Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18507 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18507 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16896/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di BARI n. 2224/2019 depositato il 19/04/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -Con il decreto indicato in epigrafe il Tribunale di Bari, dopo aver disposto CTU, ha respinto l’opposizione ex art. 98 l.fall. proposta da RAGIONE_SOCIALE avverso il diniego di ammissione allo stato passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE, in via chirografaria, del credito di € 2.848.616,26 «a titolo di canoni scaduti ed a scadere, spese bancarie ed interessi di mora», relativi a contratto di locazione finanziaria di natura traslativa, risolto nel 2008 per inadempimento dell’utilizzatore, prima del suo fallimento (intervenuto nel 2012) con già avvenuta restituzione dell’immobile .
1.1. -In particolare, nel decreto impugnato si legge:
che l’ art. 72-quater l.fall. trova applicazione solo nel caso in cui il contratto di leasing sia pendente al momento del fallimento dell’utilizzatore, mentre, in caso di sua risoluzione anteriore, se si tratta di leasing traslativo si applica in via analogica l’art. 1526 c.c., e il concedente per insinuarsi al passivo fallimentare ha l’onere di proporre la domanda completa in tutte le sue richieste nascenti dall’applicazione della norma citata (Cass. 2538/2016, 8687/2015);
che l’opponente ha tempestivamente prodotto copia del contratto di locazione finanziaria e poi, a seguito di contestazione della curatela, ha prodotto oltre il termine di decadenza ex art. 99, comma 2, n. 4) l.fall. il relativo originale (munito di data certa anteriore) però comprensivo, oltre che delle prime cinque pagine sottoscritte già depositate in copia, anche del testo delle premesse e condizioni generali, composto da sette pagine e privo di qualsivoglia sottoscrizione, da considerarsi perciò produzione tardiva non utilizzabile ai fini della decisione;
che pertanto non può tenersi conto della clausola del punto 19.1, avente natura di clausola penale, che contempla, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, l’acquisizione definitiva da parte della locatrice dei pagamenti già effettuati, a titolo di indennità, e il pagamento di tutte le somme maturate e non pagate, con accessori, oltre una rata mensile di canone, a titolo di indennizzo forfettario;
che va escluso il diritto dell’opponente all’ammissione del credito per canoni scaduti e a scadere;
che la richiesta di ammissione a titolo di equo compenso ex art. 1526 c.c. e risarcimento del danno, con detrazione di quanto a ricavarsi dalla collocazione del bene sul mercato , quand’anche configurabile come ammissibile precisazione della domanda formulata in sede di osservazioni ex art. 95 l.fall., non può essere accolta per difetto di certezza nell’ an e nel quantum , posto che, «in difetto di ricollocazione sul mercato, deve escludersi qualsivoglia certezza in ordine al credito non determinato, perché dipendente dall’esito di tale vendita» ;
che peraltro l’incertezza è aggravata dalle ulteriori circostanze emerse dalla CTU, nel senso che «il complesso immobiliare è stato consegnato dalla concedente all’utilizzatore prima del completamento, sicché non era utilizzabile e che, dopo la restituzione al concedente, il 24/9/2009, l’opponente non ha provato d’avere più curato il mantenimento nello stato in cui lo ha ricevuto, elementi questi che influiscono sulla valutazione del credito vantato, i cui elementi costitutivi spettava all’opponente provare».
-Avverso detta decisione RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione in quattro motivi, cui il Fallimento resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno prodotto memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 72 -quater l.fall., per non essersi il tribunale pronunciato sulla applicazione di detta norma in via analogica, invocata dall’opponente .
3.1. -Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 3 60-bis c.p.c., alla luce del recente e consolidato indirizzo nomofilattico (Cass. Sez. U, 2061/2021; Cass. 15981/2022, 7367/2023, 27133/2023, 30008/2023, 30018/2023, 30721/2023) il quale, nel superare l’orientamento invocato dal ricorrente (Cass. 8980/2019), ha stabilito che:
in tema di leasing finanziario, la disciplina di cui all’art. 1, commi 136-140, della legge n. 124 del 2017 non ha effetti retroattivi, sì che il comma 138 si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l’entrata in vigore della legge stessa; per i contratti anteriormente risolti (quale quello oggetto del contendere) resta valida, invece, la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con conseguente applicazione analogica a quest’ultima figura (così apprezzata dai giudici di merito) della disciplina dell’art. 1526 c.c., e ciò anche se la risoluzione sia stata seguita dal fallimento dell’utilizzatore, non potendosi applicare analogicamente l’art . 72-quater l.fall.;
la ragione di questa distinzione nella disciplina degli effetti risolutori tra le due figure di leasing è quella di far fronte, nel caso di leasing traslativo, all’esigenza di porre un limite al dispiegarsi dell’autonomia privata, là dove questa venga a determinare arricchimenti ingiustificati del concedente, il quale, seguendo lo schema dallo stesso predisposto, si troverebbe a conseguire (attraverso la restituzione del bene, l’acquisizione delle rate riscosse e il risarcimento del danno) più di quanto avrebbe avuto diritto di ottenere per il caso di regolare adempimento del contratto;
nel leasing traslativo, la risoluzione resta soggetta all’applicazione in via analogica delle disposizioni di cui all’art. 1526 c.c., con riguardo alla vendita con riserva della proprietà, per cui l’utilizzatore è obbligato alla restituzione del bene e il concedente alla restituzione delle rate riscosse, avendo, però, diritto ad un equo compenso per la concessione in godimento del bene e il suo deprezzamento d’uso, oltre al risarcimento del danno;
nel caso in cui, dopo la risoluzione del contratto di leasing traslativo per inadempimento dell’utilizzatore, intervenga il fallimento di quest’ultimo, il concedente che, in applicazione dell’art. 1526 c.c., intenda far valere il credito risarcitorio derivante da una clausola penale stipulata in suo favore, è tenuto a proporre apposita domanda di insinuazione al passivo ex art. 93 l.fall., in seno alla quale dovrà indicare la somma ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto del contratto ovvero, in mancanza,
allegare una stima attendibile del relativo valore di mercato all’attualità, onde consentire al giudice di apprezzare l’eventuale manifesta eccessività della penale, ai sensi e per gli effetti dell’art . 1526, comma 2, c.c.
-Il secondo mezzo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1526 e 1384 c.c., poiché il tribunale, dopo avere ammesso CTU per determinare l’ equo compenso e il risarcimento del danno, ha escluso tali pretese per mancanza di certezza nell’ an e nel quantum (« in difetto di ricollocazione sul mercato, deve escludersi qualsivoglia certezza in ordine al credito non determinato, perché dipendente dall’esito di tale vendita »), senza considerare che la ricorrente: aveva dichiarato sin dall’originaria domanda ex art. 93 l.fall. che avrebbe accreditato al lessee la somma ricavanda dalla riallocazione dell’immobile; in sede di precisazione della domanda ex art. 95 l.fall. aveva precisato che, in ipotesi di ritenuta applicazione dell’art. 1526 c.c., l’importo richiesto sarebbe dovuto essere ammesso al passivo a titolo di equo compenso e risarcimento del danno (ferma la detrazione di quanto ricavando dalla riallocazione dell’immobile sul mercato); con l’opposizione ex art. 98 l.fall. aveva chiesto in via subordinata di non rigettare, ma limitarsi a dichiarare inammissibile -in attesa della riallocazione del bene -la domanda di ammissione dei canoni scaduti e a scadere successivi alla risoluzione contrattuale (con riserva, quindi, di depositare la relativa domanda all’esito della alienazione del complesso immobiliare).
4.1. -Il motivo presenta profili di inammissibilità e infondatezza.
4.2. -In primo luogo esso trascura che -al di là della ritenuta non utilizzabilità delle condizioni generali del contratto (e segnatamente della clausola penale di cui al punto 19) in quanto tardivamente prodotte, aggredita come si vedrà senza successo con il quarto mezzo -il tribunale ha svolto una valutazione ‘in fatto’ , come tale non censurabile in questa sede, circa l’applicabilità in concreto dell’art. 1526 c.c. , avuto riguardo al difetto di certezza del credito sia nell’ an che nel quantum , a causa non solo della mancata ricollocazione del bene sul mercato, ma
anche degli ulteriori elementi influenti sulla valutazione dell’immobile, emersi dalla disposta CTU.
4.3. -Ma soprattutto la censura si infrange contro il riferito indirizzo nomofilattico in base al quale la domanda di insinuazione al passivo fallimentare deve essere ‘ completa ‘, e cioè contenere tutti gli elementi necessari ai fini del l’applicazione dell’ art. 1526 c.c., tenuto conto della restituzione del bene al concedente, della restituzione all’utilizzatore dei canoni pagati e del computo di tutti i canoni (percepiti, scaduti e a scadere, compresi gli importi dovuti per opzione e accessori), in vista di una riparametrazione complessiva, con detrazione del valore di riallocazione o di stima.
Nella citata sentenza n. 2061 del 2021 è scritto invero a chiare lettere che « il concedente che aspiri a diventare creditore concorrente ha l’onere di formulare una domanda di insinuazione al passivo, ex art. 93 l.f., in seno alla quale, invocando l’applicazione dell’eventuale clausola penale stipulata in suo favore, offra al giudice delegato la possibilità di apprezzare se detta penale sia equa ovvero manifestamente eccessiva; e per consentire siffatta valutazione da parte del giudice delegato, è chiaro onere dell’istante quello di indicare la somma esattamente ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto di leasing, ovvero, in mancanza, di allegare alla sua domanda una stima attendibile del valore di mercato del bene medesimo al momento del deposito della stessa ».
A ben vedere, senza una domanda ‘ completa ‘, nei termini indicati, il ricorso sarebbe inammissibile per difetto di interesse, poiché verrebbe elusa la disciplina restitutoria dettata dalle Sezioni Unite.
4.4. -Anche di recente questa Corte ha precisato che dalla citata decisione delle Sezioni Unite emerge un preciso onere quantomeno di specifica allegazione, in funzione di prova, gravante sul creditore che insinua al passivo il credito risarcitorio fondato sulla clausola contrattuale, con superamento dell’indirizzo (Cass. 8980/2019, 18543/2019) che sembrava consentire al giudice di procedere di propria iniziativa alla stima, in sede di accertamento del passivo (Cass. 30018/2023; cfr. Cass. 30001/2023). Onere che, nel caso di specie, non risulta assolto dal ricorrente.
4.5. -Né al riguardo può tenersi conto di quanto dedotto dal ricorrente solo a pag. 6 della memoria, circa il deposito di una perizia di stima del l’immobile in allegato al ricorso ex art. 98 l.fall., trattandosi di elemento nuovo e contrastante con le diverse allegazioni contenute in ricorso, di cui si è detto (v. sopra sub 4.).
-Il terzo motivo lamenta l’o messo esame circa un fatto decisivo , ai sensi dell’ art. 360 n. 5 c.p.c., con riguardo alle risultanze della CTU, che aveva riconosciuto un credito, e alle censure svolte contro la sua quantificazione, ritenuta insufficiente.
5.1. -La censura è inammissibile per totale difformità dal parametro del vizio evocato.
Difatti, il motivo non solo non individua il ‘fatto decisivo’ il cui esame si assume omesso -qualifica certamente non ascrivibile alle risultanze della CTU -ma difetta anche di autosufficienza, poiché non “localizza” né le conclusioni della CTU che si assumono errate, né riporta le “puntuali e circostanziate censure” che sarebbero state mosse avverso di essa.
-L’ulteriore mezzo solleva analogo vizio con riguardo alle clausole generali del contratto, ritenute tardivamente depositate nonostante, si dice, esse fossero state depositate con la domanda di ammissione al passivo (e poi allegate al ricorso ex art. 98 l.fall.), sul rilievo che, in realtà, non vi sarebbero state condizioni generali relative a RAGIONE_SOCIALE, il cui contratto era regolato dalle condizioni generali relative a RAGIONE_SOCIALE (capo pool dell’operazione), fermo restando che tutte le condizioni generali erano state sottoscritte da RAGIONE_SOCIALE in calce al contratto di locazione finanziaria, anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1341 c.c., e che nell’allegato (ove era indicato il testo integrale) si precisava che dette premesse e condizioni erano depositate presso un AVV_NOTAIO; per questo le condizioni generali recavano timbro e sigla di RAGIONE_SOCIALE per presa visione e non per sottoscrizione, avendovi essa provveduto in calce al contratto di locazione finanziaria.
6.1. -Anche questo motivo è inammissibile.
6.2. -Innanzitutto, la censura, nella sua scarsa chiarezza, presuppone un riesame delle relative produzioni documentali, non consentito in questa sede.
6.3. -Inoltre, alla luce della complessiva motivazione del tribunale, di cui si è dato conto, non risulta nemmeno prospettato il requisito della decisività.
-Segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo.
-Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 115 del 2002 (Cass. Sez. U, nn. 23535/2019, 4315/2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 23.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16/04/2024.