Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10738 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10738 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23489/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME, in proprio e quale liquidatore di RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 924/2022 depositata il 24/08/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
–NOME COGNOME in proprio e quale liquidatore di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi avverso la sentenza indicata in
epigrafe, con cui la Corte d’appello di Torino ha rigettato il reclamo ex art. 18 l.fall. dallo stesso proposto in entrambe le qualità contro la dichiarazione di fallimento della predetta società, su ricorso di RAGIONE_SOCIALE
1.1. -In particolare, la corte territoriale: i) ha dichiarato inammissibile l’intervento del liquidatore in proprio , in quanto questi non è stata evocato nella fase prefallimentare, e in fase di reclamo non ha giustificato le ragioni del proprio intervento; ii) ha accertato la sussistenza del p resupposto di cui all’art. 15, ultimo comma, l.f all. (in quanto la società è debitrice nei confronti del creditore istante per una somma superiore a trentamila euro, risultante dalla sentenza n. 4324/2019 emessa dal Tribunale di Torino e dalle fatture nn. 54/2015, 59/2016 e 60/2016, per ulteriori € 9.150,00, non contestate dalla società reclamante; è debitrice nei confronti della società concessionaria della riscossione dei tributi dell’ulteriore importo di €. 419.000 ,00 per debiti scaduti, già accertati dalla Commissione tributaria provinciale di Torino con sentenza n. 456/2021 non definitiva, ma sufficiente ad integrare il presupposto di legge per la dichiarazione di fallimento); iii) ha rilevato che la società non ha prodotto i bilanci degli ultimi tre anni precedenti il ricorso per la dichiarazione di fallimento; iv) ha osservato che la parte reclamante non ha indicato i beni sui quali i creditori potrebbero soddisfarsi; v) ha escluso la liquidazione delle spese al difensore del liquidatore, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art. 130 -bis del d.lgs. n. 115/2002.
1.2. -Gli intimati RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione non hanno svolto difese.
1.3. -In data 20/09/2024 è stata formulata proposta di decisione accelerata del ricorso, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c.
1.4. -In data 30/10/2024 il difensore del ricorrente, munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis, comma 2, c.p.c., con istanza del 13/05/2024.
-Il ricorso è stato quindi portato in decisione all’adunanza camerale del 25/03/2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 l.f all., per avere la corte d’appello dichiarato inammissibile l’intervento del liquidatore in proprio, poiché la norma consente il reclamo a ‘qualunque interessato’ e « a maggior ragione, dunque, deve considerarsi legittimato il socio quale è il sig. COGNOME, tenuto conto che « il ritorno in bonis della società, infatti, permetterebbe allo stesso di gestire e chiudere la fase di liquidazione della società evitando gli effetti pregiudizievoli anche solo potenziali di un fallimento ».
2.2. -Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 15 ult.co., l.fall., poiché la corte d’appello : i) affermando che la RAGIONE_SOCIALE sarebbe « debitrice nei confronti di RAGIONE_SOCIALE di € 30.000,00 di cui alla sentenza n. 4324/2019 oltre € 9.150,00 di cui a due ulteriori fatture », avrebbe preso in considerazione « crediti della RAGIONE_SOCIALE ulteriori addirittura rispetto a quelli considerati dallo stesso Tribunale che, espressamente, in sentenza dichiarava che il credito della RAGIONE_SOCIALE era pari ad € 21.354,54 », nonché « un credito che non è certo nel suo ammontare in quanto contestato e tuttora sub judice », segnatamente quello dell’A d ER per € 419.00,00 accertato dalla CTP Torino « ma non ancora ancora definitivo »; B) sui requisiti di cui all’art. 1 l.f all., si sarebbe limitata, « con un chiaro difetto di motivazione, ad osservare che la società reclamante, sulla quale incombe l’obbligo di dimostrare l’insussistenza dei presupposti che escludono la fallibilità, non avrebbe fornito tale prova poiché si sarebbe limitata a produrre i bilanci relativi agli anni 2016, 2017 e 2018 e non gli ultimi tre bilanci anteriori alla dichiarazione di fallimento che non risultano depositati », quando invece la debitrice aveva dedotto di aver « successivamente cessato ogni attività risultando inattiva »; C) si sarebbe limitata a desumere lo stato di insolvenza « dall’incapacità della RAGIONE_SOCIALE di adempiere un credito di € 30.000,00, senza ulteriormente argomentare, e dal debito verso l’erario », senza esaminare « le prove offerte dalla difesa del reclamante ».
-La proposta di definizione accelerata, adottata ai sensi dell’ art. 380-bis c.p.c. è del seguente tenore:
«Il ricorso non offre prospettive di accoglimento.
Il primo motivo -che censura la declaratoria di inammissibilità dell’intervento, in fase di reclamo, del liquidatore in proprio (con conseguente esclusione di «alcun compenso al difensore della parte, ammessa al patrocinio a spese dello stato»), in quanto l’art. 18 l.fall. consente l’intervento di ‘qualunque interessato’ -appare inammissibile.
È ben vero che questa Corte ha affermato il principio per cui «ai sensi dell’art. 18 l.fall. “qualunque interessato” è legittimato ad impugnare la dichiarazione di fallimento e, perciò, ogni soggetto che possa riceverne un pregiudizio specifico, di qualsiasi natura, anche solo morale, attesa la natura dichiarativa “erga omnes” della sentenza che comporta l’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante e non di mero fatto in capo a chi possa ottenere una qualche utilità giuridica semplicemente per effetto della sua rimozione» (Cass. 30107/2018), precisando altresì -con specifico riferimento alla legittimazione al reclamo dell’ex amministratore che si tratta di mezzo impugnatorio finalizzato «ad elidere gli effetti negativi personali» che possono derivare dalla dichiarazione di fallimento «sia sul piano sia morale, in relazione ad eventuali contestazioni di reati, che patrimoniale, in relazione ad eventuali azioni di responsabilità» (Cass. 7190/2019 e da ultimo Cass. 9955/2024). Va però rimarcato che nei precedenti citati erano state prospettate specifiche situazioni che rendevano concreto e attuale quell’interesse (per essere stati emessi a loro carico nel primo caso la misura di prevenzione del sequestro, nel secondo il rinvio a giudizio per reati correlati alla dichiarazione di fallimento).
Al contrario, nella fattispecie in esame è mancata qualsivoglia allegazione o prospettazione dell’interesse a impugnare, tanto che i giudici del reclamo hanno negato la legittimazione del liquidatore sul rilievo che «la persona del liquidatore, infatti, non è stata citata nella fase prefallimentare, n é egli ha giustificato, in questa fase, le ragioni del proprio intervento». Ed anche in questa sede il liquidatore si limita ad addurre il fatto (nuovo) di essere «socio» e a dedurre, del
tutto genericamente, che «il ritorno in bonis della società, infatti, permetterebbe allo stesso di gestire e chiudere la fase di liquidazione della società evitando gli effetti pregiudizievoli anche solo potenziali di un fallimento»; aspetto, questo, alla cui tutela appare sufficiente l’impugnazione proposta dallo stesso liquidatore nella veste di legale rappresentante della società.
Va allora richiamato il consolidato insegnamento di questa Corte in base al quale: i) «il principio contenuto nell’art. 100 c.p.c., secondo il quale per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, in cui l’interesse ad impugnare una sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone» (Cass. 19327/2024, 594/2016); ii) l’interesse ad impugnare «deve essere concreto ed attuale e richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore» (Cass. 12733/2024, 2057/2019); ii) «ne deriva che esso deve avere necessariamente carattere attuale, poiché solo in tal caso trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva assurgendo a giuridica ed oggettiva consistenza, e resta invece escluso quando il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche» (Cass. 12532/2024, 5635/2002); iii) in altri termini esso dev’essere «tale da recare all’interessato, ove non si proponga l’accertamento giudiziale richiesto, un pregiudizio concreto ed attuale e non solo potenziale, essendo inibito al giudice risolvere questioni soltanto teoriche» (Cass. 7735/2022); iv) a tal fine è necessario «che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile» (Cass. 41688/2021) e fornisca «la prova di un interesse concreto ed attuale ad agire – il quale è posto a presidio di un uso responsabile del processo e, al contempo, è manifestazione del principio di economia processuale – ovvero della possibilità di conseguire un risultato concretamente rilevante, in vista della tutela
di una lesione non meramente potenziale, ottenibile mediante il processo e l’intervento necessario di un giudice» (Cass. 18819/2018; cfr. Cass. Sez. U, 20869/2022); v) peraltro, la sussistenza di un interesse concreto e attuale non è ricollegabile esclusivamente «alla liquidazione delle spese di lite» (Cass. 26896/2014).
A ciò si aggiunga, in una prospettiva più generale, che «nel giudizio di cassazione, l’interesse a impugnare discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole, sicché è necessario, anche in caso di denuncia di un errore di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., che la parte ottemperi al principio di autosufficienza del ricorso, correlato all’estraneità del giudizio di legittimità all’accertamento del fatto, indicando in maniera adeguata la situazione fattuale della quale chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal giudice “a quo”, asseritamente erronea» (Cass. 21230/2023).
Il secondo motivo -che denunzia la violazione degli artt. 1 e 15, ult.co. l. fall., per avere la corte d’appello preso «in considerazione crediti della RAGIONE_SOCIALE ulteriori addirittura rispetto a quelli considerati dallo stesso Tribunale che, espressamente, in sentenza dichiarava che il credito della RAGIONE_SOCIALE era pari ad € 21.354,54 » e non aver considerato che il debito di € 419.00,00, verso l’ADER « non è certo nel suo ammontare in quanto contestato e tuttora sub judice » -appare manifestamente infondato.
La corte territoriale, infatti, ha dato atto che « la somma di oltre €. 30.000 risulta: a) dalla sentenza n. 4324/2019 emessa dal tribunale di Torino, nonché b) dall’importo portato dalle fatture nn. 54/2015, 59 e 60/2016, per ulteriori €. 9.150,00, che la società reclamante non ha contestato » e che il debito verso ADER di €. 419.000 « è già stato accertato dalla CTP di Torino con sentenza n. 456/2021 e tale accertamento, ancorché non definitivo, è sufficiente ad integrare il presupposto di legge per la dichiarazione di fallimento », citando il precedente di Cass. 28192/2020, per cui, addirittura, «Ai fini del computo dell’esposizione debitoria minima prevista dall’art. 15, comma 9, l.fall. rilevano alla stregua di debiti
scaduti e non pagati le passività tributarie portate da un avviso di accertamento conosciuto dal destinatario (per avvenuta sua notifica o perché acquisito in giudizio), a prescindere dall’iscrizione a ruolo e dalla trasmissione del carico fiscale all’agente della riscossione».
A ciò è sufficiente aggiungere che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini del computo del limite previsto dall’art. 15, co. 9, l.fall., così come dell’art. 1, co. 2, lett. c) l.fall., si deve avere riguardo «ai debiti non pagati emersi nel corso dell’istruttoria prefallimentare, a prescindere dal fatto che gli stessi risultino accertati in sede giudiziale in maniera definitiva» (Cass. 15340/2020, 30680/2017, 14934/2016, 5377/2016), ovvero che i relativi «crediti siano contestati», stante la differenza tra esecutività della pretesa ed esigibilità del credito (Cass. 29187/2020, 601/2017, 14596/2015).
Palesemente inammissibili sono le ulteriori censure di difetto di motivazione, per non avere la corte d’appello « esaminato le prove offerte dalla difesa del reclamante che, invece, dimostrano l’insussistenza di qualsivoglia requisito di fallibilità » (prove non meglio specificate), avuto riguardo all’affermazione che « la società ha prodotto i bilanci relativi agli anni 2016, 2017 e 2018 e non gli ultimi tre bilanci anteriori alla dichiarazione di fallimento » -però perfettamente in linea con le prescrizioni di legge e la giurisprudenza di legittimità (da ultimo, Cass. 10165/2024) -e l’insolvenza « è provata dall’incapacità di adempiere un credito di € 30.000,00, senza ulteriormente argomentare, e dal debito verso l’erario (in ordine al quale si richiamano le osservazioni sopra svolte )»; si tratta all’evidenza di doglianze del tutto generiche e volte sostanzialmente ad una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio acquisito e vagliato dal giudice di merito, che non può di certo trovare ingresso in sede di legittimità.»
-Il Collegio condivide appieno la proposta di definizione del ricorso in termini di inammissibilità dei motivi, e, in assenza di qualsivoglia ulteriore apporto argomentativo del ricorrente, non ravvisa elementi idonei ad un ripensamento dell’esito ivi prospettato.
-I n relazione al disposto dell’art. 380 -bis, comma 3, c.p.c. si dà atto che, trattandosi di giudizio pendente alla data del 28
febbraio 2023 (Cass. Sez. U, 10955/2024) e deciso in piena conformità alla proposta ex art. 380-bis c.p.c., se è vero che, in assenza di difese degli intimati, non opera la condanna del ricorrente al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, co . 3, c.p.c., va invece disposta, ai sensi dell’art. 96, co . 4, c.p.c., la condanna al pagamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00, somma liquidata nel caso di specie come da dispositivo.
5.1. -Difatti, l’art. 380-bis, co. 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. 149/2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta di decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per le condanne ex art. 96, commi 3 e 4 c.p.c. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente confermata nella decisione definitiva lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass. Sez. U, 27433/2023, 28540/2023; Cass. 11346/2024).
-Sussistono i presupposti processuali per il c.d. raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento della somma di €. 2.500,00 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, co . 4, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25/03/2025.