Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9522 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9522 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 100/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’ avvocato COGNOME con domicilio digitale in atti.
-RICORRENTE- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale, rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME con domicilio digitale in atti.
-CONTRORICORRENTE- nonché
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME con domicilio digitale in atti.
-INTERVENIENTE-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 4472/2020, depositata il 28/09/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 4472/2020 la Corte d’Appello di Roma ha confermato la pronuncia con cui il Tribunale aveva respinto la
domanda di NOME COGNOME diretta ad ottenere dall’Unicredit s.p.a. il pagamento delle somme depositate sul conto corrente n. 101210612 presso la Filiale di INDIRIZZO o, in subordine, il pagamento del 50% delle somme presenti sul conto n. 5217176 alla data della morte di NOME COGNOME sorella di NOME COGNOME
Il conto n. 101210612 era intestato solo a NOME COGNOME deceduto il 10.2.2013; questi aveva disposto dei sui beni lasciando alla ricorrente un appartamento in Roma, INDIRIZZO e il saldo del conto corrente bancario accesso presso l’agenzia di Unicredit in INDIRIZZO angolo INDIRIZZO Roma e annessa agenzia Unicredit presso la Corte dei Conti Centrale di Roma, INDIRIZZO angolo INDIRIZZO
L’att rice aveva sostenuto che, in virtù delle citate disposizioni di ultima volontà, era stata nominata erede universale e che le competevano anche le somme depositate sul conto n. 101210612 non menzionato nel testamento, ovvero del 50% delle somme che NOME COGNOME senza effettuare la denuncia di successione, aveva trasferito su tale ultimo conto da quello n. 5217176 cointestato con la sorella premorta NOME COGNOME COGNOME. Aveva anche chiesto il risarcimento del danno provocato dalla condotta ostruzionistica de ll’istituto di credito, rifiutatosi di riconsegnare le somme depositate.
Condividendo le conclusioni del Tribunale, la Corte di appello ha affermato che l’attrice era una mera legataria e non l’erede universale o istituita in quota dal de cuius, evidenziando che il testamento le attribuiva singoli beni e che, poco prima di redigere le sue ultime volontà, NOME COGNOME aveva trasferito parte dei fondi dal conto 5217176 al conto n. 101210612, a conferma di aver voluto attribuire all’attrice solo i beni menzionati nel testamento.
Ha respinto la domanda di risarcimento del danno, sul rilievo che il divieto per la banca di consegnare i beni ereditari prima della denuncia di successione ha valenza solo fiscale, non civilistico, essendo la norma posta a tutela di un interesse dell’erario la cui violazione non poteva dar luogo a pretese risarcitorie.
NOME COGNOME ha chiesto la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma con ricorso in quattro motivi, cui ha resistito con controricorso Unicredit S.P.A.
NOME COGNOME legata da vincoli di parentela entro il quarto grado di NOME COGNOME ha svolto intervento adesivo dipendente.
In prossimità dell’adunanza camerale le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’intervento di NOME COGNOME è inammissibile. Nel giudizio di cassazione, mancando un’espressa previsione normativa che consenta al terzo di prendervi parte con facoltà di esplicare difese, è inammissibile l’intervento di soggetti che non abbiano partecipato alle pregresse fasi di merito (Cass. 6774/2022; Cass. 25423/2019).
Il primo motivo deduce la violazione dell’art. 5, comma 1 bis, del D.LGS. n. 28/2010, come modificato dalla legge n. 69/2013 per mancato esperimento del procedimento di mediazione.
Il motivo è inammissibile.
Non si evince dal ricorso se il mancato espletamento del tentativo di mediazione sia stata eccepito in primo grado o sia stato rilevato d’ufficio, poiché altrimenti, ai sensi dell’art. 5, comma secondo del d.lgs. 28/2010, la domanda resta procedibile. In ogni caso, stante il divieto di auto eccezioni, di tale violazione non ha interesse a dolersi la ricorrente, che ha proposto la domanda asseritamente improcedibile senza avviare la mediazione, poiché la denunciata violazione si risolverebbe esclusivamente a suo danno.
Il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 553 c.c. , per aver la Corte di merito ritenuto che la ricorrente avesse proposto una domanda di petizione ereditaria e non una duplice azione di accertamento della qualifica di erede e di restituzione di somme. Il motivo è inammissibile.
L’individuazione e l’interpretazione del contenuto della domanda sono riservate al giudice di merito e le conclusioni adottate sono sindacabili nelle seguenti ipotesi, ossia: a) se l’errone o utilizzo delle regole ermeneutiche si sia tradotto in nullità processuale, deducibile in cassazione ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; b) qualora l’interpretazione abbia inficiato la corretta individuazione del “petitum”, in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, denunciabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) in caso di erronea “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero nell’omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di “error in judicando”, in base all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di “error facti”, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. 11103/2020; Cass. 3428/2023; Cass. 29937/2023; Cass. 35068/2022; Cass. 31039/2022; Cass. 15368/2022; Cass. 5832/2021).
Nel caso in esame, è privo di effetti pratici stabilire se la ricorrente avesse proposto una vera e propria petizione ereditaria o una duplice azione, di accertamento della qualità di erede e di restituzione delle somme depositate sul conto n. 5217176, occorrendo in entrambi i casi provare il possesso della qualità di erede universale per poter ottenere la consegna dei fondi depositati sul conto n. 5217176, qualità che la Corte di merito ha motivatamente ritenuto insussistente.
Il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 588 c.c., 115 e 116 c.p.c., per aver la Corte di merito negato all’attuale ricorrente la
qualifica di erede universale senza valutare le risultanze probatorie e senza indagare la reale volontà del testatore. Assume la ricorrente che il de cuius aveva disposto dell’intero suo patrimonio, non essendovi altri beni oltre quelli oggetto del testamento, e che la scheda contemplava entrambi i conti correnti, affermando che l ‘istituzione di erede poteva aver luogo con l’attribuzione di singoli beni ai sensi del secondo comma dell’art. 588 c.c.. Denuncia la carenza di interesse della banca ad opporre lo svincolo delle somme richieste dalla ricorrente e a contestarne la sua qualità di erede.
Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 588 c.c. le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario.
Compete al giudice di merito stabilire se il lascito sia a titolo di erede o a titolo particolare, con apprezzamento insindacabile se esente da errori logici o giuridici.
L’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo di erede se risulta che il testatore abbia inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio e, tuttavia, neppure in tal caso il soggetto istituito è erede unico: l’effetto dell’ institutio ex re certa consiste nell’attribuire la quota risultante dal rapporto tra il valore del lascito ed il patrimonio ereditario, quota che si espande ai soli beni sopravvenuti o a quelli ignorati dal testatore al momento delle disposizioni di ultima volontà, (Cass. Su. 17122/2018).
Sugli altri beni di cui il testatore non abbia intenzionalmente disposto si apre la successione ab intestato ed essi vanno attribuiti agli eredi legittimi (Cass. 42121/2021; Cass. 17868/2019).
La sentenza ha, con argomentazione del tutto logica, attribuito all’attrice la qualifica di legataria per il fatto che il testamento le
attribuiva singoli beni e non gli altri presenti nel patrimonio del testatore di cui questi era a conoscenza (ossia il saldo del conto corrente n. 101210612, identificato median te l’ubicazion e della filiale). Il conto contemplato nel testamento (n. NUMERO_DOCUMENTO) era acceso presso l’agenzia di INDIRIZZO ed era inizialmente cointestato tra il de cuius e la sorella; morta quest’ultima, NOME COGNOME aveva trasferito le liquidità su altro conto (10210612), pochi giorni prima di redigere il testamento, condotta che il giudice ha ritenuto indice inequivocabile, unitamente al contenuto della scheda, della volontà di lasciare all’attrice solo i beni menzionati nelle disposizioni mortis causa.
La menzione di entrambi i conti come oggetto di lascito è smentito in fatto, avendo la Corte spiegato che il testamento faceva in realtà riferimento ad un conto presso l ‘agenzia situata nella sede centrale della Corte dei conti (estinto al momento del testamento) e non a quello, diverso dal primo, che il de cuius aveva aperto poco prima di disporre dei beni.
L’ indiscussa esistenza di ulteriori liquidità – non oggetto delle disposizioni di ultima volontà – escludeva che il testamento investisse l’intero patrimonio del Modugno; non occorreva accertare se la scheda contenesse un’ institutio ex re certa , nulla potendo pretendere la ricorrente sui beni già esistenti o conosciuti dal de cuius, di cui questi non aveva intenzionalmente disposto.
La banca aveva tutto l’interesse a resistere alla domanda di pagamento infondatamente avanzata dalla legataria, potendo rispondere verso gli eredi legittimi del pagamento a favore di soggetto non legittimato.
4. Il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 48 del D.LGS. 346/1990, per aver la sentenza respinto la domanda di condanna al risarcimento del danno, sostenendo che l’istituto aveva consentito al Modugno il trasferimento del denaro dal conto corrente cointestato a l personale conto aperto presso l’ agenzia di INDIRIZZO senza la
previa presentazione della dichiarazione di successione, disattendendo gli obblighi di diligenza professionale e di cautela posti nell’interesse di tutti gli eredi .
Il motivo è infondato.
La Corte di merito ha escluso che il de cuius volesse nominare erede universale la ricorrente per cui nessuna pretesa poteva quest’ultima vantare diritti sui fondi trasferiti sul conto n. 101210612.
Il fatto che quei fondi fossero stati spostati prima della presentazione della denuncia di successione non autorizzava la legataria ad avanzare pretese risarcitorie per non averne ottenuto la consegna, cui non aveva diritto.
Ha correttamente evidenziato la Corte di merito che il trasferimento dei fondi dall’uno all’altro conto era facoltà concessa al chiamato che , in tal modo, aveva posto in essere un atto di accettazione dell’eredità della sorella. La necessità che il trasferimento fosse prima regolarizzato sul piano fiscale mediante la denuncia di successione ed il pagamento dell’imposta rilevava nei rapporti tra questi e il fisco, esponendo la banca a respons abilità amministrativa verso l’erario .
L ‘art. 48, comma quarto, d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, t.u. delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, secondo cui i debitori del de cuius non possono pagare le somme dovute agli eredi se non sia stata fornita la prova della presentazione della dichiarazione di successione o integrativa, con l’indicazione del relativo credito, è norma tributaria di carattere imperativo che risponde all’esigenza di sollecitare l’adempimento dell’obbligo fiscale posto a carico degli eredi, impedendo alla banca di dare seguito alle loro richieste in modo da non pregiudicare gli interessi dell’amministrazione finanziaria (Cass. 9670/2021).
Il ricorso è quindi respinto, con aggravio delle spese processuali in favore della sola controricorrente, data l’inammissibilità dell’intervento di NOME COGNOME.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, avendo il ricorrente incidentale rinunciato all’impugnazione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’Unicredit s.p.a., che si liquidano in € 8000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione