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Insinuazione al passivo: TFR e crediti futuri

Una società che, in seguito a una retrocessione di ramo d’azienda, si era fatta carico di debiti lavorativi (ferie, TFR) di un’altra impresa, poi fallita, ha tentato l’insinuazione al passivo per recuperare tali somme. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo principi chiari: per l’azione surrogatoria è necessaria la prova rigorosa del pagamento, e i crediti futuri come il TFR non ancora maturato non possono essere ammessi al passivo fallimentare, neppure con riserva.

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Insinuazione al Passivo: Limiti per TFR e Crediti da Lavoro

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sulla procedura di insinuazione al passivo fallimentare, specialmente in relazione ai crediti derivanti da rapporti di lavoro in contesti di cessione d’azienda. La pronuncia delinea con precisione l’onere della prova per chi agisce in surroga e stabilisce i confini tra crediti condizionati e crediti futuri, come il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) non ancora maturato.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore dei servizi, che chiameremo “Società Service”, aveva affittato un ramo d’azienda a un’altra società, la “Società Gusto”. Successivamente, la Società Service recedeva dal contratto e riacquisiva il ramo d’azienda, assumendo i relativi dipendenti. In questo frangente, la Società Service sosteneva di aver soddisfatto alcuni crediti maturati dai lavoratori durante il periodo in cui erano alle dipendenze della Società Gusto, quali ratei di tredicesima e quattordicesima, TFR, ferie e permessi.

Quando la Società Gusto è stata dichiarata fallita, la Società Service ha avviato una procedura di insinuazione al passivo per un importo superiore a 93.000 euro, cercando di recuperare le somme pagate ai lavoratori agendo in surrogazione, ovvero sostituendosi ai lavoratori stessi nel vantare il credito verso l’azienda fallita.

La Decisione del Tribunale e l’Insinuazione al Passivo

Il Tribunale di primo grado aveva rigettato l’opposizione della Società Service, confermando la decisione del giudice delegato di non ammettere il credito al passivo del fallimento. Le motivazioni del rigetto erano principalmente due:

1. Mancanza di prova del pagamento: Per i crediti relativi a ferie e permessi, il Tribunale ha ritenuto che la Società Service non avesse fornito una prova adeguata dell’effettivo pagamento o della fruizione delle ferie da parte dei lavoratori. Le buste paga, secondo i giudici, non costituivano prova sufficiente, e le testimonianze raccolte in un altro giudizio erano state giudicate generiche e contraddittorie.
2. Inammissibilità del credito TFR: Per quanto riguarda il Trattamento di Fine Rapporto dei dipendenti ancora in servizio, il Tribunale ha applicato il principio consolidato secondo cui il credito TFR diventa esigibile solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Trattandosi di un credito non ancora esistente al momento dell’apertura del concorso, la sua ammissione al passivo era preclusa.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La Società Service ha impugnato la decisione del Tribunale dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il proprio ricorso su tre motivi principali. In sintesi, ha contestato l’omesso esame di fatti decisivi che avrebbero provato il suo adempimento, la falsa applicazione delle norme sull’azione surrogatoria e sulla monetizzazione delle ferie, e la violazione delle norme sull’ammissione con riserva dei crediti, in particolare per il TFR.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso in toto, ritenendo infondati tutti i motivi di doglianza. Le argomentazioni della Corte sono cruciali per comprendere i limiti dell’insinuazione al passivo in questi casi.

Sulla Prova del Pagamento per Ferie e Permessi

La Corte ha ribadito che il presupposto fondamentale dell’azione surrogatoria è la prova del pagamento del creditore originario. Nel caso di specie, la Società Service non è riuscita a dimostrare in modo inequivocabile di aver estinto il debito della Società Gusto nei confronti dei lavoratori. La Corte ha sottolineato la correttezza della valutazione del Tribunale, evidenziando come le prove fornite (buste paga, dichiarazioni) non fossero sufficienti a provare il pagamento. Inoltre, la Corte ha qualificato come inammissibile e irrilevante la pretesa della società di agire in surroga per un credito (ferie non monetizzabili) la cui natura era stata modificata: non si chiedeva il rimborso di un pagamento, ma il risarcimento per il costo di aver fatto godere le ferie, una pretesa giuridicamente diversa.

Sull’Inammissibilità dell’Insinuazione al Passivo per il TFR Futuro

Il punto più significativo della decisione riguarda il TFR. La Corte ha confermato la propria giurisprudenza costante: il credito per TFR matura progressivamente ma diventa esigibile solo con la cessazione del rapporto di lavoro. Di conseguenza, se al momento della dichiarazione di fallimento del datore di lavoro cedente, il rapporto di lavoro prosegue con il cessionario, il credito TFR è da considerarsi “futuro” e non ancora sorto.

La Corte ha chiarito la distinzione fondamentale:

* Credito condizionato: È un credito già esistente nella sua fattispecie costitutiva, ma la cui esigibilità è subordinata a una condizione. Può essere ammesso al passivo con riserva (art. 96 L. Fall.).
* Credito futuro: È un credito la cui fattispecie costitutiva non si è ancora perfezionata. Non è ammissibile al passivo, nemmeno con riserva, perché il principio generale è quello della cristallizzazione della massa passiva alla data della dichiarazione di fallimento.

Poiché il TFR dei lavoratori ancora in servizio era un credito futuro, la sua insinuazione al passivo era correttamente stata respinta.

Le Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione rafforza due principi cardine del diritto fallimentare e del lavoro. In primo luogo, chi intende agire in surroga per l’insinuazione al passivo deve fornire una prova rigorosa e inequivocabile dell’avvenuto pagamento del debito altrui. In secondo luogo, viene tracciata una linea netta per l’ammissibilità dei crediti: solo i crediti già esistenti alla data del fallimento possono entrare a far parte della massa passiva. I crediti futuri, come il TFR di un rapporto di lavoro non ancora cessato, ne sono esclusi, a tutela della par condicio creditorum e della certezza delle procedure concorsuali.

È possibile chiedere l’insinuazione al passivo per crediti da lavoro (ferie, permessi) pagati per conto dell’azienda poi fallita?
Sì, è possibile attraverso l’azione surrogatoria (art. 1203 c.c.), ma è indispensabile fornire una prova rigorosa e inequivocabile di aver effettivamente estinto il debito pagando i creditori originari (i lavoratori). La sola indicazione in busta paga non è stata ritenuta sufficiente in questo caso.

Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) di un lavoratore, il cui rapporto continua con un nuovo datore di lavoro, può essere ammesso al passivo del fallimento del datore di lavoro cedente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il credito per TFR sorge e diventa esigibile solo al momento della cessazione definitiva del rapporto di lavoro. Se il rapporto prosegue con un’altra azienda, il credito è considerato “futuro” e non può essere ammesso al passivo del fallimento del cedente, nemmeno con riserva.

Che differenza fa la Corte tra un “credito condizionato” e un “credito futuro” ai fini dell’ammissione al passivo fallimentare?
La Corte chiarisce che un “credito condizionato” è un credito già esistente i cui effetti sono subordinati a un evento futuro e incerto; può essere ammesso al passivo con riserva. Un “credito futuro”, invece, è un credito che non è ancora sorto al momento della dichiarazione di fallimento perché non si sono completati i suoi elementi costitutivi. Quest’ultimo non può essere ammesso al passivo in alcun modo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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