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Interesse ad impugnare: quando il ricorso è inammissibile

Una società di factoring, pur avendo ottenuto la condanna di un’ente pubblico al pagamento del capitale richiesto, ha presentato ricorso in Cassazione contestando le motivazioni della sentenza d’appello relative all’imputazione dei pagamenti. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per mancanza di interesse ad impugnare, stabilendo che non si può ricorrere al solo fine di ottenere una modifica della motivazione se ciò non comporta un risultato pratico più favorevole per la parte ricorrente.

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Interesse ad impugnare: quando vincere non basta per fare ricorso

Nel mondo del diritto, non sempre una vittoria in tribunale è sufficiente a soddisfare tutte le pretese di una parte. Può accadere che, pur ottenendo il risultato economico sperato, non si concordi con le motivazioni giuridiche che hanno portato a quella decisione. La recente Ordinanza della Corte di Cassazione n. 1574/2024 affronta proprio questo tema, chiarendo i limiti dell’interesse ad impugnare e stabilendo che non è possibile presentare ricorso al solo fine di ottenere una correzione della motivazione, se da ciò non deriva un vantaggio concreto.

I Fatti del Caso: una Cessione di Crediti verso la Pubblica Amministrazione

Una società specializzata nell’acquisto di crediti commerciali (factoring) aveva citato in giudizio un’Azienda Sanitaria Locale e la relativa Regione per ottenere il pagamento di una somma superiore a 1,9 milioni di euro. Tali crediti derivavano da prestazioni sanitarie fornite da un ospedale privato convenzionato, che li aveva poi ceduti alla società di factoring.

Il Tribunale di primo grado aveva condannato la Regione al pagamento dell’intera somma richiesta, ma aveva rigettato la domanda relativa agli interessi di mora calcolati secondo il D.Lgs. 231/2002. La Corte d’Appello, successivamente, confermava integralmente la sentenza di primo grado.

Il Ricorso in Cassazione e la questione dell’interesse ad impugnare

Nonostante la vittoria sul capitale, la società di factoring decideva di ricorrere in Cassazione. I motivi del ricorso non miravano a ottenere una somma maggiore, ma a contestare i criteri con cui i giudici di merito avevano interpretato l’imputazione dei pagamenti effettuati dalla Regione e il mancato riconoscimento degli interessi di mora nella misura richiesta. In sostanza, la società era vincitrice nel risultato finale (il pagamento del capitale), ma soccombente sulle questioni giuridiche accessorie.

Proprio su questo punto si è concentrata l’analisi della Suprema Corte. Per poter presentare un ricorso, infatti, la legge richiede un interesse ad impugnare (art. 100 c.p.c.), che deve essere concreto e attuale. Non basta un mero interesse accademico a una pronuncia giuridicamente più corretta; è necessario che l’accoglimento del ricorso porti a un risultato utile e giuridicamente apprezzabile per la parte che lo propone.

La mancanza di un vantaggio concreto

La Corte ha osservato che la stessa società ricorrente aveva ammesso che, anche se i suoi motivi fossero stati accolti e la motivazione della sentenza fosse stata cambiata, l’importo finale a suo favore non sarebbe mutato. Di conseguenza, l’eventuale accoglimento del ricorso si sarebbe tradotto in una mera modifica delle argomentazioni giuridiche della sentenza, senza alcun beneficio pratico.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità dei motivi principali del ricorso proprio per difetto di interesse ad impugnare. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: l’interesse a impugnare una sentenza non può consistere in un mero interesse astratto a una soluzione giuridica più corretta, se questa non ha riflessi pratici sulla decisione finale. Una parte integralmente vittoriosa non può appellare una sentenza al solo scopo di ottenerne una modifica della motivazione, a meno che quella statuizione non possa arrecarle un pregiudizio futuro (ad esempio, formando un giudicato sfavorevole su una questione specifica).

Oltre a ciò, la Corte ha dichiarato inammissibili anche gli altri motivi di ricorso. In particolare, quelli relativi all’omesso esame di un contratto del 2012 sono stati respinti in applicazione del principio della “doppia conforme”. Tale regola impedisce di contestare in Cassazione la valutazione dei fatti quando le sentenze di primo e secondo grado sono giunte alla medesima conclusione. Inoltre, la Corte ha sottolineato la mancanza di autosufficienza del ricorso, poiché la parte ricorrente non aveva adeguatamente specificato dove e come le prove contestate fossero state discusse nei precedenti gradi di giudizio.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui presupposti processuali per l’accesso al giudizio di legittimità. Il principio dell’interesse ad impugnare agisce come un filtro per evitare ricorsi meramente dilatori o finalizzati a ottenere enunciazioni di principio astratte. La decisione sottolinea che il processo non è una sede per dibattiti accademici, ma uno strumento per la risoluzione di controversie concrete. Per poter impugnare una sentenza, anche se solo in una sua parte, è indispensabile dimostrare che dall’accoglimento del gravame deriverà un’utilità tangibile e giuridicamente rilevante, che vada oltre la semplice soddisfazione di veder corrette le argomentazioni del giudice.

È possibile impugnare una sentenza anche se si è risultati vincitori sulla richiesta principale?
No, di norma non è possibile. La Corte di Cassazione chiarisce che una parte integralmente vittoriosa non ha l’interesse ad impugnare una sentenza al solo fine di ottenere una modifica della motivazione, se da ciò non consegue un risultato pratico utile e giuridicamente apprezzabile.

Cosa si intende per “interesse ad impugnare”?
L’interesse ad impugnare è un presupposto processuale che richiede che la parte che propone l’impugnazione possa ottenere un vantaggio concreto dall’eventuale accoglimento del suo ricorso. Non può consistere in un mero interesse astratto a una soluzione giuridica più corretta che non abbia riflessi pratici sulla decisione.

Qual è la conseguenza della regola della “doppia conforme” per un ricorso in Cassazione?
La regola della “doppia conforme” (prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c.) limita la possibilità di ricorrere in Cassazione per il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, quando le sentenze di primo e secondo grado hanno raggiunto la stessa decisione. In tal caso, il ricorrente deve dimostrare che le ragioni di fatto poste a base delle due decisioni sono diverse, altrimenti il motivo è inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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