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Interesse ad agire: accordo esecutivo lo fa venir meno

Un proprietario agisce in giudizio per la demolizione di un muro illegittimo, nonostante un precedente ordine di demolizione e un successivo accordo transattivo sulla sua esecuzione. Il Tribunale rigetta la domanda per carenza di interesse ad agire, poiché l’attore non otterrebbe alcuna utilità pratica aggiuntiva da una nuova pronuncia, avendo già gli strumenti per ottenere il risultato desiderato.

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Interesse ad Agire: Cosa Succede se Fai Causa per Qualcosa che Hai Già Ottenuto?

Il concetto di interesse ad agire è una delle colonne portanti del nostro sistema processuale. In parole semplici, non si può avviare una causa solo per una questione di principio; è necessario che la sentenza porti un’utilità pratica e concreta a chi la richiede. Un’ordinanza del Tribunale di Sondrio offre un chiaro esempio di come questo principio venga applicato, specialmente quando le parti hanno già trovato un accordo. Analizziamo un caso in cui una nuova azione legale è stata ritenuta superflua proprio perché il richiedente aveva già in mano gli strumenti per ottenere ciò che chiedeva.

I Fatti: Una Disputa di Confine tra Muri e Terrapieni

La vicenda ha origine da una controversia tra proprietari di fondi confinanti. Un proprietario aveva sopraelevato un muro di sostegno e realizzato un terrapieno artificiale, violando le distanze legali previste dalla normativa. La proprietaria confinante, danneggiata da tali opere, aveva ottenuto in un primo giudizio un’ordinanza possessoria che imponeva alla controparte la demolizione delle opere e il ripristino dello stato dei luoghi.

Nonostante l’ordine del giudice, il vicino non aveva provveduto spontaneamente. Di conseguenza, la proprietaria aveva avviato un procedimento per l’attuazione coattiva dell’ordinanza. Durante questo secondo procedimento, le parti erano giunte a un accordo, formalizzato in un verbale di conciliazione, che definiva le modalità di esecuzione dei lavori di demolizione.

Sorprendentemente, nonostante l’ordinanza e l’accordo esecutivo, la proprietaria ha avviato una terza causa, questa volta per accertare la violazione delle distanze e ottenere una nuova condanna alla demolizione.

La Nuova Causa e il Mancato Interesse ad Agire

La difesa del vicino si è basata su un punto cruciale: la nuova causa era inutile. Sosteneva che l’accordo di conciliazione aveva già risolto la questione, facendo venire meno la materia del contendere o, in ogni caso, l’interesse ad agire della controparte. Perché chiedere a un giudice una condanna alla demolizione quando si ha già in mano un’ordinanza che la impone e, per di più, un accordo su come eseguirla?

Il Tribunale ha accolto questa tesi, focalizzando la sua decisione proprio sulla nozione di interesse ad agire.

La Decisione del Tribunale: L’Importanza dell’Utilità Pratica

Il giudice ha spiegato che l’interesse ad agire, come condizione dell’azione, richiede che la sentenza possa portare all’attore un vantaggio concreto, un’utilità pratica che non potrebbe ottenere in altro modo. Non basta una mera prospettiva soggettiva; l’interesse deve avere una consistenza giuridicamente oggettiva.

Nel caso specifico, la ricorrente aveva chiesto l’accertamento della violazione delle distanze e la demolizione del manufatto. Tuttavia, esisteva già un’ordinanza che ordinava la demolizione delle stesse opere. Inoltre, le parti avevano raggiunto un accordo transattivo proprio per definire gli aspetti pratici di tale demolizione. Pertanto, la ricorrente possedeva già tutti gli strumenti giuridici necessari per raggiungere il suo obiettivo. Una nuova sentenza che ripetesse lo stesso ordine sarebbe stata una duplicazione inutile, priva di qualsiasi utilità pratica aggiuntiva.

le motivazioni

Le motivazioni del Tribunale si fondano sul principio consolidato secondo cui l’azione giudiziaria deve rispondere a un’esigenza di tutela concreta e attuale. L’interesse ad agire non può consistere in una mera affermazione di principio o in una valutazione accademica, ma deve essere idoneo a costituire, modificare o estinguere una situazione giuridica con un impatto reale sulla sfera patrimoniale dell’agente. Poiché la ricorrente aveva già ottenuto un titolo esecutivo (l’ordinanza possessoria) e aveva persino concordato le modalità di attuazione dello stesso tramite un accordo transattivo, una nuova pronuncia sul medesimo oggetto non le avrebbe conferito alcun vantaggio ulteriore. La domanda è stata quindi rigettata non perché infondata nel merito, ma perché priva di una delle condizioni fondamentali per l’esercizio dell’azione stessa: l’utilità pratica della decisione richiesta.

le conclusioni

La decisione del Tribunale di Sondrio ribadisce un principio fondamentale di economia processuale e di buon senso: non si può intasare la giustizia con cause superflue. Prima di intraprendere un’azione legale, è essenziale valutare se si possiede un effettivo e concreto interesse ad agire. Se un precedente provvedimento o un accordo tra le parti forniscono già la tutela richiesta, una nuova causa rischia di essere dichiarata inammissibile. Questa ordinanza serve da monito: la tutela giurisdizionale è uno strumento per risolvere problemi reali, non per ottenere conferme ridondanti di diritti già accertati e tutelati.

Quando viene a mancare l’interesse ad agire in una causa?
L’interesse ad agire viene a mancare quando l’attore non potrebbe ottenere alcun vantaggio o utilità pratica e concreta da una sentenza di accoglimento, perché ha già altri strumenti giuridici (come una precedente ordinanza o un accordo) per ottenere lo stesso risultato.

Un accordo transattivo sull’esecuzione di un’ordinanza impedisce di iniziare una nuova causa sullo stesso oggetto?
Sì, secondo questa ordinanza, se le parti hanno raggiunto un accordo che definisce gli aspetti pratici dell’esecuzione di una precedente ordinanza (in questo caso, di demolizione), viene meno l’utilità di una nuova causa che chiede la stessa cosa, determinando un difetto di interesse ad agire.

Chi paga le spese del processo se la domanda viene rigettata per carenza di interesse ad agire?
Nel caso specifico, il giudice ha deciso di compensare le spese di lite tra le parti (ognuno paga le proprie), ma ha stabilito che le spese della consulenza tecnica preventiva (A.T.P.), che ha dato causa al giudizio, restino a carico della parte ricorrente che le ha anticipate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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