Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20191 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20191 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17721/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente
–
contro
FINO 1 RAGIONE_SOCIALE e per essa la sua mandataria RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore in data 17 ottobre 2023
– controricorrente –
nonché contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione
– intimato
–
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 65/2020 depositata il 21/5/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/5/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Napoli, a seguito del decreto della Corte di Napoli di accoglimento del reclamo presentato dal creditore istante ex art. 22 l. fall., dichiarava, con sentenza n. 219/2019, il fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione su istanza di RAGIONE_SOCIALE in forza di un contratto di mutuo garantito da ipoteca.
La Corte d’appello di Napoli rigettava il reclamo presentato dalla società debitrice e da NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con sentenza pubblicata in data 21 maggio 2020.
Riteneva, in primo luogo, che non fosse possibile operare una distinzione tra due distinti concetti di insolvenza a seconda che la società fosse o meno in liquidazione, in assenza di alcuna indicazione in tal senso del legislatore e tenuto conto del pericolo che una simile interpretazione inducesse un utilizzo strumentale della liquidazione.
Constatava, in questa prospettiva interpretativa, che la società reclamante non era in grado di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni, in quanto, pur essendo gravata di debiti complessivi per diversi milioni di euro, era totalmente priva di liquidità e non le
possedeva, in ogni caso, beni di pronta liquidazione che consentissero di provvedere normalmente all’adempimento.
Aggiungeva che era possibile giungere ad analoghe conclusioni anche avendo riguardo al solo raffronto fra attività e passività, sia perché il prospetto patrimoniale prodotto era assolutamente inattendibile e inidoneo ad assolvere una minima funzione probatoria delle condizioni patrimoniali della società, sia perché nessuna garanzia di attendibilità poteva essere attribuita alla relazione di stima prodotta dalla fallenda, che riportava un valore dell’intero complesso immobiliare pari a € 8.609.799, quando il C.T.U. nominato nel corso della procedura esecutiva promossa avanti al Tribunale di Napoli Nord aveva ritenuto, in termini maggiormente attendibili, che il medesimo compendio avesse un valore di soli € 4.617.000.
Escludeva, pertanto, che con la liquidazione dell’attivo patrimoniale si potesse far fronte a tutti i debiti sociali, tenuto conto, altresì, del possibile notevole incremento del passivo conseguente al decorso del tempo.
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso Fino RAGIONE_SOCIALE
L’intimato fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione non ha svolto difese.
Parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2462, 2463, 2464, 2465, 2484, 2487, 2489, 2490 e 2491 cod. civ., in relazione all’art. 5 l. fall.: la Corte campana -assume la ricorrente – è incorsa in un evidente errore laddove ha affermato l’irrilevanza dello stato di liquidazione dell’impresa rispetto alla situazione di insolvenza, senza distinguere fra insolvenza dell’impresa operativa e insolvenza dell’impresa in liquidazione; per quest’ultima l’insolvenza non può che fare riferimento alla consistenza dei cespiti costituenti l’attivo rispetto alle passività ed alla possibilità, tenendo a mente la funzione e la regolamentazione codicistica che ha il procedimento di liquidazione nelle società, di monetizzare, attraverso coerenti e finalizzate attività di vendita, il patrimonio immobiliare destinando i proventi alla soddisfazione dei creditori.
In questa prospettiva la valutazione ai fini della verifica di un manifesto stato di insolvenza doveva essere diretta ad accertare, unicamente, se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentissero di assicurare l’eguale e integrale soddisfacimento dei creditori sociali.
4.2. Il secondo mezzo lamenta la violazione dell’art. 111 Cost. in relazione agli artt. 18 e 22 l. fall. e 2697 cod. civ. nonché degli artt. 2462, 2463, 2464, 2465, 2484, 2487, 2489, 2490 e 2491 cod. civ., in relazione all’art. 5 l. fall., perché la Corte dist rettuale da una parte ha gravato dell’onere della prova esclusivamente la società debitrice piuttosto che la creditrice istante, dall’altra non ha valutato correttamente i dati patrimoniali rappresentati nella relazione peritale di stima del patrimonio immobiliare della società.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente, risultano l’uno (il primo) inammissibile, l’altro in parte infondato, in parte inammissibile.
5.1. La decisione impugnata si fonda, all’evidenza, su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, in quanto la Corte territoriale da una parte ha ravvisato il ricorrere di una situazione di insolvenza facendo applicazione di concezione unitaria di insolvenza e prescindendo dalla condizione di liquidazione della società debitrice, dall’altra ha ritenuto che, pur valorizzando lo stato di liquidazione della società, l ‘impossibilità di far fronte a tutti i debiti sociali attraverso la liquidazione dell’attivo patrimoniale conducesse ai medesimi risultati.
5.2. Prendendo le mosse dall’esame del secondo mezzo, occorre rilevare come la Corte distrettuale non abbia affatto mandato assolto il creditore istante dall’onere della prova che su di lui incombeva, ma, dopo aver constatato che lo stesso aveva agito in forza del credito (di € 4.047.734,89) derivante dall’erogazione di un mutuo fondiario, abbia rilevato, sulla base della situazione patrimoniale aggiornata che il debitore è tenuto a presentare in ossequio a quanto disposto dall’art. 15, comma 4, l. fall., l’ina ttendibilità dei dati esposti, sia in termini di attivo disponibile, sia in ordine al passivo da soddisfare, arrivando poi ad escludere che con la liquidazione dell’attivo patrimoniale si potesse far fronte a tutti i debiti sociali.
Questa valutazione è coerente con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui quando la società è in liquidazione la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 l.fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integ rale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto -non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (Cass. 25167/2016; cfr. nello stesso senso, ex multis , Cass. 24660/2020 e Cass. 19414/2017).
E’ necessario poi ribadire come già ha opportunamente fatto la Corte di merito -che ‘ anche tale dimensione di equilibrio o eccedenza ricade peraltro nell’onere di allegazione e prova a carico del debitore, che deve perciò indicare compiutamente l’attivo costituente gli assets liquidabili del proprio patrimonio, esponendo in modo realistico i possibili valori di realizzo e i loro tempi, in raffronto con identica esatta rappresentazione del passivo e dei meccanismi di incremento temporale dello stesso ‘ (si veda, in questi termini, Cass. 25167/2016, § 4).
Il che significa che la società in liquidazione non solo è obbligata, ai sensi dell’art. 15, comma 4, l. fall. a depositare i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata, ma anche a rappresentare e dimostrare l’esatta entità del passivo da soddisfare ed il valore di pronta liquidazione dell’attivo (cfr. Cass. 28193/2020) in termini oggettivamente idonei a soddisfare integralmente la massa creditoria.
Non è poi possibile sindacare in questa sede la valutazione dei dati patrimoniali compiuta dai giudici distrettuali.
Il risultato di una simile valutazione appartiene, infatti, al merito della controversia e costituisce il frutto di una valutazione di fatto rientrante nei compiti istituzionali della Corte distrettuale, che non può essere rivista in questa sede di legittimità.
Infatti, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’ intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’ attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’ uno o all’ altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis , Cass. 23055/2024, Cass. 331/2020, Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011).
5.3. L’infondatezza della doglianza rivolta alla seconda ratio decidendi comporta l’inammissibilità del primo mezzo.
Invero, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse a una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 11493/2018, Cass. 2108/2012).
In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 7.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 28 maggio 2025.