Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30439 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 30439 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/11/2024
Oggetto: intermediazione finanziaria – risarcimento del danno
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 36800/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente, controricorrente in via incidentale contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo , sito in Roma, INDIRIZZO – controricorrente, ricorrente in via incidentale – avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 5330/2019, depositata il 3 settembre 2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’11 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo, in via principale, l’accoglimento del ricorso incidentale e, in via subordinata, la rimessione della questione alle Sezioni Unite;
uditi gli AVV_NOTAIO, per delega dell’AVV_NOTAIO, per la ricorrente, e l’AVV_NOTAIO, per la controricorrente
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, depositata il 3 settembre 2019, che, in accoglimento dell’appello della RAGIONE_SOCIALE (oggi, RAGIONE_SOCIALE): i) ha dichiarato la nullità dell’acquisto di bond argentini effettuato l’8 luglio 1998, condannandola alla restituzione in favore dell’RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 102.258,38, oltre interessi legali, versata in esecuzione di tale operazione; ii) la ha, altresì, condannata al risarcimento dei danni in favore dell’RAGIONE_SOCIALE medesima, quantificati in euro 1.088.200,89, per violazione dei doveri di informazione al cliente e di corretta esecuzione di altre operazioni di investimento, anche esse relative ad altre sette operazioni di acquisto di bond argentini.
La Corte di appello ha accolto il gravame evidenziando che, quanto alla domanda restitutoria relativa all’operazione intervenuta l’8 luglio 1998, erroneamente il giudice di primo grado aveva accolto l’eccezione di prescrizione, atteso che il relativo termine era stato interrotto dalla RAGIONE_SOCIALE, e che, quanto alla domanda risarcitoria, la banca intermediaria aveva reso edotto l’investitrice del rischio specifico delle operazioni e non aveva agito in conflitto di interessi.
Il ricorso è affidato a sette motivi.
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la quale propone ricorso incidentale, articolato in un unico motivo.
Avverso tale ricorso incidentale la RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
Con ordinanza interlocutoria n. 2385 del 24 gennaio 2024 la causa è rimessa all’odierna udienza pubblica in ragione della particolare rilevanza della questione relativa all’interpretazione dell’art. 7, secondo comma, della delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000 e, per l’esattezza , alle condizioni in presenza delle quali le clausole anatocistiche inserite nei contratti di conto corrente conclusi prima dell’entrata in vigore di tale delibera possano essere ritenute valide per il periodo successivo.
Il pubblico ministero deposita conclusioni scritte e la ricorrente principale memoria ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale la banca denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1422, 2033, 2934, 2935, 2943 e 2946 cod. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE avesse validamente interrotto il termine di prescrizione dell’azione restitutoria dipendente dalla declaratoria di nullità del primo ordine di borsa dell’8 luglio 1998 . E videnzia, sul punto, che l’atto di diffida e costituzione in mora inviato dalla investitrice -elevata dal giudice di merito a idoneo atto interruttivo della prescrizione -era generico e non riferibile alla dedotta nullità di protezione (consistente nel difetto del requisito di forma del relativo contratto) e, comunque, non poteva spiegare i suoi effetti anche in relazione a diritti potestativi, quali quelli miranti a una pronuncia di nullità relativa.
Il motivo è inammissibile.
L ‘atto di diffida e costituzione in mora del debitore è un atto giuridico in senso stretto, unilaterale e recettizio (cfr. Cass. 8 ottobre
2021, n. 27412; Cass. 7 maggio 2021, n. 12182), cui trovano applicazione, in via analogica, le regole di ermeneutica degli atti negoziali, sia pure nel limite della loro compatibilità imposto dal fatto che si tratta di una manifestazione di volontà i cui effetti sono direttamente determinati dalla norma che li disciplina (cfr. Cass. 11 maggio 2018, n. 11416; Cass. 23 maggio 2014, n. 11579; Cass. 22 febbraio 2001, n. 2600).
Da ciò consegue che l’attività interpretativa di tale atto si traduce in un’indagine di fatto istituzionalmente affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei soli casi di vizi motivazionali ovvero di inosservanza delle norme ermeneutiche compatibili con gli atti giuridici in senso stretto (cfr., altresì, Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536).
L ‘ interpretazione del contenuto di tale atto compiuta dal giudice di appello non è stata censurata sotto nessuno dei menzionati profili, precludendo ogni indagine da parte di questa Corte.
14. Può, inoltre, osservarsi che non trova applicazione al caso in esame il principio, richiamato dalla ricorrente, della inidoneità dell’atto stragiudiziale di diffida e costituzione in mora a interrompere il termine prescrizione previsto per l’esercizio di diritti potestativi, venendo in rilievo l’allegazione di un diritto soggettivo -avente a oggetto la ripetizione di somme indebitamente versate -cui corrisponde un obbligo di prestazione della controparte, non richiedente una pronuncia costituiva del giudice.
15. Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1241, 1243, 1418, 1422, 2033 e 2038 cod. civ., per aver la Corte di appello omesso di disporre la restituzione alla banca intermediaria dei titoli oggetto dell’acquisto effettuato l’8 luglio 1998 (o, meglio, di quelli ricevuti in luogo di quelli originari a seguito dell’adesione alla Offerta Pubblica di Scambio Argentina del 2010) e dei relativi frutti civili.
16. Il motivo è inammissibile.
Come evidenziato nella stessa massima giurisprudenziale richiamata dalla relativa parte nel ricorso -rappresentata da Cass. 16 marzo 2018, n. 6664 -, l’obbligo del giudice di ordinare la restituzione di quanto indebitamente ricevuto in esecuzione di un contratto di cui è dichiarata la nullità è subordinato alla domanda di parte e all’assolvimento degli oneri di allegazione e di prova.
Nella sentenza impugnata non vi è menzione della proposizione di una siffatta domanda, né la questione risulta essere stata ivi affrontata.
La parte, poi, non ha offerto una puntuale indicazione dell’avvenuta formulazione di una tempestiva domanda sul punto, limitandosi a richiamare le conclusioni rassegnate in sede di appello, in quanto tali non utili poiché non tempestive.
20. Con il terzo motivo la ricorrente principale si duole, con riferimento al capo della decisione vertente sulla domanda risarcitoria, della violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1394, 1395 e 2697 cod. civ. e 23 e 23 t.u.f., per aver la sentenza impugnata: omesso di rilevare che l’investitrice aveva rinunciato, nel corso del giudizio, al disconoscimento originariamente effettuato della conformità all’originale de lle copie dei moduli informativi prodotti dalla banca; accertato il conflitto di interesse della banca in ragione della negoziazione in contropartita diretta e ritenuto tale conflitto di interesse fonte di responsabilità contrattuale; riscontrato la sussistenza della violazione degli obblighi informativi benché l’investitrice avesse rifiutato di fornire informazioni relative alla sua propensione al rischio e ai suoi obiettivi di investimento e gli acquisti in contestazione fossero stati «fortissimamente voluti» dai rappresentanti dell’RAGIONE_SOCIALE, titolare, all’epoca, di un portafoglio titoli di un valore di oltre lire 4 mld. e strutturata con organi interni di revisione e controllo.
Evidenzia, inoltre, che gli ordini di acquisto, debitamente prodotti in giudizio, recavano l’avvertenza che l’operazione sarebbe avvenuta
fuori dai mercati regolamentarti e che la stessa presentava rischi in relazione al fatto che i prodotti finanziari erano ad alto rendimento ed erano emessi da Paesi emergenti, per cui aveva assolto agli obblighi informativi sulla stessa gravanti.
Riferisce di aver proceduto alla valutazione di adeguatezza degli investimenti effettuati.
Contesta la valutazione del giudice di merito in ordine al fatto che, al momento dell ‘esecuzione dell e operazioni, il rating dei titoli aveva già iniziato a peggiorare significativamente, sottolineando che solo una agenzia aveva provveduto al downgrading dell’emittente e che tale circostanza non era mai stata considerata come oggettivo indicatore della crisi di quest’ultimo . Aggiunge, sul punto, che, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, non era tenuta a informare l’investitore dell’ avvenuto declassamento dei titoli.
Infine, con riferimento alla contestata mancata informativa in ordine alla necessità di diversificare l’investimento, lamenta la mancata considerazione del fatto che l’RAGIONE_SOCIALE era una «convinta» investitrice in titoli provenienti dalla Repubblica Argentina e, dunque, delle sue caratteristiche, abitudini e obiettivi di investimento.
25. Il motivo è inammissibile.
Quanto alla mancata considerazione della rinuncia al disconoscimento delle copie dei moduli informativi prodotti dalla banca, la doglianza si presenta priva della necessaria specificità, mancando utili elementi a offrire riscontro dei fatti allegati e, in particolare, della loro concludenza ai fini dell’accertamento dell’adempimento degli obblighi informativi contestati all’intermediario , difettando la riproduzione del relativo contenuto.
27. In ordine alla accertata violazione degli obblighi informativi sul grado di rischiosità delle operazioni, sulla loro inadeguatezza e sulla sussistenza di rischi di default dell’emittente al momento dell ‘esecuzione delle operazioni , la censura, nella parte in cui si fonda
sulla mancata considerazione degli ordini di acquisto prodotti in giudizio e delle indicazioni ivi contenute, si risolve in una critica alla valutazione degli elementi probatori effettuata dal giudice di appello.
28. Tale censura, sollecitando un diverso apprezzamento dei fatti storici, non può trovare ingresso in questa sede (cfr. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476).
29. Con particolare riferimento alla mancata profilatura dell’investitore per indisponibilità dell’investitore, deve rilevarsi che la deduzione è priva di autosufficienza, mancando elementi idonei a consentire di ritenere che la questione sia stata prospettata nel giudizio di merito. 30. In ogni caso, può aggiungersi che nel caso in cui l’investitore, nel contratto-quadro, si sia rifiutato di fornire le informazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio, l’intermediario finanziario non è esonerato dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione di investimento, da condurre in base ai principi generali di correttezza e trasparenza e tenendo conto di tutte le notizie di cui egli sia in possesso (cfr. Cass. 16 marzo 2016, n. 5250; Cass. 19 ottobre 2012, n. 18039).
31. Non pertinente è la deduzione relativa alla forte volontà dell’investitore di acquistare i titoli in oggetto -anch’essa, peraltro, priva di alcun riscontro in sentenza -inidonea a far venir meno la sussi stenza degli obblighi informativi dell’intermediario, avuto riguardo alla finalità in funzione del cui perseguimento sono previsti a carico dell’intermediario tali obblighi informativi (attivi e passivi), consistente nel riequilibrio dell’asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore e nel consentire a quest’ultimo una scelta realmente consapevole (cfr., in tema, Cass., 11 novembre 2021, n. 33596; Cass. 28 luglio 2020, n. 16126; Cass. 17 luglio 2020, n. 7905).
32. Con riguardo al conflitto di interesse della banca, ritenuto dalla sentenza in ragione del l’accertata cessione dei titoli all’investitore in
contro
partita diretta, se è vero che -diversamente da quanto ivi affermato -una siffatta negoziazione, costituendo una delle modalità con le quali l’intermediario può dare corso ad un ordine di acquisto o di vendita di strumenti finanziari impartito dal cliente, non comporta, di per sé sola, una situazione di conflitto di interesse (cfr. Cass. 9 giugno 2016, n. 11876; Cass. 22 dicembre 2011, n. 28432), ciò nonostante anche essa è soggetta agli obblighi informativi previsti dall’art. 21 t.u.b. e dalla normativa secondaria.
33. Non coglie, invece, la ratio decidendi la censura della ricorrente nella parte in cui critica la decisione impugnata per aver posto a carico dell’intermediario un obbligo di «informativa successiva» in ordine all’andamento del titolo . Infatti, la sentenza impugnata, lungi, dall’accertare l’esistenza e la violazione di uno specifico obbligo informativo avente a oggetto variazioni della quotazione dei titoli acquistati, si limita a evidenziare, a margine della rilevata mancata prova da parte della banca di aver assolto agli obblighi informativi sulla stessa gravanti, che l’esistenza di una preventiva informazione in ordine alla rischiosità dei titoli che l’investitore intendeva acquistare non poteva desumersi -indirettamente -neanche dalla comunicazione di informazioni relative ai titoli di analoga natura già acquistati in precedenza, in quanto una siffatta informazione non era stata resa.
34. Con il quarto motivo la ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 cod. civ. , per aver la Corte di appello accolto la domanda di risarcimento dei danni benché la stessa fosse stata formulata solo in dipendenza dell’accoglimento dell’azione di risoluzione del contratto-quadro che la Corte medesima, tuttavia, non aveva esaminato.
Il motivo è inammissibile.
36. Quanto allegato dalla banca in ordine alla proposizione della domanda risarcitoria solo quale domanda dipendente dalla domanda risolutoria del contratto quadro non trova riscontro nella sentenza
impugnata.
37. In ogni caso, si osserva che l ‘ erronea interpretazione delle domande giudiziali non è censurabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto con censura, non prospettata dalla ricorrente, formulata ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (così, Cass. 3 dicembre 2019, n. 31546). 38. Con il quinto motivo la ricorrente principale critica la sentenza impugnata per omessa pronuncia in ordine all’eccezione avente a oggetto l’insussistenza del nesso causale .
39. Il motivo è infondato.
40. Il nesso causale rappresenta un elemento costitutivo della domanda di risarcimento dei danni per violazione degli obblighi informativi, per cui la sentenza che accoglie una siffatta domanda implicitamente contiene in sé anche l’accertamento della sussistenza di tale requisito. Per tale ragione non si ravvisa il prospettato vizio di nullità della sentenza.
Con il sesto motivo la ricorrente principale censura la decisione di appello per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. , nella parte in cui, con riferimento agli ordini successivi a quello ritenuto nullo, ha omesso di disporre la restituzione in suo favore dei rendimenti incassati dall’investitore e derivanti dai nuovi titoli ottenuti a seguito dell’adesione alla Offerta Pubblica di Scambio effettuata dall’emittente . 42. Il motivo è inammissibile.
Nella sentenza impugnata non vi è menzione della proposizione di una siffatta domanda, né la questione risulta essere stata ivi affrontata. 44. La banca non ha offerto una puntuale indicazione dell’avvenuta formulazione di una tempestiva domanda sul punto, limitandosi a richiamare le conclusioni rassegnate in sede di appello e, dunque, non
utilmente utilizzabili ai fini che interessano poiché tardive.
45. Può, in ogni caso, aggiungersi che la sentenza impugnata, nel liquidare il danno risarcibile, ha tenuto conto delle cedole incassate dall’investitore, sottraendo il relativo importo dall’importo investito.
46. Con l’ultimo motivo la ricorrente principale deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1243 cod. civ. e, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., 112 cod. proc. civ., per aver la Corte di appello liquidato il danno detraendo dall’importo versato dall’investitore quello delle cedole riscosse, nonché il valore, al 30 novembre 2011, dei titoli attribuiti a questi attribuiti in occasione dell’offerta pubblica di scambio . Critica, in particolare, la decisione per aver detratto dall’importo risarcitorio tale ultimo valore, anziché disporre la restituzione in suo favore dei relativi titoli.
Il motivo è inammissibile.
Va premesso che risulta non pertinente il riferimento operato dalla ricorrente all’istituto della compensazione giudiziale, atteso che la sentenza non ha fatto ricorso a tale istituto, ma, nel liquidare il danno, ha selezionato le diverse voci che ha ritenuto espressive del pregiudizio economico sofferto.
49. Ciò posto, si osserva che la sentenza di appello non ha dichiarato o disposto la caducazione delle operazioni cui si riferiscono le condotte inadempienti dell’intermediario , per cui nessun obbligo restitutorio era configurabile a carico dell’investitore .
50. C on l’unico motivo cui è affidato il ricorso incidentale si denuncia la violazione degli artt. 1219, 2033 e 2943, quarto comma, cod. civ., per aver la Corte di appello omesso, nel dispositivo, di condannare la banca al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, (anche) degli interessi legali, dalla domanda al saldo, sull’importo di euro 1.088.200,89, benché tale voce risarcitoria fosse stata riconosciuta nella parte motiva della decisione.
51. Evidenzia, in ogni caso, che la sentenza impugnata, quand’anche
intesa nel senso espresso nella motivazione, sarebbe erronea in quanto gli interessi legali andrebbero riconosciuti dalla data di acquisto dei titoli (o quanto meno dalla data di costituzione in mora) e non dalla data della domanda.
52. Il motivo è fondato.
53. Va preliminarmente premesso che la RAGIONE_SOCIALE ha allegato, offrendone dimostrazione con la memoria depositata, che, con ordinanza, la Corte d’Appello ha corretto l’errore materiale di cui era affetto il dispositivo della sentenza impugnata, condannando la banca «al pagamento nei confronti di RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, ed a titolo di risarcimento danni che si quantificano nella misura di €. 1.088.200,89, oltre interessi legali dalla domanda al saldo».
54. La censura va, quindi , circoscritta all’esame della contestata individuazione del giorno di decorrenza degli interessi legali. Sul punto, si rammenta che l’obbligazione di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale costituisce, al pari dell’obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito non di valuta, ma di valore, che tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, sicché deve tenersi conto della svalutazione monetaria frattanto intervenuta, senza necessità che il creditore stesso alleghi e dimostri il maggior danno ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, cod. civ., detta norma attenendo alle conseguenze dannose dell’inadempimento, ulteriori rispetto a quelle riparabili con la corresponsione degli interessi, relativamente alle sole obbligazioni pecuniarie (cfr., ex plurimis , Cass. 19 gennaio 2022, n. 1627; Cass. 20 aprile 2020, n. 7948; Cass. 27 giugno 2016, n. 13225; Cass. 5 maggio 2016, n. 9039).
55. Qualora la liquidazione del danno sia effettuata per equivalente, con riferimento, cioè, al valore del bene perduto dal danneggiato all’epoca dell’illecito, e tale valore venga poi espresso in termini
monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva, è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli stato provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma e tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l’attribuzione degli interessi sulla somma via via rivalutata anno per anno (cfr. Cass., Sez. Un., 17 febbraio 1995, n. 1712). In questi casi la rivalutazione monetaria e gli interessi legali assolvono a funzioni diverse, giacché la prima mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato ovviando in tal modo al deprezzamento del valore del bene intervenuto medio tempore , mentre i secondi hanno natura compensativa, rappresentando il danno dalla mancata disponibilità del bene per tutto il tempo che intercorre fra l’illecito e la liquidazione (cfr., altresì, Cass. 19 giugno 2004, n. 18653; Cass. 8 agosto 2003, n. 11961; Cass. 1° luglio 2002, n. 9517).
56. Secondo un primo orientamento mentre nelle ipotesi di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito gli interessi sulle somme di denaro, liquidate a titolo risarcitorio, decorrono dalla data in cui il danno si è verificato, in quanto, ai sensi dell’art. 1219, secondo comma, cod. civ., il debitore del risarcimento del danno è in mora dal giorno della consumazione dell’illecito, nelle ipotesi di responsabilità da inadempimento contrattuale, gli interessi decorrono dalla domanda giudiziale, che è l’atto idoneo a porre in mora il debitore (cfr. Cass. 5 agosto 2019, n. 20883; Cass. 5 aprile 2016, n. 6545; Cass. 20 aprile 2009, n. 9338; Cass. 25 settembre 1997, n. 9415; Cass. 27 gennaio 1996, n. 637).
57. In alcuna pronunce, tuttavia, è stato affermato che «il principio secondo cui gli interessi sulle somme di denaro liquidate a titolo risarcitorio decorrono dalla data in cui il danno si è verificato è sì applicabile soltanto in tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito … non può essere inteso nel senso che, ove l’obbligazione
risarcitoria derivi da inadempimento contrattuale, sia autorizzata la considerazione di date diverse ai fini della rivalutazione monetaria dell’importo corrispondente al danno originario e della decorrenza degli interessi (cosiddetti) compensativi (nel caso sussista un danno da ritardo) sulle somme progressivamente rivalutate, non essendo concettualmente conciliabile l’accertamento dell’inadempimento con effetti risarcitori ad una certa data con la decorrenza da una data successiva degli interessi compensativi da ritardo nell’adempimento del debito risarcitorio» (cfr. Cass. 9 febbraio 2005, n. 2654).
58. Più recentemente, con specifico riferimento alle ipotesi di risarcimento dei danni per inadempimento da parte dell’intermediario degli obblighi informativi previsti dal testo unico finanza, questa Sezione, dopo aver ribadito che l’obbligazione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale costituisce, al pari dell’obbligazione risarcitoria da responsabilità aquiliana, un debito di valore, tenendo luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, ha affermato che gli interessi compensativi del lucro cessante decorrono dal giorno di sottoscrizione delle obbligazioni, quale giorno di verificazione dell’evento dannoso, negando che potesse trovare applicazione alla fattispecie il principio secondo cui gli interessi compensativi decorrono dal giorno della domanda (o, comunque, della mora), in quanto strettamente connesso alla natura costitutiva della pronuncia giudiziale di risoluzione del contratto per inadempimento di non scarsa importanza e dei relativi effetti e, conseguentemente, considerato applicabile ai soli casi in cui la risoluzione contrattuale è pronunciata (così, Cass. 6 settembre 2022, n. 26202).
59. Il principio per cui anche in tema di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale gli interessi compensativi decorrono dalla data dell’inadempimento , quale data di verificazione dell’evento dannoso, è stato fatto proprio della successiva giurisprudenza, anche
con riferimento a fattispecie esulanti da ll’inadempimento di obblighi informativi nella prestazione di servizi finanziari e, dunque, con carattere di generalità (cfr. Cass. 5 gennaio 2024, n. 309; Cass. 18 dicembre 2023, n. 35257; Cass. 2023, n. 22816; Cass. 27 dicembre 2022, n. 37798; Cass. 2022, n. 37798).
60. Questo Collegio ritiene di dover dare seguito a tale più recente orientamento, non ravvisando ragioni di ordine logico o giuridico per differenziare la disciplina del l’ inadempimento d ell’ obbligazione contrattuale non pecuniaria da quella del fatto illecito con riferimento alle modalità e ai criteri di liquidazione del danno risarcibile, avuto riguardo alla comune natura di debito di valore delle rispettive obbligazioni risarcitorie.
61. Laddove, con riferimento all ‘obbligazione risarcitoria deriva nte da inadempimento contrattuale, si ancorasse la decorrenza degli interessi compensativi sulla somma rivalutata alla data della notificazione della domanda giudiziale (o della costituzione in mora, se anteriore) verrebbe pregiudicata l’esigenza di assicurare un’ integrale riparazione monetaria del danno subito, anche in relazione alla indisponibilità del bene per tutto il tempo intercorrente tra l’inadempimento e la liquidazione.
62. D’altro lato, gl i interessi compensativi non hanno come presupposto l’esistenza della mora , così come disciplinata dall’art. 121 9 cod. civ., ma solo il dato oggettivo che la somma riconosciuta per equivalente venga conseguita successivamente alla verificazione del danno -coincidente, nella specie, con l’inadempimento contrattuale e che tale ritardo abbia comportato un danno. Il ritardo che rileva è, dunque, esclusivamente quello cui allude l’art. 1218 cod. civ., per cui l’assenza di una previa costituzione in mora non assume rilevanza ai fini dell’eventuale riconoscimento di tali interessi (cfr., oltre alla richiamata Cass. n. 2654 del 2005, Cass. 12 febbraio 2008, n. 3268; Cass. 4 aprile 2001, n. 4970).
63. Più in AVV_NOTAIO può osservarsi che con riferimento al risarcimento del danno per inadempimento da parte dell’intermediario degli obblighi informativi sullo stesso gravanti la condotta inadempiente priva l’investitore del diritto a una scelta realmente consapevole in ordine alla tipologia di investimento da effettuare (cfr. Cass. 11 novembre 2019, n. 33596; Cass. 28 luglio 2020, n. 16126; Cass. 17 aprile 2020, n. 7905) e, di regola, si colloca in un momento temporale distinto rispetto a quello in cui si verificano le relative conseguenze dannose. Ne consegue che in presenza di tali conseguenze dannose occorre che l’investitore sia reintegrato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se la condotta inadempiente non fosse stata posta in essere e ciò va assicurato mediante il riconoscimento in suo favore di un importo pari all’investimento perduto ed erogato al momento della conclusione dell’operazione , rivalutato per adeguarlo al mutato potere d’acquisto e con l’aggiunta degli interessi compensativi a decorrere da tale momento al fine di risarcirlo per la mancata disponibilità della somma inconsapevolmente investita a causa della condotta illecita dell’investitore, e previe riduzioni derivanti da altri proventi eventualmente nelle more conseguiti.
64. Per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso principale non può essere accolto. La sentenza impugnata va, invece, cassata con riferimento al ricorso incidentale e rinviata, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e accoglie quello incidentale; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, l’11 ottobre 2024.