravemente iniqui’ in danno del creditore. La ricorrente sosteneva che la clausola in questione fosse proprio questo: un accordo palesemente iniquo, volto a sottrarre l’ente pubblico debitore all’applicazione di una normativa imperativa, nonostante la formale doppia approvazione.

La questione era quindi stabilire se l’esclusione degli interessi di mora legali in favore di un tasso inferiore fosse di per sé una clausola nulla, o se la sua validità dipendesse da un’analisi più ampia del contesto contrattuale.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito. I giudici hanno chiarito che, sebbene la disciplina del D.Lgs. 231/2002 miri a proteggere i creditori, non esclude in assoluto l’autonomia contrattuale delle parti. La nullità per ‘grave iniquità’ non è automatica ma deve essere accertata in concreto.

Nel caso specifico, la Corte ha valorizzato diversi elementi per escludere la nullità:
1. Modalità di stipulazione: La clausola era stata oggetto di ‘doppia sottoscrizione’ da parte di entrambi i contraenti. Questo elemento, secondo la Corte, indicava una specifica negoziazione e consapevolezza, allontanando l’ipotesi di un’imposizione unilaterale da parte del contraente ‘forte’ (la P.A.).
2. Natura del servizio: Si trattava di prestazioni sanitarie. La Corte ha ritenuto che le finalità perseguite fossero lontane da quelle di procurare al debitore (l’ASL) liquidità aggiuntiva a spese del creditore, che è una delle principali ragioni di iniquità sanzionate dalla normativa.
3. Assenza di prova dell’iniquità: La parte appellante non aveva fornito elementi specifici per dimostrare che, nel contesto del rapporto, la clausola fosse effettivamente e gravemente iniqua, al di là della semplice difformità rispetto alla legge.

La Corte ha quindi concluso che, in assenza di prove concrete di un abuso o di uno squilibrio significativo imposto al creditore, la clausola frutto di un accordo consapevole tra le parti dovesse ritenersi valida.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la nullità delle clausole in deroga alla disciplina sugli interessi di mora non è presunta in modo assoluto. Il giudice deve condurre un’attenta valutazione del singolo caso, considerando le modalità di formazione del contratto, la natura della transazione e l’equilibrio complessivo del rapporto. La doppia sottoscrizione, pur non essendo una garanzia di validità assoluta, rappresenta un forte indizio di una negoziazione effettiva che può escludere la grave iniquità della clausola. Pertanto, la semplice previsione di un tasso di interesse inferiore a quello legale non è sufficiente, da sola, a determinare la nullità dell’accordo.

È sempre nulla una clausola che esclude gli interessi di mora previsti dal D.Lgs. 231/2002?
No, non è sempre nulla. La sua nullità dipende da una valutazione concreta del giudice, che deve accertare se la clausola risulti ‘gravemente iniqua’ per il creditore, considerando tutte le circostanze del caso.

Cosa valuta il giudice per decidere se una clausola sugli interessi di mora è ‘gravemente iniqua’?
Il giudice valuta diversi fattori, tra cui le modalità di stipulazione del contratto (come la doppia sottoscrizione, che indica una negoziazione), la corretta prassi commerciale del settore, la natura dei beni o servizi oggetto del contratto e se la clausola mira a procurare al debitore liquidità ingiusta a spese del creditore.

La doppia sottoscrizione di una clausola la rende automaticamente valida?
No, non la rende automaticamente valida, ma è un elemento molto importante che il giudice considera. Indica che il creditore era consapevole del contenuto della clausola e l’ha specificamente approvata. Nel caso esaminato, questo elemento è stato decisivo per escludere la nullità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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