Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18011 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18011 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 15702/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE a socio unico, con sede legale in San Donato Milanese (MI), INDIRIZZO, codice fiscale e partita IVA nP_IVA quale incorporante di RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa, in via disgiunta fra loro, dal l’ avv. NOME Chiara COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME del Foro di Milano, elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO giusta procura alle liti in calce al ricorso.
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, con sede in Battipaglia (Sa), al INDIRIZZO, cod. fisc. P_IVA, in persona del liquidatore NOME COGNOME rappresentata e difesa, in via disgiunta fra loro, dal l’A vv. NOME COGNOME e dall’ Avv. NOME COGNOME, presso il cui studio elettivamente domicilia in Battipaglia (Sa), alla INDIRIZZO per procura in atti.
-controricorrente –
contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE, con sede in Battipaglia (Sa), al INDIRIZZO cod. fisc. P_IVA (pecEMAIL), in persona del curatore, dott. NOME COGNOME.
-intimato –
avverso la sentenza n. 523/2024 resa dalla Corte d’ Appello di Salerno, in data 28 maggio 2024, comunicata dalla cancelleria in data 6 giugno 2024; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Salerno ha accolto il reclamo proposto, ai sensi dell’art. 18 l. fall., da parte di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, avverso la sentenza dichiarativa del fallimento di quest’ultima e ha revocato conseguentemente la declaratoria di fallimento.
La società RAGIONE_SOCIALE, in qualità di mandataria di RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito di € 5.126.718,12 (alla data del 31.12.2017) per rimborso di un mutuo fondiario erogato da MPS Capital Services Banca per le Imprese s.p.a., aveva chiesto infatti la dichiarazione di fallimento della società mutuataria RAGIONE_SOCIALE
La società resistente formulava però una proposta di concordato preventivo, ex art. 161, comma 6, l. fall., che il Tribunale di Salerno omologava con decreto del 8.2.2023.
Successivamente la Corte di Appello di Salerno accoglieva il reclamo proposto, ai sensi dell’art. 183 l. fall., da RAGIONE_SOCIALE nella qualità di mandataria, e revocava il decreto di omologa della proposta di concordato preventivo, rimettendo gli atti al Tribunale di Salerno per le determinazioni di competenza.
Il Tribunale dichiarava pertanto il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione dal 30.11.2020.
6. La società fallita proponeva reclamo avverso la detta sentenza, con il quale criticava l’errore di valutazione della capacità degli elementi dell’attivo a garantire l’integrale pagamento dei creditori sociali e a completare la procedura di liquidazione della società.
7. Accogliendo il reclamo ex art. 18 l. fall. presentato dalla società fallita, la Corte di Appello ha rilevato ed osservato, per quanto qui ancora di interesse, che: (i) ‘è principio consolidato che la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 legge fall. alla società in liquidazione, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’ eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali …’; (ii) ‘La valutazione dell’entità dell’attivo e della sua capacità a soddisfare i creditori con la liquidazione delle sue componenti deve essere improntata a concretezza … ‘; (iii) ‘Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha ricavato il dato del passivo dal bilancio della società, riportando erroneamente l’intero passivo dello stato patrimoniale (€ 10.593.958,00 al 31.12.2022), formato non solo dai debiti (€ 5.172.861,00) ma anch e dal patrimonio netto (€ 4.294.305,00) ; (iv) dovendosi considerare, invece, solo i debiti, la reale consistenza del passivo era quella fornita dalla relazione, ex art. 180, comma 2, l. fall., del commissario giudiziale nella procedura di concordato preventivo del 19.1.2023, ove risultava che, a quella data, i debiti della società ammontavano ad € 7.082.652,58 ; (v) ‘…il confronto puro e semplice del dato relativo ai debiti (€ 7.082.652,58) e quello fornito dalle stime del complesso immobiliare … segna(va) una netta prevalenza del valore dell’attivo rispetto al passivo’; (vi) ‘L’altro elemento valorizzato dal Tribunale (era) l’in successo degli esperimenti di vendita nella procedura esecutiva immobiliare a prezzi inferiori rispetto al valore stimato’ (Sentenza, p. 10) ma ‘La valutazione dell’attivo secondo concretezza non vuol dire che l’insuccesso dei tentativi di vendita senza in canto di due terzi del compendio immobiliare (fosse) sintomo di astrattezza delle stime del compendio immobiliare … In altri termini, la difficoltà di pronta liquidazione non significa(va) che il prezzo che si (poteva) ragionevolmente ricavare dalla vendita in tempi compatibili con quel tipo di operazione (fosse) di molto inferiore alla stima peritale, al punto da non coprire interamente i debiti’ ;
(vii) ‘Cosicché, tenuto conto del differenziale tra i debiti (oltre 7 milioni di euro) e le stime (oltre 17 milioni, secondo le prime due, oltre 11 milioni secondo la terza ed oltre 10 milioni secondo la quarta) (doveva) ritenersi che, compatibilmente con la difficoltà di un’operazione che esige (va) tempi non brevi, la liquidazione dell’intero complesso immobiliare (fosse) in grado di sodisfare integralmente i creditori. Di qui l’accoglimento del reclamo per insussistenza dello stato di insolvenza dalla soc ietà in liquidazione’.
8. La sentenza, pubblicata il 28 maggio 2024, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE S.p.A. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 5 l. fall., per avere la Corte d’appello valutato la sussistenza del presupposto dell’insolvenza c.d. statica , avendo fatto riferimento al passivo della società formatosi in un momento anteriore rispetto alla dichiarazione di fallimento, così ciò integrando una violazione e falsa applicazione dell’art. 5 l. fall.
1.1 La doglianza così proposta è inammissibile.
La società ricorrente opina che la Corte non avrebbe esaminato l’entità del passivo alla data di dichiarazione di fallimento ed avrebbe in tal modo operato un ‘ erronea valutazione dell ‘ inesistenza dello squilibrio patrimoniale tra debiti ed attivo a quella data, in tal modo violando l’art. 5 l. fall.
Le doglianze così proposte dalla ricorrente sono in realtà inammissibili, in ragione dell ‘ assoluta ed estrema genericità delle ragioni addotte a sostegno del motivo di ricorso qui in esame e comunque per l ‘evidente violazione del principio di autosufficienza di cui l’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.
1.2 La ricorrente sostanzialmente espone <>.
1.3 In primo luogo, non si può non rilevare come la ricorrente adduca circostanze fattuali, senza tuttavia provvedere a ‘ localizzare ‘ , quanto alla indicazione, cioè, di dove esse fossero state introdotte nel giudizio di merito, e così, conseguentemente, riguardo alle stesse non fornisce l’indicazione specifica dei loro contenuti, né la localizzazione degli atti in cui tali circostanze sarebbero state dedotte nel giudizio di reclamo (cfr., ex multis , Cass. n.28184/2020 e Cass.14627/2024).
1.4 A ciò va anche aggiunto che la ricorrente non si è neanche peritata di indicare come concretamente la sentenza impugnata fosse incorsa nella denunciata violazione di legge ( sub specie di violazione o falsa applicazione dell’art. 5 l. fall.), prospettando in realtà una doglianza incentrata sulla supposta violazione ‘astratta’ del precetto normativo , di cui lamenta la cattiva lettura da parte dei giudici dell’impugnazione.
Sul punto non può essere dimenticato che costituisce insegnamento pacifico della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui <> (così, ex plurimis , Cass. 14183 del 2022; v. anche Cass. 13644/2013).
Orbene, la Corte di Appello ha in realtà riformato la sentenza di prime cure, motivando il proprio convincimento in base alle risultanze dell ‘ istruttoria documentale acquisita al giudizio e dunque il proprio convincimento circa la mancanza, nel caso di specie, del requisito oggettivo che giustificasse la declaratoria di fallimento della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
1.5 La società ricorrente tenta, ora, di superare tale accertamento fattuale, prospettando la denunciata violazione dell’art. 5 l. fall., senza tuttavia dedurre alcun elemento concreto di giudizio che corrobori la propria tesi, secondo la quale, alla data del fallimento, vi sarebbe stato squilibrio patrimoniale tra l’attivo ed il passivo rilevabili dagli atti di causa.
Oltre all’evidente rilievo che la società ricorrente tenta di trascinare questa Corte sull’inaccessibile terreno degli apprezzamenti di merito, sul quale invece non può radicarsi il sindacato del giudice di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017;Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14 /01/2019)
A ciò va aggiunto che la ricorrente ha solo meramente ‘ipotizzato’ , con il ricorso per cassazione, che il passivo fosse superiore ad euro sette milioni, senza precisare null’altro in ordine allo stesso. Con la conseguenza che la deduzione difensiva è altresì solo genericamente formulata.
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sempre dell’art. 5 l. fall. per non avere la Corte d’ Appello di Salerno valutato, ai fini della determinazione dell’attivo realizzabile, gli effetti delle difficoltà di vendita degli immobili di proprietà di RAGIONE_SOCIALE , così violando l’art. 5 l. fall., nell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità.
2.1 Anche il secondo motivo è inammissibile.
2.1.1 In realtà, la ricorrente, sotto l’egida applicativa del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., pretende, ora, una rilettura diretta degli atti e documenti depositati dalle parti, onde riformulare un nuovo e completo giudizio di merito basato sulla medesima documentazione esaminata dalla Corte di Appello, scrutinio di merito che invece esula
manifestamente dal perimetro del giudizio di legittimità. In breve, invoca un riesame del merito della causa, riesame invece precluso in questa sede.
Occorre infatti evidenziare come la Corte territoriale non è incorsa nella denunciata falsa applicazione di legge e che, per contro, la società ricorrente pretende una rivisitazione della quaestio facti .
2.1.2 Sul punto è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (peraltro anche richiamato nella sentenza impugnata) quello secondo cui ‘ In tema di dichiarazione di fallimento, quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice ai fini dell’accertamento dello stato d’insolvenza deve essere diretta unicamente ad accertare se il patrimonio sociale consenta di assicurare l’integrale soddisfacimento dei creditori, mentre la difficoltà di pronta liquidazione dell’attivo può rilevare in quanto sintomatica di un risultato di realizzo inferiore rispetto a quello contabilizzato dal debitore, così finendo per esprimere valori oggettivamente inidonei a soddisfare integralmente la massa creditoria’ (così espressamente Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 28193 del 10/12/2020; v. anche: Cass. n. 19790/2015; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 12156 del 06/05/2024).
Ciò posto, occorre evidenziare come la Corte di merito ha anche valutato il profilo della ‘difficoltà della pronta liquidazione dell’attivo’, nell’apprezzamento del valore del compendio immobiliare di proprietà della fallita, così correttamente applicando i principi di diritto da ultimo ricordati, in tema di scrutinio del presupposto della cd. insolvenza statica.
La Corte territoriale ha infatti esaminato dapprima le quattro perizie in atti succedutesi nel tempo e ha dunque concluso nel senso che l’esame delle diverse stime compiute dal 2016 al 2024 aveva evidenziato anche l’adeguatezza delle stesse rispetto al susseguirsi delle vendite in sede esecutiva riguardanti una parte del compendio. Ne consegue che, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente, la Corte di Appello ha tenuto presente <> (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata). E la stessa Corte ha espressamente precisato che: ‘…Anzitutto, però, gli esperimenti di vendita hanno riguardato solo una parte dell’intero complesso immobiliare (i primi cinque lotti originariamente
stimati in €12.620.000,00) che, nella relazione dell’ing. NOME COGNOME rappresentavano poco più dei due terzi del valore dell’intero complesso immobiliare (di € 17.226.810,00) … Le vendite deserte dimostrano solo che la liquidazione di un complesso immobiliare consistente e con diverse destinazioni non è un’operazione di pronto realizzo, ma esige tempi di definizione adeguati alla complessità ed entità della transazione. La valutazione dell’attivo secondo concretezza non vuol dire che l’insuccesso dei tentativi di vendita senza incanto di due terzi del compendio immobiliare sia sintomo di astrattezza delle stime del compendio immobiliare ‘ .
Ne consegue che la Corte di Appello, sebbene avesse tenuto conto degli insuccessi delle precedenti vendite a prezzi maggiori, aveva statuito, poi, con motivazione congrua e scevra da criticità argomentative che, nel caso di specie, ciò non aveva provato che il prezzo che si poteva ragionevolmente ricavare dalla vendita, in tempi compatibili con quel tipo di operazione, fosse di molto inferiore alla stima peritale ultima, di oltre dieci milioni di euro.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione, cioè, ai valori espressi nel procedimento esecutivo, avente a oggetto parte del compendio immobiliare di proprietà di RAGIONE_SOCIALE, valori rilevanti considerato che la revoca del fallimento implicava il ritorno in bonis di RAGIONE_SOCIALE
3.1 Anche il terzo motivo è inammissibile, perché le relative doglianze risultano formulate fuori dal paradigma applicativo delineato dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per come poi perimetrato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
La ricorrente si duole, invero, non già del preteso omesso esame di fatti, ma della pretesa inidoneità della motivazione rispetto ai fatti esaminati. Lamenta, cioè, che la Corte di Appello non avrebbe tratto da alcuni fatti (la preesistenza della procedura esecutiva e le vendite relative, in quella sede, di parte del compendio) le conseguenze che essa ricorrente avrebbe invece prediletto nell’accertamento dei fatti di causa, e ciò con particolare riferimento al profilo
della valutazione dell’attivo patrimoniale della società, al momento della sua dichiarazione di fallimento.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è infatti ferma nel ritenere che l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., si riferisce ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico e non a “questioni” o “argomentazioni”, le quali risultano irrilevanti e danno luogo all’inammissibilità delle censure formulata (Cass. 18/10/2018, n. 26305; Cass. 22397/2019).
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2025