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Insinuazione al passivo leasing: oneri del creditore

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società di leasing, confermando la reiezione della sua domanda di insinuazione al passivo leasing. La sentenza ribadisce che, in caso di contratto risolto prima del fallimento dell’utilizzatore, si applica l’art. 1526 c.c. e il creditore ha l’onere di presentare una domanda ‘completa’, fornendo una stima attendibile del valore del bene restituito per determinare il proprio credito.

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Insinuazione al passivo leasing: gli oneri probatori del creditore

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sugli oneri che gravano sulla società concedente che intende presentare una domanda di insinuazione al passivo leasing a seguito del fallimento dell’utilizzatore. La pronuncia sottolinea l’importanza di una domanda ‘completa’, specialmente quando il contratto di leasing è stato risolto prima della dichiarazione di fallimento, ribadendo un principio fondamentale: l’onere della prova del credito spetta interamente al creditore.

Il caso: la risoluzione del contratto di leasing e il successivo fallimento

Una società di leasing finanziario aveva stipulato un contratto per un complesso immobiliare con una società alberghiera. A seguito dell’inadempimento di quest’ultima, il contratto era stato risolto nel 2008 con la conseguente restituzione del bene. Anni dopo, nel 2012, la società alberghiera veniva dichiarata fallita.

La società di leasing presentava quindi domanda di ammissione al passivo fallimentare per un importo di oltre 2,8 milioni di euro, a titolo di canoni scaduti e a scadere, spese e interessi. Il Tribunale, tuttavia, respingeva la domanda, ritenendo che il credito non fosse certo nel suo ammontare, in quanto la società creditrice non aveva fornito elementi sufficienti per la sua determinazione, in particolare riguardo al valore del bene che aveva riacquisito.

La decisione della Corte di Cassazione

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso della società di leasing inammissibile, confermando integralmente la decisione del Tribunale. La Corte ha colto l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia, delineando con precisione i doveri del creditore in queste circostanze.

Le motivazioni: i requisiti per l’insinuazione al passivo leasing

Le motivazioni della Corte si basano su un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, che distingue nettamente la disciplina applicabile a seconda che il contratto sia ancora in essere o già risolto al momento del fallimento.

Applicazione dell’art. 1526 c.c. e non dell’art. 72-quater l.fall.

Il primo punto chiarito dalla Corte è che, per i contratti di leasing traslativo risolti prima della dichiarazione di fallimento, non si applica la disciplina speciale prevista dall’art. 72-quater della legge fallimentare. Trova invece applicazione, in via analogica, l’art. 1526 del codice civile, che regola gli effetti della risoluzione della vendita con riserva di proprietà.

Questa norma prevede che il venditore (in questo caso, il concedente) debba restituire le rate riscosse, ma ha diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. È proprio su questo meccanismo restitutorio e compensativo che si gioca la partita dell’ammissione al passivo.

L’onere di una domanda ‘completa’

Il cuore della decisione risiede nel concetto di domanda di insinuazione ‘completa’. Secondo la Cassazione, il creditore che aspira a diventare creditore concorrente nel fallimento ha l’onere di formulare una domanda che contenga tutti gli elementi necessari affinché il giudice possa determinare il credito secondo i criteri dell’art. 1526 c.c.

In particolare, è onere dell’istante:
1. Indicare la somma esattamente ricavata dalla diversa allocazione del bene (vendita o nuovo leasing).
2. In mancanza di riallocazione, allegare una stima attendibile del valore di mercato del bene al momento del deposito della domanda.

Questa allegazione è fondamentale per permettere al giudice delegato di calcolare il credito effettivo, detraendo dal totale richiesto il valore del bene tornato nella disponibilità del concedente. Nel caso di specie, la società di leasing non aveva fornito né l’uno né l’altro dato, rendendo il suo credito incerto e, di conseguenza, non ammissibile al passivo. La Corte ha sottolineato che non spetta al giudice attivarsi d’ufficio per ricercare tale valore.

Le conclusioni: implicazioni pratiche per le società di leasing

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per le società di leasing e, in generale, per tutti i creditori che intendono insinuarsi in una procedura fallimentare. La decisione conferma che l’onere della prova del credito è rigoroso e non ammette scorciatoie. Per una corretta insinuazione al passivo leasing, non è sufficiente indicare i canoni non pagati, ma è indispensabile ‘completare’ la domanda con la valorizzazione del bene restituito. In assenza di tale dato, la domanda rischia di essere respinta per indeterminatezza, con la conseguente impossibilità di recuperare il proprio credito nell’ambito della procedura concorsuale.

Quando un contratto di leasing traslativo si risolve prima del fallimento dell’utilizzatore, quale norma si applica alla richiesta del concedente?
Si applica in via analogica l’articolo 1526 del Codice Civile, che regola la vendita con riserva di proprietà, e non l’articolo 72-quater della legge fallimentare.

Cosa si intende per domanda di insinuazione al passivo ‘completa’ in caso di leasing risolto?
La domanda è ‘completa’ quando il creditore (la società di leasing) fornisce tutti gli elementi necessari per il calcolo del suo credito, inclusa la somma ricavata dalla riallocazione del bene o, in sua assenza, una stima attendibile del suo valore di mercato attuale.

Chi ha l’onere di provare il valore del bene restituito alla società di leasing?
L’onere della prova grava interamente sul creditore che si insinua al passivo. La Corte ha chiarito che spetta al concedente indicare il valore del bene, non essendo un compito che il giudice può svolgere d’ufficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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