Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25701 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25701 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 19/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11534/2019 R.G. proposto da
Monte dei Paschi di Siena RAGIONE_SOCIALE, Banca per i Servizi Finanziari alle Imprese S.p.A. , in persona della procuratrice Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME rappresentata e dife sa dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso il decreto cron. n. 2279/2019, depositato dal Tribunale di Padova l’1 1.3.2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10.9.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, poi fusa in Monte dei Paschi di Siena RAGIONE_SOCIALE, Banca per i Servizi Finanziari alle Imprese S.p.A. (d’ora innanzi, per opportuna brevità, RAGIONE_SOCIALE, presentò domanda di ammissione al passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, per un credito di complessivi € 58.359,24, derivante da due contratti di leasing aventi ciascuno ad oggetto l’utilizzazione di un veicolo industriale.
A fronte del rigetto della domanda da parte del giudice delegato, la ricorrente presentò opposizione allo stato passivo, che venne a sua volta respinta dal Tribunale di Padova.
Contro il decreto del Tribunale, RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi.
Il fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione si è difeso con controricorso.
La ricorrente ha inoltre depositato memoria nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell ‘ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia la «violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ai sensi e per gli effetti dell’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: nello specifico, erronea applicazione dell’art. 1526 c.c. ».
La ricorrente si duole che il Tribunale abbia qualificato come traslativi i due leasing e che abbia conseguentemente applicato l ‘art. 1526 , comma 2, c.c., ricorrendo a un analogia legis che si assume essere stata definitivamente superata a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 72 -quater legge fall.,
prima, e della disciplina speciale contenuta nei commi da 136 a 140 dell’art. 1 della legge n. 124 del 2017 , poi, la cui disciplina si applicherebbe anche ai contratti di leasing risolti prima della sua entrata in vigore (in tal senso la ricorrente cita Cass. n. 8980/2019, il cui orientamento è stato tuttavia poi superato -esso sì -dall’ intervento delle sezioni unite con la sentenza n. 2061/2021).
Il secondo motivo censura l’ «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi e per gli effetti dell’ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: nello specifico, mancata considerazione del patto marciano contenuto nell’art. 16 delle condizioni generali di entrambi i contratti di leasing de quibus ».
Secondo RAGIONE_SOCIALE l’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. sarebbe errata anche perché frutto dell’omesso esame, da parte del Tribunale di Padova, del fatto che i contratti di leasing contenevano un patto marciano nella clausola n. 16, che il giudice del merito avrebbe del tutto trascurato, nonostante avesse precedentemente ordinato l’esibizione dei contratti proprio per esaminare quella clausola.
Il ricorso è inammissibile per un difetto di specificità (art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.) che coinvolge entrambi i motivi, perché la ricorrente non spiega in che modo le tesi prospettate nel ricorso avrebbero dovuto condurre il giudice del merito ad ammettere al passivo il credito così come insinuato.
3.1. Dall’esposizione dei fatti contenuta nella narrativa del ricorso si apprende che l’insinuazione al passivo aveva ad oggetto un credito esattamente pari all’intero importo ancora dovuto al momento della risoluzione dei due contratti (€ 58.359,24), così come indicato dalla concedente ancor prima che fossero restituiti i beni che la stessa ricorrente afferma di
avere poi ricevuto e di avere rivenduto a terzi (pag. 5 del ricorso). Dalla lettura del decreto impugnato si apprende poi che dalla ricollocazione dei beni RAGIONE_SOCIALE ricavò l’importo complessivo di € 108.000, a fronte di un corrispettivo originario complessivo di € 292.000.
Ora, in nessuna delle disposizioni di legge invocate da parte ricorrente, a prescindere dalla valutazione sulla loro applicabilità nel caso di specie, si attribuisce alla concedente in leasing il diritto di pretendere tutto il residuo corrispettivo dovuto in forza del contratto e di trattenere tuttavia l’intero valore, tutt’altro che irrisorio nel caso di specie , dei beni restituiti in seguito alla incompleta esecuzione del piano dei pagamenti. L’art. 72 -quater legge fall. -che disciplina lo scioglimento del contratto di leasing considerato quale rapporto giuridico pendente al momento del fallimento -pone a carico del concedente che riceve in restituzione il bene l’obbligo di «versare alla curatela l ‘ eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale» (comma 2); qualora il credito residuo sia superiore al valore del bene restituito, il concedente ha diritto di essere ammesso al passivo «per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene » (comma 3). Anche l’art. 1 della legge n. 124 del 2017 -di cui, del resto, la stessa ricorrente evidenzia la linea di continuità rispetto alla novellata legge fallimentare -prevede un meccanismo di compensazione tra credito residuo del concedente e valore dei beni restituiti, disponendo che: «il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all ‘ utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato,
dedotte la somma pari all ‘ ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l ‘ esercizio dell ‘ opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita» (comma 138).
È vero che tale disciplina legale supera la tradizionale distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento, ma lo fa nel senso che rende superflua tale classificazione, perché ciò che conta è, in ogni caso, il valore residuo netto dei beni di cui il concedente mantiene la proprietà e recupera la disponibilità. Valore che, nel caso di specie, è significativo (superiore rispetto al debito residuo dell’utilizzatrice) e non viene in alcun modo messo discussione, essendo tra l’altro indicato nel decreto sulla base della dichiarazioni rese dalla stessa ricorrente in merito ai prezzi incassati dalla ricollocazione.
3.2. Questo per quanto riguarda le disposizioni di legge invocate da RAGIONE_SOCIALE Ma il discorso non cambia anche qualora si volesse tenere in considerazione il patto marciano con riferimento al quale la ricorrente denuncia il vizio di omesso esame. Nel ricorso si riportano stralci delle clausole in cui si prevede la detrazione dal dovuto del «netto ricavo derivante dalla vendita del bene» (pag. 17) e si considera la possibilità che risulti una «eccedenza», di cui si dispone che «sarà retrocessa dalla Concedente all’Utilizzatore» (pag. 14).
Nella memoria illustrativa la ricorrente riconosce espressamente che anche i contratti di leasing in oggetto prevedono la «detrazione, dalle somme dovute dal concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito» e anche che tale previsione è «coerente con la previsione contenuta nell’art. 1526, comma 2, c.c. » (pag. 8). Con il che
rimane definitivamente acquisita l’impossibilità di comprendere «i motivi per i quali si chiede la cassazione» del decreto che ha applicato una disciplina legale coerente con la (prospettata) disciplina contrattuale; e soprattutto non si comprende perché RAGIONE_SOCIALE pretenda l’ammissione al passivo di un importo che, in quanto non tiene in alcun conto il prezzo ricavato dalla ricollocazione dei beni, sarebbe invece incoerente sia con la prospettata disciplina contrattuale, che con la disciplina delle disposizioni di legge invocate.
Le superiori considerazioni sono assorbenti e prevalgono , rendendone superflua l’esposizione, sia sulle ragioni di infondatezza del primo motivo, sia sull’ ulteriore profilo di inammissibilità del secondo motivo, in quanto volto in realtà a pretendere dalla Corte una diversa valutazione del fatto che il giudice del merito ha qualificato in termini di risoluzione per mutuo dissenso, al quale ha ritenuto non applicabili le clausole contrattuali in materia di risoluzione per inadempimento (e anche l’interpretazione del contratto è quaestio facti , finché non si denuncia la violazione dei canoni legali di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., il che non è avvenuto nel caso di specie).
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate
in € 6.000, per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10.9.2025.
Il Presidente NOME COGNOME