Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30527 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 30527 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/11/2024
SENTENZA
sul ricorso 1304/2024 proposto da:
COGNOME NOME , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio RAGIONE_SOCIALE‘AVV_NOTAIO NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore ,
– intimato –
OGGETTO: PUBBLICO IMPIEGO
avverso la sentenza n. 3819/2023 RAGIONE_SOCIALEa CORTE D’APPELLO di NAPOLI, pubblicata in data 30/10/2023 R.G.N. 644/2023; udita la relazione RAGIONE_SOCIALEa causa svolta nella pubblica udienza del 30/10/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME; udito il P .M. in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIOssa NOME
COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Napoli ha rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva respinto l’opposizione avverso l’ordinanza di rigetto RAGIONE_SOCIALE‘impugnativa del licenziamento disciplinare emessa dal medesimo Tribunale.
La Corte territoriale ha rilevato che il COGNOME aveva lavorato alle dipendenze del RAGIONE_SOCIALE come professore di Educazione fisica (da ultimo presso la scuola secondaria di secondo grado ‘INDIRIZZO.RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE‘ di Marcianise, presso la quale era stato immesso in ruolo con decreto prot. n. 9939 del 4.7.2016) e che con nota prot. n. 60 del 12.4.2017, l’Ufficio Scolastico Regionale RAGIONE_SOCIALEa Campania aveva attivato e contestualmente sospeso il procedimento disciplinare nei confronti del medesimo.
Ha inoltre evidenziato che con sentenza di condanna n. 6046/2018 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, riformata dalla sentenza n. 9046/2019 RAGIONE_SOCIALEa Corte di Appello di Napoli (resa definitiva con ordinanza n. 14414/2020 RAGIONE_SOCIALEa Suprema Corte) al COGNOME era stata applicata la pena accessoria RAGIONE_SOCIALE‘interdizione dei pubblici uffici e che, con decorrenza dal 17.4.2016, con decreto RAGIONE_SOCIALE‘Ufficio Scolastico Regionale RAGIONE_SOCIALEa Campania prot. n. 3823 del 24.2.2021, il rapporto di lavoro era stato risolto con la sanzione del licenziamento disciplinare senza preavviso ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 55 quater, comma 1, lett. f) del d. lgs. n. 165/2001.
Il giudice di appello ha precisato che il provvedimento di licenziamento disciplinare senza preavviso era scaturito dal passaggio in giudicato RAGIONE_SOCIALEa sentenza penale di condanna, che aveva irrogato al COGNOME l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Considerato che l’Amministrazione era vincolata all’applicazione del licenziamento disciplinare come conseguenza RAGIONE_SOCIALEa pena accessoria RAGIONE_SOCIALE‘interdizione perpetua dai pubblici uffici, ha ritenuto insussistente l’esigenza di consentire al dipendente di difendersi dagli addebiti contestati esponendo le sue ragioni.
Richiamata la giurisprudenza amministrativa e di legittimità sul rapporto tra la destituzione di cui all’art. 9 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 19/1990 e le misure accessorie di carattere interdittivo, nonché la sentenza n. 286/1999 RAGIONE_SOCIALEa Corte costituzionale, ha escluso la sussistenza di contraddizioni nel provvedimento di sospensione del procedimento disciplinare adottato dal RAGIONE_SOCIALE ed ha ritenuto l’irrilevanza RAGIONE_SOCIALEe regole di competenza stabilite in tema di procedimento disciplinare.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è rimasto intimato.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALEA DECISIONE
1.Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 55 ter, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001 nel testo modificato dall’art. 69 d. lgs. n. 150/2009 e successive modifiche, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., per avere erroneamente ritenuto la legittimità del licenziamento.
Richiama la giurisprudenza di legittimità, secondo cui il termine entro il quale il procedimento disciplinare deve essere ripreso ha carattere perentorio ed assolve alla stessa funzione iniziale del termine fissato per l’avvio del procedimento e ne persegue la stessa finalità.
Addebita alla Corte territoriale erroneamente escluso che nella fattispecie in esame l’Amministrazione fosse tenuta a riattivare il procedimento disciplinare
precedentemente sospeso attraverso la rinnovazione RAGIONE_SOCIALEa contestazione RAGIONE_SOCIALE‘addebito, argomentando che l’art. 55 ter, comma 4, d.lgs. n. 165/2001 non prevede alcuna deroga, a prescindere dalla certezza RAGIONE_SOCIALEa pena.
Aggiunge che una deroga di tale tenore comporterebbe un trattamento differente per i lavoratori per i quali non è stato sospeso il procedimento disciplinare (che potrebbero giustificarsi anche dinanzi all’ipotesi espressamente sanzionata con il licenziamento) e quelli per i quali il procedimento disciplinare è stato sospeso, ai quali si applicherebbe direttamente il provvedimento, in assenza di rinnovazione RAGIONE_SOCIALEa contestazione.
Il secondo motivo, proposto ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘articolo 360 n. 3 cod. proc. civ., denuncia cod. proc. civ., denuncia, violazione e/o falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 55 bis, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001 per avere la Corte territoriale erroneamente escluso la rilevanza RAGIONE_SOCIALEe regole di competenza stabilite in tema di procedimento disciplinare.
Critica la sentenza impugnata per avere omesso di considerare che la rinnovazione RAGIONE_SOCIALEa contestazione svolge la stessa funzione RAGIONE_SOCIALEa contestazione RAGIONE_SOCIALE‘addebito, e che pertanto l’organo che se ne occupa deve essere quello all’uopo previsto dalla legge, a prescindere dall’effettiva incidenza in concreo RAGIONE_SOCIALEa violazione sul diritto al lavoratore alla terzietà ed imparzialità RAGIONE_SOCIALE‘organo che irroga la sanzione.
I motivi, da trattarsi congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono infondati.
Ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 51, nono comma, RAGIONE_SOCIALEa legge n. 142/1990, ‘la responsabilità, le sanzioni disciplinari, il relativo procedimento, la destituzione d’ufficio e la riammissione in servizio sono regolate secondo le norme previste per gli impiegati civili RAGIONE_SOCIALEo Stato’.
L’art. 85 del d.P .R. n. 3/1957 prevede la destituzione RAGIONE_SOCIALE‘impiegato che è stato condannato alla pena accessoria RAGIONE_SOCIALE‘interdizione perpetua dai pubblici uffici; conseguente è anche il divieto di assunzione in posizione di ruolo o non di ruolo.
L’art. 9 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 19/1990 stabilisce: ‘1. Il pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale. E’ abrogata ogni contraria disposizione di legge. 2. La destituzione può essere sempre inflitta
all’esito del procedimento disciplinare, che deve essere proseguito o promosso entro 180 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto notizia RAGIONE_SOCIALEa sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni. Quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a causa del procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore ad anni cinque. Decorso tale termine, la sospensione cautelare è revocata di diritto…’ .
L’art. 10 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 19/1990 prevede a sua volta: ‘1. Alla data di entrata in vigore RAGIONE_SOCIALEa presente legge cessa l’esecuzione RAGIONE_SOCIALEe pene accessorie conseguenti a condanne a pene condizionalmente sospese. Qualora la sospensione condizionale RAGIONE_SOCIALEa pena venga successivamente revocata, le pene accessorie sono eseguite per la parte residua. 2. I pubblici dipendenti che anteriormente alla data di entrata in vigore RAGIONE_SOCIALEa presente legge siano stati destituiti di diritto sono, a domanda, riammessi in servizio…’.
5. Questa Corte ha in proposito chiarito che nel nostro ordinamento devono ritenersi ancora presenti ipotesi di destituzione automatica, in quanto il principio RAGIONE_SOCIALE‘ineluttabilità del procedimento disciplinare non concerne le pene accessorie di carattere interdittivo, atteso che la risoluzione del rapporto di impiego costituisce solo un effetto indiretto RAGIONE_SOCIALEa pena accessoria comminata in perpetuo (e salve le ipotesi di indulto, grazia o riabilitazione che costituiscono accidenti futuri ed incerti rispetto alla tendenziale stabilità che caratterizza le pene in esame), che impedisce, ab externo , il fisiologico svolgersi del sinallagma fra prestazioni lavorative e controprestazioni pubbliche per la sopravvenuta mancanza di un requisito soggettivo (Cass. n. 16153/2009).
Infatti l’Amministrazione, in presenza di una sentenza penale di condanna con pena accessoria interdittiva, non può fare altro che disporre la cessazione dal servizio con un provvedimento che non ha carattere né costitutivo, né discrezionale, venendo in rilievo un atto vincolato, dichiarativo di uno status conseguente al giudizio penale definitivo nei confronti del dipendente.
Si è in particolare osservato che l’art. 9, comma 1, RAGIONE_SOCIALEa legge n. 19/1990, emanato in coerenza con la declaratoria di incostituzionalità RAGIONE_SOCIALEa destituzione automatica a seguito di condanna penale, non ha abolito tutte le norme
contrastanti con il divieto di automatica destituzione, ma solo quella indicata dalla Corte costituzionale.
Tale interpretazione non si pone in contrasto con i principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 971 del 1988, che ha dichiarato l’incostituzionalità RAGIONE_SOCIALE‘art. 85, lett. a) del d.P .R. n. 3/1957, né con l’art. 9 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 19/1990 che ha recepito tale principio.
In particolare, l’art. 9, comma 1, RAGIONE_SOCIALEa legge n. 19/1990, per il quale il pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale, nella sua formulazione letterale non è abrogativo RAGIONE_SOCIALE‘art. 85 lett. b), norma che si riferisce all’ipotesi di interdizione perpetua dai pubblici uffici, che fa cessare il rapporto di pubblico impiego e ne impedisce la costituzione senza la necessità di un procedimento disciplinare.
Nella sentenza RAGIONE_SOCIALEa Corte costituzionale n. 297 del 1993 è stata esaminata la censura di illegittimità costituzionale RAGIONE_SOCIALE‘esclusione di ogni valutazione discrezionale RAGIONE_SOCIALE‘Amministrazione che consenta di ‘graduare’ la sanzione all’addebito ed è stato richiamato il principio di giusta proporzione tra sanzione e fatto sanzionato, vulnerato dall’automatismo RAGIONE_SOCIALEa sanzione, proprio per escludere che potesse rilevare in area estranea alle vere e proprie sanzioni disciplinari, laddove non è riscontrabile un complesso di misure afflittive, di minore gravità rispetto alla decadenza, in relazione alle quali valutare l’eventuale maggiore o minore adeguatezza rispetto al fatto addebitato.
Il giudice RAGIONE_SOCIALEe leggi ha in particolare osservato che si è in presenza RAGIONE_SOCIALEa previsione (indiretta) di un requisito soggettivo per la prosecuzione del rapporto, laddove la condanna penale comporti l’interdizione dall’attività, non potendo più il soggetto proseguire nello svolgimento RAGIONE_SOCIALE‘attività interdetta.
Ha dunque precisato che il legislatore, quando con la legge n. 19/1990 ha riformato la disciplina RAGIONE_SOCIALEa destituzione del pubblico dipendente facendosi carico proprio dei principi espressi dalla suddetta giurisprudenza costituzionale, ha tenuto ben separata l’ipotesi RAGIONE_SOCIALEa destituzione quale sanzione disciplinare automatica e quindi obbligatoria (radicalmente abrogata dall’art. 9 per essere sostituita con la sanzione RAGIONE_SOCIALEa destituzione facoltativa emessa a seguito di procedimento disciplinare), dall’ipotesi in cui la condanna penale rilevi al fine del
riscontro dei requisiti soggettivi per l’accesso ai posti di lavoro pubblici o privati ovvero per il rilascio (e quindi anche per il permanere) di provvedimenti concessori o autorizzatori, ed in tale seconda ipotesi il legislatore non ha rimosso l’automatismo, essendosi limitato ad escludere che esso operi allorché sia stato concesso il beneficio RAGIONE_SOCIALEa sospensione condizionale RAGIONE_SOCIALEa pena (art. 4, comma 2).
Con la sentenza n. 286 del 1999, la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità RAGIONE_SOCIALE‘art. 29, primo comma, cod. pen. (il quale prevede: ‘la condanna all’ergastolo e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importano l’interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici’) nella parte in cui, riguardo al rapporto di pubblico impiego, implica l’automatica risoluzione del medesimo in ragione del carattere perpetuo RAGIONE_SOCIALEa misura ed ha ribadito che la necessaria interposizione del giudizio disciplinare non concerne le pene accessorie di carattere interdittivo in generale, né l’interdizione dai pubblici uffici, in particolare.
Ha in particolare chiarito che in questo caso la risoluzione del rapporto di impiego costituisce soltanto un effetto indiretto RAGIONE_SOCIALEa pena accessoria comminata in perpetuo e, nella sua discrezionalità, il legislatore resta libero, sia pure con l’osservanza del principio di razionalità normativa, di determinare i presupposti, i contenuti e la durata RAGIONE_SOCIALEa misura, assolvendo la pena accessoria finalità di difesa sociale e di prevenzione speciale.
6. Il principio secondo cui il divieto di automatismi sanzionatori a seguito di condanna penale non è applicabile nell’ipotesi di interdizione perpetua dai pubblici uffici è stato ribadito da questa Corte (Cass. n. 3698/2010), anche sulla scorta RAGIONE_SOCIALEa giurisprudenza amministrativa, la quale ha ritenuto l’inapplicabilità degli artt. 9 e 10 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 19/1990 nei casi in cui la perdita RAGIONE_SOCIALE‘impiego costituisca effetto automatico di una sanzione penale accessoria, senza la necessità di un procedimento disciplinare (Consiglio di Stato n. 81/1995; Consiglio di Stato n. 468/1998; Consiglio di Stato n. 5163/2001; Consiglio di Stato n. 6669/2002; Consiglio di Stato n. 3324/2007).
Con la sentenza n. 468/1998, il Consiglio di Stato ha in particolare affermato che il divieto di destituzione di diritto ex art. 9 legge n. 19/90 non si riferisce
all’ipotesi di interdizione perpetua dai pubblici uffici, che costituisce un elemento in più rispetto alla condanna penale e che tale norma non ha abrogato ogni disposizione di legge contrastante con il divieto RAGIONE_SOCIALE‘automatica destituzione, ed il suo ambito di operatività deve essere ristretto alla sola destituzione di diritto per effetto RAGIONE_SOCIALEa mera condanna penale.
Le sentenze n. 5163/2001 e 6669/2002 del Consiglio di Stato hanno a loro volta precisato che non occorre l’instaurazione del procedimento disciplinare per l’irrogazione RAGIONE_SOCIALEa sanzione RAGIONE_SOCIALEa destituzione del pubblico impiegato, condannato dal giudice penale, nel caso in cui alla condanna segua l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
A fronte RAGIONE_SOCIALEa pena accessoria RAGIONE_SOCIALE‘interdizione dai pubblici uffici, il procedimento disciplinare è dunque superfluo; il rapporto non può in ogni caso proseguire per effetto RAGIONE_SOCIALEa pena accessoria.
La motivazione RAGIONE_SOCIALEa sentenza impugnata, che va corretta ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 384, quarto comma, cod. proc. civ. nella parte in cui afferma che ricorrono gli estremi del licenziamento disciplinare senza preavviso, si è dunque attenuta a tali principi, avendo escluso la necessità di riattivare il procedimento disciplinare in quanto la pena accessoria RAGIONE_SOCIALE‘interdizione perpetua dai pubblici uffici implica la cessazione dal servizio.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Considerato che il RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva, nessuna statuizione va adottata in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, RAGIONE_SOCIALE‘obbligo, per la parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto RAGIONE_SOCIALEa sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, RAGIONE_SOCIALE‘ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio RAGIONE_SOCIALEa Sezione Lavoro RAGIONE_SOCIALEa Corte