Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19211 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19211 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 31169 – 2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, succeduta per fusione a RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale è rappresentata, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
AVV_NOTAIO NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso da sé stesso in proprio e dall’AVV_NOTAIO, giusta procura a quest’ultima in calce al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 5960/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, pubblicata il 26/9/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
6/12/2023 dal consigliere COGNOME;
lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Con decreto ingiuntivo n. 12445/06, il Tribunale di Roma ordinò a RAGIONE_SOCIALE di pagare all’AVV_NOTAIO la somma di Euro 67.808,00 oltre gli interessi legali maturati dal giorno 8/11/2001 (data di messa in mora) al giorno 8/8/02, nonché agli ulteriori interessi moratori ex legge 231/2002 fino all’effettivo saldo.
L’ingiunzione era stata chiesta a titolo di pagamento di una nota spese elaborata in riferimento a due preavvisi di parcella, relativi all’ attività professionale prestata dall’AVV_NOTAIO, subentrato a precedente difensore, in favore di ICCRI Banca Federale Europea (cui era poi succeduta RAGIONE_SOCIALE), in un giudizio dinanzi alla Corte d’ appello di Torino negli anni 1999 e 2000 e per la successiva redazione del ricorso per cassazione, in materia di insinuazione al passivo.
Per quel che qui ancora rileva, con sentenza n. 8511/2011 il Tribunale di Roma rigettò l’opposizione con cui RAGIONE_SOCIALE (a mezzo della mandataria –RAGIONE_SOCIALE) aveva lamentato l’erroneità dell’ingiunzione con riferimento all’addebito di interessi di mora al tasso previsto dal d.lgs. 231/02 anziché al tasso legale, per essere tale norma inapplicabile alla fattispecie ratione temporis e con riferimento agli interessi addebitati sugli oneri fiscali e previdenziali non ancora sostenuti, in difetto di emissione di fattura.
Il Tribunale dichiarò altresì inammissibile la domanda riconvenzionale proposta da ll’avvocato opposto , di risarcimento del
maggior danno causatogli dal mancato pagamento e dalla mancata disponibilità delle somme a lui spettanti.
3. Con la sentenza n. 5960/2018, la Corte d’Appello rigettò l’eccezione di inammissibilità dell’appello in applicazione del principio di apparenza, per avere il Tribunale applicato il rito ordinario e non il rito ex art. 14 d.lgs. n.150/2011 e pronunciato sentenza; respinse, quindi, per quel che qui ancora rileva, l’impugnazione del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, succeduta a RAGIONE_SOCIALE, perché ritenne che il primo comma dell’art. 1 del d.lgs n. 231/2002, sia nel testo vigente dal 7.11.2002 al 29.11.2012 sia nel testo attuale, prevedendo che «le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale» si sia sempre riferito ai pagamenti, sicché il successivo articolo 11 deve essere interpretato nel senso che le disposizioni del decreto si applicano ai pagamenti futuri e «non a quelli già effettuati», così risultando applicabile a «prestazioni già definite prima dell’entrata in vigore e, tuttavia, saldate a notevole distanza di tempo, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo».
In conseguenza, la Corte territoriale confermò che correttamente all’avvocato fossero stati riconosciuti gli interessi ex art. 5 dello stesso d.lgs. 231/2002 perché in tale misura dovuti fino al pagamento del credito professionale; rigettò pure il motivo d’appello concernente la non debenza degli interessi sugli oneri fiscali e previdenziali non ancora sostenuti, ritenendo che la sentenza di primo grado ne avesse stabilito l’ applicazione soltanto eventuale, qualora si fossero verificati ulteriori ritardi nel pagamento all’atto dell’emissione della fattura; dichiarò , quindi, assorbito, perché condizionato, l’appello incidentale proposto dall’avvocato avverso la dichiarazione di inammissibilità della sua domanda di risarcimento.
Avverso questa sentenza RAGIONE_SOCIALE BPM, succeduto a RAGIONE_SOCIALE, ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi; l’AVV_NOTAIO ha proposto ricorso incidentale condizionato per un motivo a cui RAGIONE_SOCIALE BPM ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., RAGIONE_SOCIALE BPM ha lamentato la violazione e falsa applicazione della disciplina transitoria prevista, per gli interessi di mora, dall’art. 11 co mma 1 del d. lgs. 231/2002: la Corte d’appello non avrebbe correttamente applicato i principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui il diritto a vedersi corrispondere gli interessi di mora, nella misura prevista dal d.lgs. n. 231 del 2002, sorge soltanto qualora il relativo contratto sia stato concluso in data successiva all’8 agosto 2002.
1.1. Il motivo è fondato.
Il d.lgs. 9 ottobre 2002 n. 231, recependo la direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 giugno 2000 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento di nelle transazioni commerciali (poi modificata dalla direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011, recepita dal d.lgs. 9 novembre 2012 n. 192), all’articolo 1 prevede la propria applicazione «ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale» e, all’articolo 2, al primo comma, lettera a), che per «transazioni commerciali» debbano intendersi «i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo»; quindi, alla lettera c) dello stesso comma, è pure precisato
che per «imprenditore» debba intendersi «ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione».
Infine, per quanto qui interessa, l’articolo 11 (rubricato «Norme transitorie finali») stabilisce, al primo comma l’inapplicabilità del decreto «ai contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002», salve le «vigenti disposizioni del codice civile e delle leggi speciali che contengono una disciplina più favorevole per il creditore».
La transazione commerciale, in assenza di espresse limitazioni, deve essere intesa come ricomprendente tutte le prestazioni di servizio , tra cui anche le prestazioni d’opera professionale, perché il termine transazione commerciale non introduce un nuovo tipo contrattuale, ma indica soltanto l’ambito di applicazione della disciplina, ovvero riassume il genus dei contratti ai quali quest’ultima si applica, sicché si identifica con la categoria di contratti di scambio che operano la creazione o circolazione della ricchezza, stipulati da soggetti qualificati e caratterizzati dal pagamento di un prezzo.
É necessario, tuttavia, che la fonte contrattuale della obbligazione di pagamento sia successiva alla data dell’8 agosto 2002, così che l’obbligazione di pagamento derivante da contratti conclusi prima di tale data è sottoposta al diritto comune e non al diritto speciale introdotto dal d.lgs. e ciò anche se l’obbligazione di pagamento venga a maturare in data successiva all’8 agosto 2002: risulta, infatti, essenziale, per escludere l’applicazione della normativa, che essa derivi da contratto anteriore alla predetta data.
La ratio della norma è stata individuata altresì nella necessità di consentire alla parte contraente la prevedibilità delle conseguenze del proprio inadempimento anche per quanto attiene al profilo degli interessi moratori, sicché la parte inadempiente non si trovi assoggettata alle ben più gravi conseguenze in termini economici
scaturenti dall’applicazione del saggio di interessi di cui all’art. 5 (cfr. Cass. Sez. 2, n. 10528 del 31/03/2022).
L’argomento della Corte d’appello fondato sulla lettura dell’art. 1 , secondo cui le disposizioni contenute nel decreto si applicano «ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo» in una transazione commerciale non è dirimente perché il successivo art. 11 comunque prevede esplicitamente il discrimine temporale dell’applicazione in riferimento alla «conclusione del contratto» e, dunque, non ai «pagamenti effettuati a titolo di corrispettivo».
1.2. Quel che, allora, la Corte d’appello avrebbe dovuto verificare è quando potesse dirsi sorto il di ritto al compenso dell’avvocato, considerato il principio dell’autonomia concettuale e giuridica tra procura alle liti e contratto di mandato, in quanto la procura alle liti è negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio mentre il mandato sostanziale costituisce il negozio bilaterale (cd. contratto di patrocinio) con il quale il legale viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte (Cass. Sez. 2, n. 13963 del 16/06/2006; Sez. 2, n. 6905 del 11/03/2019; Sez. 6 – 3, n. 8863 del 31/03/2021).
Riconoscendo, invece, l’applicabilità dell’art. 5 del d.lgs. 231/2002 soltanto in riferimento alla data della richiesta di pagamento la Corte territoriale non ha deciso conformemente ai principi suesposti: in accoglimento della censura, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata.
Dall’accoglimento del primo motivo consegue logicamente l’assorbimento del secondo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., con cui RAGIONE_SOCIALE BPM ha prospettato la nullità della sentenza per violazione dell’art. 653 co. 1 cod. proc. civ. e dell’art. 132 co. 2 n. 4 cod. proc. civ. per non avere la
Corte d’appello, pur confermando il principio di inesigibilità degli interessi su CPA e IVA prima dell’emissione della fattura, provveduto alla parziale revoca del decreto ingiuntivo e per non aver reso una motivazione del rigetto dell’appello.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato, non articolato in riferimento ad alcuno dei vizi del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , l’AVV_NOTAIO ha chiesto che sia rivista la qualifica di domanda riconvenzionale sulla richiesta del maggior danno ex art 1224 cod. civ., trattandosi in realtà di un mero accessorio e che sia pertanto concessa la rivalutazione monetaria compensandola equitativamente ex art. 1226 con gli interessi già concessi nel decreto ingiuntivo sulla base di detto d.lgs 231/2002.
3.1. Il ricorso incidentale è inammissibile, anche se qualificato come condizionato, perché non giustificato dalla soccombenza e proposto al solo scopo di risollevare questioni che non sono state decise dal giudice di merito perché assorbite dall’accoglimento di altra tesi, avente carattere preliminare: in tale ipotesi, infatti, resta salva la facoltà di riproporre la questione dinnanzi al giudice del rinvio in caso di cassazione della sentenza in accoglimento del ricorso principale (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 29662 del 25/10/2023; Sez. L, n. 12680 del 29/08/2003).
Concludendo, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, perché riesamini la questione della applicabilità alla fattispecie del d.lgs 231/2002 e statuisca anche per le spese di legittimità; il ricorso incidentale è, invece, inammissibile.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente
incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso principale, assorbito il secondo motivo; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda